Caravaggio fece una “L”! Chi ispirò davvero uno dei capolavori del Merisi?

di Emilio NEGRO

I “Suonatori di liuto” e l’“Amore vincitore”*

fig 1 Suonatore di Liuto (Ermitage)

Tra i numerosi compiti che venivano svolti nelle antiche botteghe dei pittori c’era anche quello di eseguire degli elaborati capilettera per decorare le pagine più importanti di libri e documenti, inclusi quelli riprodotti en trompe l’œil effet nei brani di natura morta raffigurati nei dipinti. Si trattava generalmente di iniziali arabescate derivate da modelli inventati da miniatori e calligrafi come Giovanni Luigi Valesio (l’Instabile dell’Accademia degli Incamminati bolognesi), “maestro di scherma, di ballo, di liuto e di scrivere in arabeschi, miniatore, intagliatore in rame”, pittore e insegnante di bella scrittura, che per le sue capacità aveva meritato le lodi del romano Ottavio Tronsarelli, uno tra i primi poeti a comporre versi in onore di Caravaggio.

Che il Merisi avesse familiarità con l’arte calligrafica lo si deduce dai capilettera raffigurati sulle copertine delle raccolte di spartiti visibili nei suonatori di liuto dell’Ermitage, del Metropolitan nonchè nella versione ex Beaufort, pure di grande qualità, recentemente esposta a Cremona nella mostra Monteverdi e Caravaggio. Sonar stromenti e figurar la musica (figg.1-2-3). Senza entrare in questa sede nella questione attributiva, peraltro affrontata nel catalogo con molto acume da Claudio Strinati in un eccellente saggio riproposto su About Art online lo scorso giugno (https://www.aboutartonline.com/2017/06/29/il-suonatore-di-liuto-di-caravaggio/)

fig 2 Suonatore di Liuto ex Wildenstein (Metropolitan Museum N.Y.)

quel che ci preme sottolineare è che in ognuno di essi egli dipinse un’elaborata lettera maiuscola che, a causa degli svolazzi, è stata interpretata in genere come la “B” di Bassus, mentre è con buona probabilità l’iniziale “L” di Lassus, (figg. 4-5) cioè la seconda parte del nome del musicista fiammingo Roland de Lassus (o Roland de Lattre), italianizzato in Orlando Lassus.

fig 3 Suonatore di Liuto ex Beaufort (coll. privata)

Va ricordato che questo famoso compositore era nato in Belgio nel 1532, dove pare abbia saputo sviluppare fin dalla fanciullezza le sue eccezionali doti canore, riuscendo a diventare un corista acclamato sia per la bravura dimostrata nel canto, sia per l’avvenenza dell’aspetto, due doti naturali che gli avrebbero procurato molti vantaggi e qualche problema.

fig 4

Infatti la tradizione narra che egli sia stato rapito per ben tre volte dagli emissari di alcuni nobili disposti a tutto pur di avere presso la loro corte un fanciullo di così bella figura e per di più dotato di una voce armoniosa.

La fama di Lassus crebbe a tal punto che, ancora dodicenne, fu introdotto nei più esclusivi circoli cortigiani, cioè quelli di cui amava circondarsi Ferrante Gonzaga, governatore di Milano e della Sicilia, mentre in seguito l’imperatore Massimiliano II gli conferì un titolo nobiliare, Papa Gregorio XIII lo nominò Cavaliere dello Speron d’oro e il re di Francia gli concesse la Croce di Malta; la sua feconda produzione musicale, ancora oggi tra le maggiori esistenti al mondo, gli valse i soprannomi di “Divino Orlando” e di “Princeps Musicorum”.

fig 5

Se il suo nome compare credibilmente sia nella tela ora all’Ermitage di S.Pietroburgo, sia in quella attualmente al Metropolitan Muesum di New York, nella prima di esse la lettura è resa più difficile a causa dei cosiddetti “rabisch”, cioè ancora una volta quegli ornamenti dipinti da Caravaggio intorno alla “L” che, come le grottesche, stando alla calzante definizione del Lomazzo, erano proprio “enimmi ò cifere, ò figure egizzie, dimandate ierolifici, per significare alcun concetto o pensiero sotto altre figure”.

Quegli arzigogoli non vennero però dipinti nell’altra versione ora a New York, in cui la medesima iniziale è leggibile con maggiore chiarezza. In ambedue i dipinti la scritta è visibile su due copertine rettangolari sulle quali sono appoggiate le facciate aperte di altrettanti fascicoli di analoghe dimensioni, con le note di uno dei madrigali a quattro voci del musico fiammingo Jakob Archadelt.

Jacob Arcadelt

È già stato rilevato che la riproduzione delle note dell’Archadelt e del nome del Lassus non furono casuali, perché i componimenti di entrambi erano assai noti nel bel mondo romano e soprattutto collegati ad un ricordo d’infanzia di almeno uno dei committenti, il marchese Vincenzo Giustiniani, che nel suo Discorso sopra la musica scrisse: nella “mia fanciullezza mio padre…mi mandò alla scola di musica, et osservai ch’erano in uso le composizioni dell’Archadelt, di Orlando Lassus”.

Secondo il Lomazzo anche la città di Milano poteva ritenersi “felice per le gran canzoni,/ Che cantan per le strade ogn’hor li tuoi” e per le musiche suonate durante le riunioni conviviali che costituivano “the sounds of Milan”, cioè uno dei più raffinati contesti musicale europei in cui risuonavano anche le note orecchiabili dei madrigali e delle villanelle di Lassus, udite, con buona credibilità, anche dall’adolescente Merisi.

Ma in quel felice contesto melodico riecheggiavano parimenti le armonie altrettanto danzabili di un altro compositore più giovane, eppure ugualmente legato ai Gonzaga e forse oltremodo famoso rispetto al Lassus: Giovanni Giacomo Gastoldi, nato a Caravaggio nel 1555 – omonimo di un pittore suo compaesano, come accennato sopra – cantante, musico eccellente, molto attivo presso la corte di Mantova, dove succedette a Jaches Wert (probabilmente suo maestro) e dove morì nel 1609.

Giovanni Giacomo Gastoldi
Roland de Lassus

Come è già stato rilevato, il Gastoldi raggiunse una vastissima popolarità con la raccolta dei Balletti a 5 voci pubblicata a Venezia nel 1591, definiti giustamente un “best-seller dell’editoria musicale” poiché godettero di un successo senza precedenti: l’opera fu ristampata con una “cadenza pressoché annuale fino al 1597” e una settima seguì quattro anni dopo, mentre nel 1596 era uscita ad Antwerpen la prima edizione europea.

Successivamente il cantore accrebbe ulteriormente la sua notorietà componendo un balletto ed un intermezzo che vennero inseriti rispettivamente nel Pastor fido (1598) e nell’Idropica (1608) di Giovan Battista Guarini; ciononostante il caravaggino, a differenza del Wert, non venne ricordato da Vincenzo Giustiniani, forse da lui “relegato” tra gli “altri” compositori non meglio specificati; tuttavia è assai improbabile che il marchese ignorasse la fama del Gastoldi, non fosse altro perché il caravaggino era succeduto al Wert – uno dei suoi autori prediletti – alla guida della cappella mantovana di S.Barbara, oltre ad essere molto stimato pure dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo.

Tornando all’Amore vincitore di Caravaggio commissionato dal medesimo Giustiniani e attualmente a Berlino (fig.6), di volta in volta venne definito “Amore terreno” e “Amore”, rispettivamente da Orazio Gentileschi e Gaspare Murtola (1603); “Amorem omnia subigentem” e “Omnia vincit amor” da Marzio Milesi (entro il 1610); “Amore ridente”, “chiamato per fama il Cupido del Caravaggio” nell’inventario Giustiniani del 1638; “un Cupido a sedere” dal Baglione; “Amore vincitore” dal Bellori (1672); “Amoretto” da Francesco Scannelli e “Cupido in Lebens-Grösse” (“Cupido in grandezza naturale”) da Joachim von Sandrart (1675).

Caravaggio Amore vincitore

Ognuna di queste definizioni ha una comune fonte d’ispirazione, ovvero l’emistico virgiliano “Omnia vincit amor(Bucoliche, X, 69) che diventò proverbiale fin dall’antichità e fu utilizzato per esaltare l’inarrestabile forza del sentimento amoroso. Alla nota frase latina si ispira anche l’intitolazione del nono dei citati Balletti a 5 voci del Gastoldi, Amor vittorioso.

Dunque, considerando l’origine caravaggina del compositore e la grande fortuna goduta da quel morceau d’ensemble che è “an example of the balletto, like the canzonet, was a popular counterpart to the italian madrigal during the Renaissance era”, l’Amore vincitore del Merisi potrebbe corrispondere ad una trasposizione pittorica dell’antecedente brano musicale dal titolo analogo. Tale eventualità sembrerebbe trovare un’ulteriore conferma pure dalla lettura della quarta e quinta riga della prima strofa del popolare balletto – “Io son l’invitt’Amore/ Giusto saettatore” -, rievocanti il turcasso e le due frecce impugnate nella mano destra dall’impertinente divinità dipinta dal Caravaggio.

D’altra parte la passione del Giustiniani per la musica è cosa assai conosciuta, al pari di quella dell’altro committente del giovane Merisi, cioè il Del Monte, protettore della Cappella Sistina che organizzava spettacoli musicali e suonava il liuto e la chitarriglia.

Lo stesso Caravaggio, che era vissuto a Milano negli anni in cui si eseguivano le musiche di Lassus e del compaesano Gastoldi, verosimilmente sapeva strimpellare uno strumento a corde; inoltre come risulta dalla nota dei beni sequestrati in casa di Orazio Gentileschi, tra gli amici del Merisi circolavano le rime di un altro celebrato madrigalista: il bolognese Cesare Rinaldi, amico dei Carracci e di Guido Reni; né va trascurato che nei primi mesi del 1600, nell’Oratorio romano di Santa Maria in Vallicella, gentiluomini e cardinali avevano potuto assistere alla première e alle repliche della Rappresentatione di Anima, et di Corpo, con i componimenti musicali del citato Emilio de’ Cavalieri (appartenente al partito filomediceo e amico del cardinale Del Monte) e i testi dell’oratoriano Agostino Manni. Nella dedica al cardinale Aldobrandini della rivoluzionaria performance teatrale si specificava per la prima volta che la messinscena era stata “posta in musica” per “recitar cantando”; conseguentemente la Rappresentatione di Anima, et di Corpo, giudicata il più indimenticabile tra i numerosi eventi occorsi nell’urbe in occasione dell’anno santo, fu il punto di congiunzione iniziale tra le categorie musicali del sacro e del profano, unite proprio in quell’occasione per dare vita ad un nuovo genere teatrale, ossia il melodramma, i cui personaggi avrebbero fornito molteplici spunti alle tipologie rinnovate della rappresentazione visiva controriformata.

Tutto ciò sembra concorrere a rafforzare l’ipotesi di una plausibile connessione tra l’Amor vittorioso di Gastoldi e l’Amore vincitore di Michelangelo – entrambi frutto del genio di due maestri caravaggini nati a meno di una generazione di distanza l’uno dall’altro -, cosicché il primo potrebbe essere una sorta di trasposizione visiva del secondo: più o meno consapevole.

di Emilio NEGRO    Bologna novembre 2017

*Il saggio è una elaborazione di una parte del volume “Caravaggio e la ritrattistica” firmato dall’autore e da Nicosetta Roio (ed. Etgraphiae, 2016) recentemente presentato a Bologna, Palazzo Grassi. Ringraziamo gli autori e l’editore per la gentile concessione