di Sara MAGISTER
Harula Economopoulos, La forza e l’ingegno. Stefano Maderno e il mito di Ercole nella scultura tra Cinque e Seicento, Roma, edizioni Paparo, 2020
È bello constatare come anche il contributo di studiosi “indipendenti” e committenti privati possa aiutare l’avanzamento della scienza e della storia dell’arte, in aggiunta ai luoghi e alle istituzioni più strettamente preposte allo scopo. È il caso di questo volume, redatto da Harula Economopoulos e dedicato a un aspetto della produzione dello scultore Stefano Maderno che, proprio alla luce di questo studio, si rivela tutt’altro che specifico o marginale sia per la comprensione della grandezza di questo artista, che anche per quella del contesto culturale e artistico del primo periodo Barocco.
Storica dell’arte e docente presso diverse Accademie di Belle Arti, si può ben dire che la Economopoulos sia una delle più alte esperte della scultura di Stefano Maderno, dal momento che è da oltre quindici anni che si dedica allo studio di questo artista e del suo contesto di produzione, fin dai tempi del suo dottorato conseguito alla Sapienza di Roma.
Già il suo primo volume (Stefano Maderno scultore 1571 ca. – 1636. I maestri, la formazione, le opere giovanili, Roma 2013) aveva aggiunto al catalogo dell’artista capolavori come il monumento von Windischgrätz (Siena, S. Domenico) e rimodulato su basi concrete la conoscenza sulle sue origini e formazione, dimostrando che Maderno fu coetaneo ma non conterraneo di Caravaggio, a discapito del cognome lombardo e di quanto dice il Baglione perché nacque invece probabilmente a Palestrina, nel Lazio, si formò nella bottega romana dello scultore fiammingo Nicolò Piper d’Arras.
Il corposo studio in esame, invece, si incentra su una tematica che, come si diceva, è solo apparentemente marginale nella produzione dell’artista: il mito di Ercole. Un’apparenza che inganna, perché invece il Maderno lo ha trattato in più modalità, forme e mezzi espressivi, incluso quello della terracotta, una tecnica che anche grazie a lui stava acquisendo una nuova dignità espressiva.
E se il Maderno non tradusse mai in formato monumentale le sue invenzioni o le sue riprese dirette dall’antico, altri dopo di lui trarranno spunto dai suoi modelli per opere di più grandi dimensioni, come dimostra la puntualissima e dettagliata disamina sulla fortuna di quei pezzi, caso per caso.
La ricerca si apre con una serie di capitoli che riassumono, peraltro con una notevole chiarezza e scorrevolezza narrativa, le notizie più aggiornate sulla vita dell’artista e il nuovo approccio all’uso della terracotta e del bronzo per opere di medio formato, che stava sempre più prendendo piede in quel tempo, sia in campo creativo che collezionistico.
Una seconda parte è dedicata alla riesamina delle principali fonti letterarie e iconografiche che hanno fondato e formato dall’antichità la fortuna del soggetto, in tutte le sue varianti narrative, e la sua trasformazione nel tempo, per caricarsi di quei nuovi significati allegorici che furono particolarmente cari e funzionali alla committenza rinascimentale e proto-barocca. Si tratta di una sintesi che, oltre a essere utile anche per chi conosce già l’argomento, in realtà ha lo scopo di porre solide basi per comprendere meglio quali fossero le reali fonti visuali su cui il Maderno andò a fondare le sue scelte formali e concettuali.
A questo punto, una delle maggiori novità riscontrate è che l’artista attinse, oltre che al consueto e imprescindibile modello dell’antico e ad altri esempi scultorei più vicini al suo tempo, anche a fonti più inaspettate. Il vero punto di svolta, infatti, è la scoperta di notevoli e concrete affinità tra le scelte compositive dell’artista e la teorizzazione del movimento dei corpi e della ponderazione dei pesi contrapposti che Leonardo da Vinci aveva esplicitato nel suo Trattato sulla Pittura.
La figura di Ercole, infatti, non era solo l’occasione per riproporre in chiave moderna una figura centrale del mondo antico, ma anche quella di misurarsi con la rappresentazione del corpo in movimento, in situazioni di tensione estrema. Un vero banco di prova quindi, una sfida artistica e concettuale, per stabilire il talento o meno di un artista.
Ed è proprio alla luce della comparazione tra la teoria di Leonardo e la sua traduzione in pratica da parte del Maderno, che si comprende quanto gli studi del Vinciano dovettero essere un tassello e passaggio fondamentale non solo per lo scultore in esame, ma anche per la formazione e la poetica degli altri artisti barocchi, Bernini incluso.
Le rappresentazioni dei diversi miti relativi ad Ercole, d’altra parte, si prestavano non solo a una sfida formale, ma anche narrativa, ed espressiva dei diversi “affetti” dell’animo umano, particolarmente cara al mondo del Seicento. Ma quali scegliere e raffigurare, tra i molti miti a disposizione? E perché proprio quelli e non altri? A tal proposito, un’altra importante novità emersa dalla ricerca della Economopoulos è costituita dallo studio degli inventari delle collezioni che in varie epoche hanno accolto le opere del Maderno dedicate a questo soggetto. Inventari, in particolare quello dell’abate Filippo Farsetti (1703-1774) che forniscono informazioni utili su quelli che erano i veri soggetti narrati da quelle sculture, sciogliendo alcuni malintesi interpretativi operati dalla critica più recente.
Le singole schede delle opere, infine, sono in realtà dei veri e corposi saggi riccamente illustrati, che scendono nei dettagli narrativi e allegorici del mito trattato, dei suoi specifici modelli formali e concettuali, della loro ipotetica committenza e del modo in cui il Maderno è riuscito a rielaborare in maniera innovativa i suoi modelli di riferimento.
Il risultato è che l’indubbio talento di Stefano Maderno emerge sempre più chiaro e nitido, persino in queste sue opere apparentemente “minori” e finora poco valutate dalla critica. Così come emerge chiara e nitida la sua posizione di riferimento per il mondo artistico del suo tempo.
Comincia a questo punto a farsi strada qualche ipotetica risposta, sul come mai il Bernini non abbia mai voluto cimentarsi con un soggetto, quello del mito di Ercole, che costituiva un banco di prova fondamentale per le generazioni di scultori a lui precedenti. Forse perché persino lui temeva il confronto con quanto aveva già compiuto il poco più anziano Maderno? O meglio, come ipotizza la stessa autrice (pp. 52-53)
“Il motivo di questa insolita circostanza va forse ricercato proprio nella consapevolezza del fatto che ciò che era stato elaborato da Maderno tra la fine del secondo e l’inizio del terzo decennio del Seicento non poteva in alcun modo essere eguagliato, nemmeno dalla sua fervida fantasia e dal suo indomito spirito creativo”.
©Sara MAGISTER Roma 25 aprile 2021