di Francesco MONTUORI
Migranti su About
M.Martini e F. Montuori
La tradizione moderna
La fabbrica Olivetti di Pozzuoli
Adriano Olivetti e Luigi Cosenza
La vicenda della fabbrica Olivetti di Pozzuoli, nel napoletano (fig.1),
è la storia di un’ utopia realizzata. I protagonisti di questa utopia furono due uomini eccezionali: Adriano Olivetti e Luigi Cosenza, un industriale illuminato, un architetto che amava il suo mestiere e lo praticava con intelligenza e tenacia.
Negli anni ’50 Adriano Olivetti (fig.2) è a Napoli per costruire una fabbrica di alto livello tecnologico nel Mezzogiorno d’Italia; una scelta controcorrente, quando, nel primo dopoguerra, la stragrande maggioranza degli imprenditori investono i loro capitali nel nord industrializzato. Olivetti crede nel riscatto del Mezzogiorno italiano, la sua è una sfida piena di coraggio imprenditoriale. Luigi Cosenza (fig.3) era nato a Napoli agli inizi del ‘900 da una colta famiglia borghese; è uno dei maggiori esponenti del razionalismo italiano; dopo la seconda guerra mondiale si iscrive al Partito Comunista.
E’ protagonista del dibattito sul ruolo della cultura e della relazione, contraddittoria, con le vicende politiche del Paese del compito politico degli intellettuali. Ha realizzato residenze edilizie popolari necessarie dopo le distruzioni belliche; è un severo oppositore contro l’aggressione della speculazione edilizia nella sua città, cosi ben raccontata dal suo amico Francesco Rosi nel film Le mani sulla città (1963) il cui sottotitolo recitava: “i personaggi e i fatti qui narrati sono immaginati, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.” Possiede un leoncino che alleva a casa con i suoi figli (fig.4).
Adriano Olivetti si incontra con Luigi Cosenza e gli conferisce l’incarico di realizzare a Pozzuoli uno stabilimento industriale, pochi chilometri a nord ovest di Napoli. Sia Luigi Cosenza che Adriano Olivetti, da diversi punti di vista, hanno a cuore l’organizzazione del lavoro in fabbrica; entrambi credono nella possibilità che la fabbrica possa costituire un ambiente favorevole ai lavoratori: una fabbrica che fosse riflesso di una diversa e più umana organizzazione del lavoro dell’uomo a differenza delle fabbriche otto-novecentesche che deturpavano l’ambiente e dove le condizioni degli operai che vi lavoravano erano molto spesso inumane.
Luigi Cosenza e Adriano Olivetti ricercheranno entrambi nuovi rapporti fra uomo e ambiente, tra architettura e tradizione, fra forma e contenuto.
Può sembrare oggi, tutto ciò, come atteggiamento “ingenuo”, di una cultura che ancora non aveva fatto i conti con il reale; ma diverse e profonde erano le condizioni del dopoguerra e di chi faceva ancora i conti con le devastazioni delle città italiane. Utopia e realtà: ma non si modificava la dura realtà senza una buona dose di utopia?
Luigi Cosenza si reca ad Ivrea per verificare sul posto il ciclo produttivo per la produzione di macchine da scrivere e di calcolo della Olivetti.
Torna a Napoli con una serie di schizzi. In prima istanza suddivide il suo progetto in tre zone: la zona alberata di protezione fra la via Domiziana e la fabbrica; la zona edificabile; una zona di futura espansione. Redige cinquantasette schizzi preparatori (fig.5); esamina con attenzione la temperatura dell’ambiente: i sistemi di protezione delle radiazioni solari; l’illuminazione, l’aereazione, la visibilità; decide l’orientamento dei corpi edilizi in cui suddivide la fabbrica; i sistemi di schermatura solare; il dimensionamento delle pareti vetrate; la disposizione del complesso dei macchinari; i percorsi e i posti di lavoro degli operai; le caratteristiche dei pilastri portanti; dei solai di copertura, delle pensiline, delle strutture frangivento. Infine, ma non ultimo, l’adeguamento del linguaggio architettonico alle intenzioni funzionali e psicologiche del programma produttivo.
E’ il momento in cui la Olivetti abbandona il processo lavorativo a catena, le lavorazioni si svolgono per aree di lavoro omogenee fra loro coordinate; l’innovazione permette all’architettura una più esplicita libertà compositiva. Cosenza conclude la sua indagine preliminare convinto che l’optimum del complesso industriale risiede nella scelta di un sistema geometrico a due assi ortogonali della superficie edificata (fig.6).
L’elemento nodale è rappresentato dall’incrocio fra i due bracci ortogonali della fabbrica dove si intersecano l’officina con il locale montaggio; l’impostazione cruciforme è la conseguenza del superamento dello schema tradizionale di una fabbrica a padiglione ampio e chiuso, cui necessitavano soluzioni climatiche artificiali. La decisione di ottenere spazi interni in stretta connessione con l’esterno con la possibilità di illuminare ed aerare in modo naturale gli ambienti e la visibilità delle sistemazioni a verde favorisce il nuovo modo di lavorare “per aree” insieme al rispetto della condizione operaia; l’inclinazione delle coperture verso l’interno e lo sfalsamento dei piani consente l’illuminazione naturale e la ventilazione degli ambienti per mezzo delle ampie finestrature poste in alto, direttamente sotto i solai.
La pianta libera, l’articolazione delle stereometrie intersecate, i volumi trasparenti disseminati nel giardino mediterraneo declinano un purissimo lessico razionale, che media fra l’edificio e il paesaggio evitando di imitare sia l’uno che l’altro (figg. 7, 8 e 9).
Nel 1954 Olivetti ingaggia l’architetto Pietro Porcinai perché si occupi dei giardini e del laghetto e Marcello Nizzoli come consulente nella scelta dei colori esterni e interni al fabbricato. Porcinai studia la realizzazione degli spazi verdi e programma l’evoluzione dei giardini in un più vasto parco; la piantumazione di alberi di alto fusto e di agrumi, i primi spoglianti, i secondi sempreverdi, sono dislocati in modo da difendere gli interni della fabbrica dai raggi diretti del sole. Anche il prato ha un ruolo essenziale per assorbire il calore e impedire che si rifletta sulle pareti e sulle vetrate (fig.10).
La costruzione della fabbrica è ormai in fase di completamento; nel discorso di inaugurazione, il 23 aprile 1955, “ai lavoratori di Pozzuoli” (fig.11)
Adriano Olivetti afferma:
“di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, con rispetto della bellezza dei luoghi e affinchè la bellezza fosse di conforto al lavori di ogni giorno. Abbiamo voluto che la natura accompagnasse la vita della fabbrica.”
Illustrando la concezione e il valore dell’opera Olivetti aggiunge:
“la fabbrica fu concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Per questo abbiamo voluto le finestre più basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad escludere definitivamente l’idea di una chiusura ostile (fig.12).
Olivetti è convinto “della responsabilità sociale, cioè delle finalità dell’impresa in rapporto al territorio ed alla sua comunita’”, e conclude con un celebre passaggio: “Può un industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?”
Anche Luigi Cosenza amava e rispettava Napoli. La sua cultura gli impedì di scivolare nel folclorismo della “napolaneità”; pensava, al contrario, all’europeismo maturato a Napoli nel ‘700, di Napoli grande capitale europea, uno dei centri dell’illuminismo italiano. Napoli era per Luigi Cosenza una realtà estremamente concreta che doveva ritrovare, nel difficile dopoguerra, la modernità e il suo prestigio in Europa. Non derogò pertanto dai dettami del razionalismo ma collocò la sua architettura in un paesaggio mediterraneo in funzione di un’ umanità che in quel paesaggio ci vive, ci lavora, ci abita.
Così Cosenza seppe armonizzare la dissonanza fra le forme della sua architettura e le forme del paesaggio mediterraneo, senza nessuna indulgenza al naturalismo e all’ambientalismo in cui caddero molti degli architetti razionalisti della sua epoca. Si pensi allo stile strapaesano del borgo rurale di La Martella che in quegli stessi anni (1952-54) Ludovico Quaroni con Federico Gorio, Piero Maria Lugli e Michele Valori progettarono per accogliere gli sfollati dei Sassi di Matera, opera emblematica della corrente neorealista del Razionalismo italiano
Ad edificio ultimato Giorgio Amendola, uno dei maggiori dirigenti del Partito Comunista, chiese ironicamente a Cosenza se nella sua fabbrica di Pozzuoli gli operai “non fossero ugualmente sfruttati”. Amandola esprimeva in tal modo una cultura del Partito Comunista di stampo banalmente contenutista. Da par suo rispose Luigi Cosenza: “questo è compito tuo!”
Ma questa è un’altra storia.
Francesco MONTUORI Roma 20 giugno 2021