di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
Chiese Romane
Santa Maria in Cosmedin
La chiesa di Santa Maria in Cosmedin risale ad una diaconia – quindi a un titolo cardinalizio – del VI secolo quando divenne diocesi di Roma. Fu fondata sull’ Ara Maxima, l’altare dedicato ad Ercole invitto dal re latino Evandro.
A metà del IV secolo d.C. venne edificata, immediatamente ad ovest dell’Ara massima, un’aula porticata, posta su un podio e delimitata da arcate sostenuta da colonne. Papa Adriano I, volendo ampliare il luogo di culto cristiano fece demolire, nel 782, la parete fondale dell’aula porticata così da poterne sfruttare il basamento in blocchi di tufo all’interno del quale scavò una cripta (fig.1): la struttura guadagnò in lunghezza e venne suddivisa in tre navatelle con i matronei che si affacciavano sulla navata centrale con sei finestre ad arco per lato.
Il papa Adriano I affidò la diocesi ai Greci in fuga dall’Oriente in seguito all’iconoclastia, di qui l’appellativo dato alla chiesa, Cosmedin, parola greca da collegarsi forse ad un antico monastero bizantino di Costantinopoli.
L’aula porticata rimase in funzione fino al VI secolo, grazie alla vicinanza del Circo Massimo; successivamente al suo interno si insediò una comunità cristiana che edificò un primitivo luogo di culto sfruttando la struttura preesistente; il nome della diaconia fu quello di Sancta Maria in Schola Graeca, in omaggio alla nutrita presenza di una comunità greca. La parola Schola stava a significare il nome della colonia straniera e degli artigiani locali che eressero questo primitivo luogo di culto.
La chiesa assunse un aspetto definitivo nel XII secolo con il pontificato del papa Callisto II quando i Cosmati edificarono il portico frontale o nartece, struttura tipicamente bizantina e paleocristiana, e un campanile svettante di sette livelli, alto più di 34 metri (fig.2). All’interno la chiesa era costituita da un’aula con due navate laterali; l’ambiente terminava con la parete fondale a loggia, motivo per cui è da escludersi la presenza di un abside.
Elementi caratterizzanti della basilica saranno la schola cantorum, una pergula, struttura divisoria dello spazio liturgico del coro e un ciborio gotico, eseguito nel 1294 da Deodato, figlio del celebre Cosma (fig.3).
Nel 1435 la basilica fu affidata dal papa Eugenio IV ai monaci benedettini dell’abbazia di San Paolo fuori le mura; nel 1716, in epoca tardo barocca furono restaurate le pavimentazioni e riaperta la cripta per custodirvi le numerose reliquie.
Nel 1718 il cardinale Annibale Albani commissionò all’architetto Giuseppe Sardi la realizzazione di una nuova facciata, modificando radicalmente le strutture preesistenti. La facciata della basilica fu quindi adeguata al gusto tardo barocco dell’epoca moderna. Quattro arcate mediane del nartece furono tamponate e aperto un unico grande finestrone ad arco al centro della parete superiore e fu realizzata una ricca decorazione in stucco (fig.4). Ulteriori interventi furono condotti per tutto il XIX secolo per adeguare la facciata della chiesa al gusto eclettico tardo ottocentesco dell’epoca.
Quanto vediamo oggi è dunque essenzialmente il frutto dei restauri di impronta romantica eseguiti dal 1896 al 1899, epoca innamorata dell’arte altomedioevale. I restauri furono diretti da Giovan Battista Giovenale per conto del Ministero della pubblica istruzione e finalizzati a ricondurre la basilica alla sua presunta immagine del XII secolo. Venne quindi demolita la facciata di Giuseppe Sardi e all’interno fu sostituita la volta a botte con un controsoffitto ligneo, così da consentire l’apertura di tutte le monofore e la visione degli affreschi del XII secolo. La schola cantorum riacquistò le sue dimensioni originarie, occupò la seconda metà della navata maggiore e venne delimitata da nuove transenne (fig.5). Il restauro si caratterizzò per il rigore filologico ponendosi come modello esemplare per i successivi interventi.
Nel 1899 le absidi vennero decorate con affreschi in stile neomedioevale ad opera di Cesare Caroselli e Alessandro Palombi, che cercarono di imitare al meglio gli affreschi originari del XII secolo della navata centrale. Infine nel 1961-62 furono restaurati il tetto ed il campanile.
L’ingresso della basilica è preceduta dal nartece, un atrio con archi a tutto sesto, ciascuno dei quali sormontato da una monofora, poggianti su pilastri cruciformi (fig.6).
L’arcata centrale è sottolineata da un protiro sorretto ai lati da due colonne in granito, la stessa soluzione adottata in San Clemente, Santa Prassede, San Cosimato. Su lato destro del nartece è l’attrazione turistica principale, la Bocca della Verità, un mascherone romano in marmo pavonazzetto aggiunto nel 1923. Si tratta di un antico chiusino di epoca classica, il ritratto di una divinità fluviale. Nel medioevo fino ai giorni nostri la Bocca della Verità serviva per mettere alla prova la sincerità delle persone e specialmente delle mogli sospette di infedeltà.
Famosa è la scena del film Vacanze romane laddove Gregory Peck simula un morso alla mano per ingannare Audrey Hepburn, corteggiata con insistenza in giro per la città (fig.7).
Il portale di ingresso presenta una cornice marmorea di Giovanni da Venezia dell’XI secolo. Sulla parte superiore della facciata si aprono tre monofore e nel timpano triangolare un cornicione sorretto da piccole mensole ed un oculo circolare.
L’interno della basilica è a tre navate senza transetto; ogni navata è separata da tre gruppi di quattro archi a tutto sesto, intervallate da pilastrature quadrangolari, poggianti su colonne marmoree di spoglio con capitelli corinzi; ciascuna navata è conclusa da un abside (fig.8).
La controfacciata è caratterizzata da tre arcate le due laterali tamponate ed interrotte dalla muratura della navata centrale.
Le arcate, come le colonne corinzie che le sorreggono, erano parte dell’aula porticata del IV secolo entro cui è sorta la basilica cristiana (fig.9).
Sui piani di separazione fra le navate si aprono sei monofore per lato, i resti dell’originale matroneo voluto da Adriano I e demolito da Callisto II. Il carattere medioevale delle tre navate è sottolineato dalle dissonanti asimmetrie e dai resti di antichi affreschi.
Il presbiterio è separato dalla schola cantorum tramite la pergula marmorea (fig.10) che attraversa lo spazio delle tre navate in piena autonomia, da parete a parete,
sorretta da colonnine poggianti su transenne decorate a mosaico e completata con la realizzazione del candelabro del cero pasquale e dal bellissimo pavimento cosmatesco (fig.11).
Sull’altare maggiore si erge il magnifico ciborio, opera di Deodato di Cosma, influenzato probabilmente da quello della basilica di San Paolo fuori le mura e dai nuova cultura gotica di provenienza francese; è in marmo poggiante su quattro colonne corinzie di granito rosso in corrispondenza delle quali si elevano altrettanti pinnacoli; un quinto pinnacolo si alza dal centro del ciborio stesso. All’interno del ciborio è collocata la cattedra marmorea del XVIII secolo (fig.12).
Uscendo dalla basilica ed attraversando con attenzione la strada trafficata, si perviene ad uno spazio erboso allietato dalla fontana dei Tritoni, opera di Francesco Carlo Bizzaccheri del 1715. I tritoni, le rocce scabre e la vasca che riproduce la stella araldica a otto punte di Clemente XI, furono ovviamente ispirati dalla Fontana del tritone di Bernini a piazza Barberini (fig.13).
Nello spazio erboso dove si può sedere per ammirare con calma il fronte romanico della basilica, sorgono due famosi tempietti romani di epoca repubblicana, quello circolare costruito verso l’anno 100 a.C. chiamato erroneamente Tempio di Vesta e quello rettangolare, di pochi anni più tardi, chiamato con altrettanto arbitrio Tempio della Fortuna Virile.
Francesco MONTUORI Roma 23 maggio 2021