di Fernando MAZZOCCA*
*Il presente saggio compare nel catalogo della mostra Da Gemito a De Nittis a cura di Luisa Martorelli e Fernando Mazzocca apertasi a Napoli, Palazzo Zevallos Stigliano. Ringraziamo l’autore e Intesa San Paolo che hanno gentilmente concesso la pubblicazione in anteprima ad About Art.
Beppino De Nittis. Il napoletano che ha conquistato Parigi
“Ho già trent’otto anni ed è tempo che cominci a ragionare. Saranno dei giorni magnifici ed avremo tanti fiori, di ogni specie. Un vero paradiso. Alleveremo una quantità di animali bianchi, trampolieri rosa e ibis. E’ un vecchio sogno!”.
Così Giuseppe De Nittis chiudeva le sue Notes et souvenirs, nell’illusione che nel ritiro incantato di Saint Germain-an-Laye, lontano dalla Parigi tanto amata ma che ora cominciava ad apparirgli come una metropoli sempre più congestionata dove “la vita mi soffoca”, potesse rigenerarsi ed aprire una nuova fase della propria esistenza. Ma il bel sogno era destinato ad infrangersi con la morte prematura, avvenuta il 21 agosto 1884 per emorragia celebrale. Sul suo cavalletto posava, non ancora finito, un grande quadro, l’ultimo ritratto della moglie Leontine distesa “in un’amaca sospesa sotto gli alberi”.
Questa scomparsa inattesa suscitò un’enorme emozione registrata, subito dopo la sua sepoltura, dall’amico Edmond de Goncourt nel suo Journal dove notava come “la morte di quest’uomo di trentotto anni, di questo ragazzo così amabile e così ingegnoso da procurarsi gioia e piacere, di questo pittore così pittore, salvo che per gli invidiosi e i nemici” avesse “incontrato una simpatia naturale ed è meraviglioso e toccante il lusso di fiori deposto sulla sua bara”.
Sulla lapide molto semplice, che esiste ancora nel celebre cimitero parigino del Père-Lachaise, sono incise le parole struggenti e bellissime dettate sull’onda della generale commozione da un altro amico Alexandre Dumas figlio :
” Ci git / Joséph De Nittis / 1846 – 1884 / Mort a trent huit ans / En plein Jeunesse / En plein gloire / Commeles heros / Et les demi-dieux”.
Restava alla critica, come appare dai numerosi necrologi allora comparsi di cui il più significativo è quello di Emile Bergerat, dal titolo significativo La morte de De Nittis et la fin dell’impresisonisme, dibattere, come si è continuato a fare fino ad oggi, la questione della sua appartenenza o meno al famoso movimento. In realtà egli aveva esposto ad una sola delle loro mostre, la prima del 1874. Per Ary Renan “egli riabilitava, senza saperlo, la scuola degli Impressionisti, alla quale non apparteneva. Attraverso le sue doti da virtuoso, faceva penetrare con franchezza fra lo spirito del pubblico una parte della dottrina impressionista- quella buona”. Quello che poteva apparire anche un merito assumeva in Gustave Geffroy una connotazione polemica, inserendolo nella schiera di “quei valenti e furbi artisti che seppero far propria la formula degli Impressionisti rendendola accettabile al pubblico che non voleva saperne”.
Resta il dato incontrovertibile che questo pugliese, formatosi a Napoli e diventato napoletano per spirito e cultura, è stato uno degli artisti di maggior successo nella Parigi che, dopo il drammatico crollo del Secondo Impero, si riconfermava come la capitale dell’arte e della mondanità. Nella metropoli, descritta dai de Goncourt e da Zola, illuminata dal genio di Manet, Degas, Monet, De Nittis era riuscito a diventare subito un personaggio e ad arrivare in breve tempo ad un livello per cui Goncourt lo aveva messo in guardia:” Non vi perdonano di essere arrivato così in alto”.
Così questo “giovanotto, piccolo, tarchiatello, dalla barbetta e dai capelli neri, vestito elegantemente e ricco di tutta l’espansiva burbanza di un meridionale di 20 anni che non dubitava di nulla, sentiva di poter sfondare e lo volle”, come lo ricordò l’amico Diego Martelli, aveva conseguito un’affermazione artistica e sociale tale da diventare un simbolo della Parigi moderna e da poter considerare la Francia una seconda patria. Sono molte le sue dichiarazioni in questo senso, come quando confida che “nessuno dei paesi che io ho conosciuto aveva la dolcezza della bella terra di Francia”. Le rive della Senna mi incantarono. Ogni giorno ho dipinto in un verde tenero come la giovinezza di quei cari paesaggi, i salici quasi grigi sulle rive, le nebbie trasparenti e i cieli pallidi. Conosco bene tutte queste immagini. E se tutto ciò non appartiene alla mia terra natia, appartiene al paese che uno sposa per amore e al quale si dà tutto se stesso”.
E più oltre ribadisce di “amare la Francia appassionatamente e disinteressatamente più di qualsiasi altro francese. Ho attribuito alla Francia tutti i miei successi anche se, e lo dico con tutta sincerità, è stata l’ospitalità inglese, e la stessa Inghilterra, che mi ha dato da vivere.. Comunque fu la Francia che da principio mi incoraggiò e che ha fatto la mia fortuna”. Questo lo portava ad un convincimento decisivo che “sotto un certo aspetto la Francia è il paese che io ho sposato. Ecco perché è sempre stato il mio desiderio l’attrarre qui i talenti riottosi per convincerli che qualsiasi gloria non consacrata in questo paese sarebbe, oggi come ieri, una gloria incompleta”.
Sicuramente con il suo esempio e al sua disponibilità egli deve avere avuto un’enorme forza di attrazione sugli artisti italiani e soprattutto napoletani transitati a Parigi. Sicuramente nella popolare triade dei nostri connazionali che meglio si sono affermati nella capitale francese, da lui formata insieme a Giovanni Boldini e Federico Zandomeneghi, il suo inserimento e il suo ruolo aggregante risultano imparagonabili a quelli degli altri due, rimasti in parte isolati”.
Come è riuscito a relazionarsi con Manet o Degas, ma anche Tissot, assumendo un respiro europero e diventando uno dei grandi protagonisti della pittura moderna, così ha saputo diventare un modello di vita e fare della sua dimora uno dei luoghi più ambiti e frequentati di Parigi. Le testimonianze in questo senso sono tutte autorevoli e inequivocabili, a partire da quella di un acuto osservatore come Diego Martelli. Egli ha saputo guidare il lettore in questa visita sorprendente “… immaginate ch’ io vi conduca ad un certo numero, che mi pare il 61 dell’Avenue de Bois de Boulogne, e che, passata una cancellata, vi troviate in uno Square, attorno al quale s’innalzano tante casette eleganti a tipo inglese col giardinetto sulla facciata; e voi certo capirete che siamo al limitare della vita elegante della capitale del mondo. Suonate il campanello verso le cinque di sera ed entrerete in un vestibolo dove sono sgabelli di legno intagliato ed un garnde quadro dell’impressionista Monet, sull’impiantito semplici stuoie giapponesi; da questo vestibolo si passa in un salotto elegante, di una eleganza regence, dove alle pareti potete vedere un paese non finito del Corot, che rivela in parte i segreti del vecchio maestro e tutto intiero il suo genio; poi una pittora ad olio di Edoardo Manet e un pastello di Edgardo Degas; costì il padrone vi riceve con una schietta affabilità e vi presenta i suoi commensali, e vi pianta davanti a Emilio Zola, a Duranty, a Edmondo Goncourt, ai pittori Manet, Rossano, Degas, De Tivoli e poi tanti altri compitissimi gentiluomini e squisite signore:; tutti vi salutano senza squinternamenti e continua lo scoppiettio della conversazione incominciata, e voi mettete bocca come vi pare e quanto vi pare in questo torneo dove si giostra con tutte le cortesie delle armi dello spirito, e siete misurato a grammo millesimo. Da questa stanza e da questa giostra passate alla sala da pranzo sulle cui mura stanno appese meraviglie di getti giapponesi e di ceramica del millecinquecento, e dopo un paso squisitamente delicato tornate alle chiacchiere, alla discussione, alla musica [ … ] Tutto questo lusso di materia e d’anima è prodigato come in famiglia e tu lettore, anche se zuccone, ti sarai accorto che questa è la casa di un parigino vero, di quei parigini che vengono magari battezzati a Barletta ma che sono i legittimi; e tu saprai da me che quella era la casa di Beppino De Nittis nel 1878 alla vigilia della esposizione”.
Questa pagina straordinaria sembra racchiudere la vita e il successo del piccolo pugliese, napoletano d’adozione, diventato un vero parigino, assoluto protagonista nella “capitale del mondo”. Vi si trova conferma non solo della vastità delle sue relazioni e delle sue frequentazioni, ma anche delle sue predilezioni come collezionista. Si tratta di scelte che portano nella direzione di artisti con cui si è confrontato, come Manet, Degas e Monet, ma anche di curiosità come quella verso l’arte giapponese che ha avuto una decisiva influenza nel suo percorso creativo. La presenza poi, riferiti come frequentatoti abituali di Federico Rossano, con cui aveva condiviso negli anni napoletani la fondamentale influenza della scuola di Resina e di Serafino De Tivoli, il macchiaiolo a lungo residente a Parigi, sembrano confermare il suo ruolo di referente per i numerosi italiani che passavano dalle rive della Senna.
Queste serate dovevano ripetersi nella nuova casa, più ampia e lussuosa, di rue Viète, nell’elegante quartiere Monceau, dove Giuseppe e Léontine De Nittis si trasferirono nel gennaio del 1880 [ … ]
Edmond de Goncourt, anche lui convinto che egli fosse diventato “plus Parisien que tout le Parisien”, secondo la felice espressione di Léonce Bénédite, autore della fondamentale prima monografia moderna a lui dedicata, sia per le sue coraggiose scelte artistiche sia per il suo modo di vivere, ha descritto con altrettanto entusiasmo di Martelli i ricevimenti del sabato sera al nuovo indirizzo. “Egli fa parte –sottolineava- della nuova generazione di pittori ‘vincitori ‘ di denaro e a cavallo su Parigi e su Londra [ … ] De Nittis possiede delle vedute di Parigi eseguite di getto a pastello che mi incantano. E’ l’aria nebbiosa di Parigi, è il grigio del suo selciato, è il profilo indefinito del passante”.
In un’altra occasione, nel 1881, descriveva poi la riuscita sintesi tra le delizie del palato, quelle degli occhi, l’allegria informale della conversazione e sempre la buona musica per cui “le cene del sabato da De Nittis sono davvero incantevoli”.
Le testimonianze di Martelli e de Goncourt non ci restituiscono solo l’incanto di quelle straordinarie serate, ma anche il fascino dell’uomo e del pittore, fascino irresistibile proprio per la unicità di questa felice riunione che si ritrova tanto nella vita che nell’arte di temperamento napoletano e di spirito parigino. Peraltro nella sua irresistibile, quanto breve, carriera iniziata col memorabile primo viaggio a Parigi nel 1867 e conclusa dalla morte inaspettata, De Nittis non ha mai dimenticato il cielo della terra da cui proveniva, continuando a realizzare, esponendole spesso fianco a fianco, vedute napoletane e parigine.
Un fattore decisivo del suo successo è stata la costante presenza e il supporto della apparentemente modesta e riservata Léontine Lucille Gruvelle, che lui chiamava Titine e fu la sua modella prediletta, sposata nel 1869, l’anno in cui si stabiliva definitivamente nella capitale francese. Quando vi era giunto per la prima volta, dopo un viaggio pieno di rischi, due anni prima ed era rimasto solo due mesi, aveva fatto in tempo a frequentare l’adorato Meissonier, da lui considerato allora un “artista straordinario” , e soprattutto a stringere un’intesa immediata con il potente mercante Goupil, destinato a condizionare, nel bene e nel male, i primi anno della sua carriera parigina. Di questo esito lusinghiero aveva informato l’amico e antico sodale a Resina Adriano Cecioni “ … i miei quadri visti da Goupil furono comprati, ed al di là di quello che speravo. Molti negozianti vi furono a vederli restando dispiacenti di non essere accorsi prima. V’è il Principe e la Principessa di Sicilia che sono fanatici di me; quindi il mio primo lavoro che verrà è loro [ … ]”.
Da quando si era definitivamente stabilito a Parigi De Nittis alternava la frenetica vita cittadina alle riposanti scampagnate a Bougival dove scoprì l’incanto del paesaggio francese lungo la Senna. Queste pitture si avvicendavano ora, nel suo repertorio di successo, con quelle napoletane e pugliesi. Ricorderà di aver dipinto “ogni giorno” quel tipico “verde tenero come la giovinezza” , i “salici quasi grigi sulle rive, le nebbie trasparenti, i cieli pallidi”.
Alla pittura en plain air che non cessò mai di rimanere nelle sue corde e che fu oggetto di continua sperimentazione, alternò allora quei dipinti aneddotici, di piccole dimensioni ma realizzati con uno stile meticoloso, con scene in costume, di soggetto prevalentemente settecentesco ma anche contemporaneo, eseguiti su ordinazione dei due maggiori mercanti operanti sulla piazza parigina, come Goupil e il tedesco Reitlinger. Come avvenne anche nel caso di Boldini, supererà questa fase e si schiererà a fianco dell’opposizione realista all’arte commerciale, tanto da esporre nel 1874, su invito di Degas, alla prima mostra degli Impressionisti. Anche se questa scelta non avrà seguito, ed entrerà anche in conflitto con loro, continuerà, su un registro molto personale, a perseguire la strada della ricerca e della sperimentazione atmosferica, come sottolineerà l’autorevole Paul Mantz, per il quale “a giudicare dai suoi lavori” era diventato “il nemico giurato degli abbagliamenti alla Fortuny: senza ridursi più del dovuto, i suoi colori si fondono nella dolcezza dell’atmosfera ambiente. La sua fantasia non si blocca in un atelier: apre tutte le finestre e vi fa passeggiare per le strade: davanti ai suoi quadri è sempre facile respirare a pieni polmoni”. L’emblematica rappresentazione della città in trasformazione, quale appare in Place de Pyramides, è il risultato più alto della sua ricerca di restituirci l’immagine e lo spirito della Parigi moderna, così come farà con l’altra metropoli, Londra, dove si trattenne prevalentemente fra il 1875 e il 1879., dando una nuova svolta alla pittura che ora si confrontava con Whistler.
Dopo il definitivo ritorno a Parigi si apriva l’ultima fase della su sperimentazione pittorica, caratterizzata da una sempre maggiore autonomia rispetto all’Impressionismo e da un successo tale, confermato dai riconoscimenti (la medaglia d’oro e la prestigiosa Legion d’Honneur) ottenuti in occasione della sua trionfale partecipazione alla Esposizione Universale del 1878, da far considerare a Martelli la diversità del suo destino rispetto a quello dello sfortunato Cecioni :“ Beppino invece era diventato una stella dei Salon, un artista alla moda per eccellenza, che toccava col dito l’apogeo della sua grandezza”. In realtà De Nittis non si era fatto condizionare dalle mode e lo stesso Martelli doveva riconoscere la sua assoluta originalità tanto che “valeva la pena di fermarsi a considerare come un giovanotto da pochi anni escito dalla lontana e inculta Barletta si fosse potuto elevare a tanto e con tanta sicurezza di stile”.
Quando un dipinto emblematico come Le rovine delle Tuileries veniva acquisito dallo stato francese per il Musée de Luxembourg, Paul Lefort, dalle pagine dell’autorevole “Gazette de Beaux Arts” motivava questo importante riconoscimento con la considerazione che
“benché straniero il signor De Nittis … è il piùparigino dei nostri pittori. Ama e traduce come nessun altro l’aspetto delle nostre strade, dei nostri marciapiedi, delle nostre piazze col relativo movimento, il loro caos, tutta la vita di ogni giorno formicolante e intensa. Nessuno meglio di lui, infine, ha saputo con maggiore verità e arguzia, dipingere una Parigina, a casa sua o fuori, troneggiante nel proprio salotto o mentre trotterella per via, bighellonante o perditempo davanti alle vetrine, oppure mentre va ‘dove va una donna che esce’ “.
di Fernando MAZZOCCA Napoli Dicembre 2017