di Claudio LISTANTI
La scorsa settimana abbiamo presentato per i lettori di About Art il Festival 2021 dell’Opera di Lione che quest’anno aveva un emblematico titolo, Festival Femmes libres ?. Nel nostro articolo abbiamo dato una personale interpretazione dei contenuti di questa insolita dedica che, sulla carta, poteva essere desunta dai titoli e dagli interpreti costituenti parte integrante del programma proposto con la consueta e ‘intrigante’ fantasia da Serge Dorny, attuale direttore del teatro. (Cfr. https://www.aboutartonline.com/il-festival-2021-dellopera-di-lione-interamente-gratuito-in-streaming-il-programma-completo/)
Dopo aver assistito alle esecuzioni, che l’emergenza covid ha costretto gli organizzatori alla diffusione dell’intero programma del festival tramite streaming gratuito, concentrate nel periodo 22-26 marzo confermando, come previsto, di essere un programma del tutto stimolante per la sensibilità dello spettatore, vogliamo parallelamente procedere ad una sintesi di quanto visto ed ascoltato.
Il primo appuntamento prevedeva la rappresentazione di Ariane et Barbe-Bleue di Paul Dukas grande capolavoro del ‘Simbolismo’ affidato, per la parte visiva a Àlex Ollé, uno dei direttori artistici della compagnia teatrale catalana La Fura dels Baus. È una istituzione culturale molto apprezzata nel panorama culturale internazionale la cui attività ha prodotto numerose e, spesso discusse, rappresentazioni teatrali.
Tra queste molto frequenti sono stati gli allestimenti di opere liriche provenienti dal grande repertorio di tutti i tempi. In ognuna delle messe scena la ‘Fura’ si è distinta per la ricerca continua di elementi di ‘rottura’ tra lo spirito originario degli autori (musicisti e librettisti) e la loro specifica realizzazione, creando spesso nelle rappresentazioni proposte, vistose discrepanze. A questo fenomeno non è sfuggita questa edizione di Ariane et Barbe-Bleue andata in scena all’Opera di Lione. L’opera di Dukas riproduce, quasi fedelmente, il contenuto della commedia simbolista di Maurice Maeterlinck che a sua volta si ispirò al racconto La Barbe bleue di Charles Perrault.
Paul Dukas produsse una partitura che mette in risalto soprattutto l’elemento fantastico, ed intimistico, della vicenda narrata da Maeterlinck nella quale non si ravvisano elementi di puro realismo. Ollé ha optato per una rappresentazione su due livelli, quello realistico delle nozze tra Ariane e Barbe-Bleue che si contrappone a quello più propriamente psicologico. Ciò, a nostro parere, stride con questa splendida e raffinata partitura, che è tutta rivolta a creare un clima tanto misterioso quanto fortemente drammatico, togliendole anche quelle atmosfere magiche, quasi rarefatte, messe in risalto dalla splendida e sapiente orchestrazione.
Nel libretto si legge che la prima scena si svolge in ‘una vasta e sontuosa sala semicircolare nel castello di Barbe-bleue’ dove converge la protagonista prima di entrare in contatto con le ‘simboliche’ sette porte che la porteranno a scoprire prima le ricchezze e poi il ritrovamento delle cinque precedenti mogli di Barbe-bleue considerate morte.
In questa rappresentazione niente di tutto questo; veniamo a contatto con un ambiente tutto sommato ‘asettico’ che non valorizza l’espressione musicale di Dukas. L’ingresso nella settima porta è uno dei punti più ammalianti dell’opera nel quale la curiosità e l’intraprendenza di Ariane rivolte all’inconscia ricerca della libertà, la introduce in un ambiente oppressivo nel quale ravviserà le figure delle altre cinque spose prigioniere che Ariane vuole condurre verso la libertà. La via di uscita, finalmente, si intravede dietro una fioca luce nel fondo che attraversa una vetrata colorata ricoperta di sporcizia depositata dal tempo.
È la guida per uscire dall’oppressione e conquistare la libertà, il cui desiderio vuole comunicare alle altre donne. Anche questo effetto, a nostro giudizio, era purtroppo mitigato, soprattutto per l’inserimento sulla scena di altre numerose donne, tentativo, forse, di procedere ad una espansione generalizzata del momento scenico che però ha tolto quell’intimismo, quel clima di mistero e di paura peculiare di questo momento.
Il finale del terzo atto è stato il momento più incisivo di questa messa in scena perché è riuscito a materializzare la quintessenza del titolo, Festival Femmes libres ?, soprattutto la soluzione di quel punto interrogativo mettendo bene in evidenza la rinuncia delle cinque spose alle libertà, un desiderio che però rapisce Ariane la cui intraprendenza la porta discostarsi dagli ambienti e dagli affetti dai quali vuole inequivocabilmente fuggire.
Concludendo il discorso relativo alla parte registica vogliamo segnalare i nomi degli artisti partecipanti alla realizzazione scenica che hanno pienamente assecondato l’idea complessiva impressa da Àlex Ollé allo spettacolo: Alfons Flores per le scene, Josep Abril Janer per i costumi e Urs Schönebaum per le luci.
Per quanto riguarda la compagnia di canto c’è da dire che è risultata del tutto omogena sia vocalmente che scenicamente. Tra tutti i cantanti si è distinta il mezzosoprano svedese Katarina Karnéus che ci ha regalato una Ariane del tutto convincente riuscendo a superare con stile le difficoltà di una linea vocale molto impegnativa soprattutto per i frequenti, e a volte spericolati, passaggi tra il registro grave e quello acuto realizzati, ci sembra, in modo certamente tranquillo. È una linea di canto nella quale si possono ravvisare dei richiami a quelle altrettanto impegnative di Wagner o di Strauss senza dimenticare anche la raffinatezza si Debussy.
Il repertorio della Karnéus, nel quale sono presenti gli autori già citati ma anche molti titoli del repertorio slavo, la rende interprete senza dubbio ideale per un’opera come questa. Apprezzabili gli altri interpreti come Anaïk Morel (La nutrice) e Adèle Charvet (Sélysette) due mezzosoprano dalla voce scura e robusta. Nelle altre parti femminili Hélène Carpentier (Mélisande), Margot Genet (Ygraine) e Amandine Ammirati (Bellangère). Tomislav Lavoie è stato Barbe-Bleue intenso non solo per la parte vocale, che comunque non è particolarmente cospicua, ma soprattutto per la parte scenica in linea con l’impostazione registica a proposito della quale vogliamo citare anche la parte solo mimica di Alladine realizzata da Caroline Michel.
Lothar Koenigs ha diretto con autorità ed incisività tutta l’opera con il determinante contributo dell’Orchestra e del Coro de l’Opéra di Lione per una esecuzione alla quale ha giovato la sua indubbia ed evidente esperienza nel repertorio tardo romantico e primo novecentesco.
Dopo il capolavoro di Dukas è stato trasmesso l’altro spettacolo di punta del Festival di Lione 2021: A kékszakállú herceg vára (Il Castello del Duca Barbablu), più nota in Italia come Il Castello di Barbablu, di Béla Bartók. La sua composizione segue di qualche anno quella di Ariane et Barbe-Bleue con la quale condivide la comune ispirazione all’opera letteraria di Maurice Maeterlinck conducendola, però, ad una forma più ‘sintetica’ del dramma. Lo scopo è ottenuto grazie ad un magistrale libretto di Béla Balázs che ne ‘condensa’ i significati basilari. Resta l’elemento ‘simbolico’ delle sette porte e l’attrazione particolare per l’ultima assieme alla ricerca della soluzione del ‘mistero’ per la ‘camera proibita’, così come il contrasto tra luce e oscurità che rappresenta il conflitto tra uomo e donna con la protagonista, Judit, che tenta di sovvertire.
Rispetto a Dukas, Bartók, ci propone un’opera più asciutta, straordinariamente ‘essenziale’, per la quale ha creato una partitura che esalta l’azione e che prevede due soli interpreti vocali, Judit e Barbablu al quale, in questo caso, è affidata una parte vocale molto più consistente di quella che ha in Ariane, consentendo un maggiore contrasto tra i due personaggi.
La messa in scena è stata affidata all’ucraino Andriy Zholdak, regista tra i più noti di oggi, del quale a Lione si ricorda la realizzazione, due anni fa, del capolavoro di Čajkovskij, Čarodejca, una messa in scena che ha fatto molto discutere, il cui stile teatrale ha influenzato anche quella de Il Castello di Barbablu (Cfr. https://www.aboutartonline.com/grande-successo-a-lione-per-carodejca-di-cajkovskij-per-la-prima-volta-rappresentata-in-francia/)
La peculiarità di questo spettacolo è stata quella di proporre il capolavoro di Bartók con due soluzioni scenico-registiche diverse tra loro che ci hanno donato due modi diversi di interpretazione del dramma nel quale sono sempre ben presenti gli elementi simbolici, il primo di carattere schiettamente personale e crudamente realistico mentre il secondo di carattere più intimista e filosofico.
Dobbiamo riconoscere che la soluzione prescelta è stata senza dubbio stimolante ma purtroppo ha avuto la controindicazione di vanificare quelle peculiarità di sintesi ed organicità possedute dall’opera che, come prima accennato, ne sono alla base e che hanno portato ad appesantire la percezione emotiva dello spettatore.
Nella prima soluzione Andriy Zholdak ha accentrato la sua realizzazione sulla ricerca della personalità nascosta di Barbablu, descritto come essere brutale, cinico e spietato. Sfruttando pienamente il palcoscenico rotante del teatro ha creato una scenografia caledoscopica nella quale c’era la costante del sangue e del sesso, elementi certo ben presenti nell’opera ma, forse, più evocati che realistici. All’azione partecipavano oltre ai soli due interpreti vocali, anche una moltitudine di individui molti dei quali (almeno per noi) di non facile identificazione, perennemente in azione, interpreti di una nuova ‘Hellzapoppin’ che rendeva la ‘misteriosa tranquillità’ del castello di Barbablu un luogo affollato come un metrò nelle ore di punta. La scena era invasa anche da ‘cameramen’ che riprendevano alcune azioni poi riproposte su vari schermi presenti sul palcoscenico. Soluzione, questa, che ormai sta diventando stantia in quanto utilizzata frequentemente.
Tracce di sangue ovunque, scene terrificanti di violenze di ogni tipo, ossessione per il sesso e la sessualità rappresentata con la visione quasi ‘veristica’ di rapporti sessuali, etero, gay e lesbici, realizzati con varie posizioni del kamasutra, donne anziane che si masturbano, immagini pornografiche di ogni genere. Elementi che hanno costretto gli organizzatori a ‘consigliare’ la visione (caso raro nel teatro lirico) ai soli spettatori al di sopra dei sedici anni e contribuito ad appesantire lo spettacolo.
Fortunatamente c’è stata questa novità del ‘replay’ con una seconda parte che ha ristabilito la giusta distanza tra opera teatrale e spettatori grazie ad una lettura più intimista ottenuta anche grazie ad un uso meno spregiudicato delle luci che ha reso il dramma sicuramente più partecipato e godibile. Se analizziamo solo questa seconda parte si può affermare che può essere considerata una interpretazione infinitamente più vicina alle intenzioni degli autori.
Per concludere la parte scenica dobbiamo però citare tutti gli artisti che hanno contribuito alla realizzazione dimostrando di essere perfettamente in linea con la visione Andriy Zholdak rendendo possibile, con la loro professionalità, questa esecuzione che, a prescindere da come la si pensi, risulta essere piuttosto complicata.
Andriy Zholdak oltre alla regia ha firmato le luci e, assieme a Daniel Zholdak le scene, Simon Machabeli i costumi e Georges Banu la drammaturgia.
Due sole sono le parti vocali previste nella partitura de Il Castello di Barbablu e i cantanti scelti per l’esecuzione hanno fornito una prova del tutto valida soprattutto per la difficoltà della linea di canto realizzata da Bartók, nella quale abbondano recitativi del tutto particolari che il musicologo Fedele d’Amico in un saggio definisce
“…un recitativo a frammenti piuttosto brevi ma, tuttavia intensamente melodico, semplice e penetrante”.
Una regola che, ci sembra, gli interpreti abbiano rispettato.
Per la parte da mezzosoprano di Judit sono state scelte due cantanti: per la prima parte Eve-Maud Hubeaux e Victoria Karkacheva per la seconda. Due voci a nostro avviso di pari peso vocale, dalla buona emissione per il registro medio-grave, ognuna delle quali integratasi con buoni risultati alle differenti letture sceniche della singola parte dello spettacolo. Bravo anche il baritono Karoly Szemeredy districatosi bene nell’ingrato e complicato compito del personaggio e delle relative sfumature interpretative previste per ognuna delle due parti.
La direzione musicale dello spettacolo è stata affidata allo svizzero Titus Engel, musicista che dirige con una certa frequenza musiche del ‘900 e, grazie anche all’Orchestra dell’Opera di Lione, è riuscito a valorizzare la pregevole partitura di Bartók vero punto di snodo dell’opera dello scorso secolo, che esibisce una orchestrazione di primissimo piano ed una intensità drammatica di grande fascino e seduzione.
Le trasmissioni del Festival di Lione 2021 prevedevano anche un ‘excursus’ all’interno della preparazione di un altro spettacolo, Mélisande, messo in scena da Richard Brunel, il cui contenuto si integra quasi perfettamente con il festival di quest’anno. Quanto disponibile in video si è rivelato senza dubbio interessante. Purtroppo da ciò che abbiamo potuto vedere ci ha rivelato che questi ‘lavori in corso’ sono ancora ‘un pò indietro di cottura’ anche perché non è stato ancora stabilito se sarà rappresentato in forma cinematografica o teatrale o, addirittura, in una diversa forma, rendendo così impossibile ogni nostro giudizio.
Per quanto riguarda le nostre osservazioni su questi spettacoli, vogliamo ricordare ai lettori che i nostri giudizi si riferiscono ad ascolti televisivi, per definizione non ottimali per poter giudicare le scenografie, in quanto non si ha la percezione completa della scena né tanto meno della parte musicale, perché la ripresa audio appiattisce tutti i rapporti sonori tra i singoli strumenti e le singole voci e, per quest’ultime, c’è anche il problema del volume che per giudicare i cantanti è uno degli elementi determinanti. Il nostro augurio è che si possa tornare presto in condizioni di normalità per poter giudicare direttamente lo spettacolo dal vivo e lasciare le riprese audio e video al mero scopo di studio e di conoscenza.
Claudio LISTANTI Roma 28 marzo 2021