di Nica FIORI
I visitatori del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, sopraffatti dagli affascinanti reperti che vi sono custoditi e dalle bellezze architettoniche della villa, probabilmente non fanno molto caso al busto in bronzo del suo fondatore Felice Barnabei (1842-1922), collocato nel giardino di destra di fronte alla riproduzione in scala 1:1 del tempio etrusco-italico di Alatri, che egli fece realizzare per fini didattici e che ora è oggetto di un restauro e di un progetto di trasformazione in uno spazio immersivo digitale (la Macchina del Tempio).
Tra l’altro è a lui, tenace assertore dei diritti dello Stato sul patrimonio storico-artistico, che si deve l’acquisizione da parte del Museo del Sarcofago degli Sposi, rinvenuto in innumerevoli pezzi nella tenuta della famiglia Ruspoli (attuale Necropoli della Banditaccia a Cerveteri), in un periodo in cui l’archeologia era spesso fonte di guadagno per i proprietari terrieri e i mercanti d’arte pronti a vendere all’estero al miglior offerente.
La mostra “Felice Barnabei. Gocce di memorie private”, a cura di Maria Paola Guidobaldi, ospitata dal 9 settembre al 10 ottobre 2021 a Villa Giulia nella Sala dei Sette Colli, rende giustamente omaggio a questo archeologo, che è stato una figura di spicco nell’ambito della Direzione generale Antichità e Belle Arti e deputato alla Camera del Regno d’Italia dal 1899 al 1917, facendocelo conoscere da una prospettiva personale e privata. Si tratta di ricordi inediti di famiglia (disegni, fotografie e oggetti d’interesse archeologico), che vengono esposti, come una sorta di introduzione biografica, in attesa delle celebrazioni previste per il centenario della sua morte, il 29 ottobre 2022.
Come ha dichiarato Maria Paola Guidobaldi:
“Dobbiamo essere grati ad alcuni dei suoi discendenti, che in anni recenti hanno donato a questo luogo del cuore del loro illustre antenato venti suoi disegni giovanili e la sua collezione archeologica, di cui il nostro museo si è preso cura e che ora per la prima volta espone al pubblico. Un’occasione per onorare colui che ha legato il proprio nome e la propria intelligente ed energica azione al Museo di Villa Giulia, la cui fondazione nel 1889 come sezione extraurbana del Museo Nazionale Romano si colloca nel fervido clima dell’Italia postunitaria, in cui si gettarono le basi dell’Archeologia Nazionale”.
Il direttore del Museo Valentino Nizzo ha ricordato la pignoleria di Felice Barnabei nel voler registrare gli eventi della sua vita e l’attenzione dei parenti nel non far disperdere i carteggi che costituiscono il “fondo Barnabei”, un patrimonio monumentale per la conoscenza di ciò che è avvenuto nell’archeologia italiana tra Ottocento e Novecento, quando nascono le prime forme di tutela e nasce l’idea di un museo dislocato in più sedi, volto a raccontare l’antichità etrusca e romana, che costituisce un illustre precedente rispetto alla proposta di Carlo Calenda di realizzare un museo unico romano. Felice Barnabei, in effetti, fu in grado nel 1889 di dar vita e di concretizzare nei decenni successivi l’ambiziosissimo progetto del Museo Nazionale delle antichità di Roma. Il suo scopo era quello di dotare la Capitale, finalmente unita alla Nazione, di una realtà in grado di competere con le collezioni Capitoline e Vaticane.
A questo proposito Valentino Nizzo, esprimendo la sua opinione sulla proposta di Calenda in ARTRIBUNE.COM, ha scritto:
“Fu così possibile recuperare complessi architettonici straordinari che giacevano quasi dimenticati, utilizzati in modo più o meno rispettoso del loro passato per funzioni paramilitari. Il chiostro michelangiolesco delle terme di Diocleziano e la villa di Papa Giulio furono le prime sedi di un progetto che in origine doveva convogliare tutto sulle terme. Ma Barnabei aveva un amore particolare per Villa Giulia e seppe renderla la casa permanente dell’archeologia suburbana e, quindi, di quella preromana legata in particolare a Falisci, Etruschi, Umbri e Latini. Alcuni dei popoli che avevano reso grande Roma”.
Barnabei si dimise dalla carriera ministeriale nel 1900, quando si era già dedicato alla vita politica (essendo stato eletto deputato per il collegio di Teramo), dopo lo “Scandalo di Villa Giulia”, che esplose nel 1899 in seguito alle accuse fatte dall’archeologo tedesco Wolfgang Helbig su falsificazioni e mancanza di rigore scientifico nel Museo, accuse che vennero sconfessate da una Commissione d’inchiesta.
Dell’attività parlamentare di Barnabei merita di essere ricordata l’istituzione a Castelli (Teramo) nel 1906 della “Scuola d’Arte applicata alla ceramica”. D’altra parte Felice Barnabei era nato proprio a Castelli nel 1842, in seno a una famiglia dedita alla produzione delle tradizionali maioliche artistiche. Ed è proprio da Castelli e dalla sua famiglia che parte la mostra con due pannelli dipinti, il più grande dei quali (m 3×2) raffigura una Veduta di Castelli, che Giancarlo Bucci ha trasfigurato con grande efficacia e sapienza coloristica partendo da un’immagine d’epoca del pittoresco borgo, situato ai piedi del Gran Sasso d’Italia, ove egli stesso ha studiato in quella Scuola d’arte fondata da Barnabei.
Il dipinto è stato realizzato su pannelli di forex con colori acrilici e con finitura di vernice trasparente opaca, con una tecnica sperimentata per la prima volta dall’artista in funzione dell’allestimento espositivo.
L’altro pannello (m 1.50×2) raffigura l’Albero genealogico della famiglia Barnabei, trasformato da Giampiero Abate e Bianca Maria Scrugli in un’opera figurativa di grande piacevolezza, dipinta, sempre per esigenze di allestimento, con colori acrilici su una pellicola in PVC autoadesiva, successivamente applicata a uno dei supporti di sala.
Fanno parte della mostra otto dei venti disegni autografi (restaurati per l’occasione) donati nel 2019 da Lucia, Guido, Maria Angelina, Francesca e Caterina Fiegna, pronipoti di Caterina Barnabei (sorella di Felice), trovati nell’estate del 2018 nelle soffitte di Palazzo Fuschi a Castelli. Realizzati a matita e a carboncino su carta, sono esercitazioni sul disegno anatomico (gambe, piedi, braccia, mani, una testa) che denotano spiccate qualità disegnative e sembrano preannunciare il futuro interesse per i reperti archeologici. Risalgono agli anni 1854-1858, quando il giovanissimo Felice, grazie a un sussidio del governo borbonico, poté studiare a Teramo presso i Padri Barnabiti e frequentare la scuola di disegno di Pasquale Della Monica.
Abbastanza significativa appare la selezione della collezione archeologica donata al museo di Villa Giulia nel 2018 dalla pronipote Roberta Nicoli Barnabei. Costituita da ottantuno oggetti fra originali e riproduzioni moderne di reperti antichi, la raccolta riflette gli interessi scientifici e professionali di Barnabei, come ha evidenziato la curatrice Antonietta Simonelli. In particolare ci colpiscono in una vetrina i tre frammenti di ceramica sigillata, detta anche “arretina” dalla città di Arezzo (in latino Arretium), che raffigurano a rilievo un personaggio intento a versare del vino in un grande cratere, una scena erotica e un mascherone dai tratti satireschi. Questo tipo di ceramica dal colore rosso brillante suscitò dalla metà dell’Ottocento la curiosità degli studiosi, sia per la tecnica esecutiva, sia per la presenza di marchi di fabbrica, dei quali sono esposti sette calchi con i nomi dei proprietari delle officine aretine, in particolare quello di Marcus Perennius, la cui importante officina era stata individuata proprio negli anni ’80 dell’Ottocento e pubblicata in “Notizie degli Scavi di Antichità”, periodico dell’Accademia dei Lincei, di cui dal 1880 Barnabei era redattore ed è dunque probabile, secondo la Simonelli, che, dopo essere stati utilizzati per la pubblicazione, tali calchi siano rimasti nella disponibilità dello stesso Barnabei.
Tra gli altri oggetti vi sono delle lucerne, una brocchetta attica a vernice nera, una coppa attica, pure a vernice nera, e diversi calchi, tra cui quello in gesso del Vaso dei mietitori, cosiddetto perché raffigura dei mietitori guidati da un suonatore di sistro. L’opera era stata rinvenuta a Creta nel 1902 e pubblicata l’anno successivo insieme a foto tratte sia dall’originale, sia da calchi appositamente eseguiti, in un altro periodico curato da Barnabei, i “Monumenti Antichi”.
Sono oggetti che denotano il suo interesse per l’organizzazione di un’attività artigianale che era stata il vanto e la ricchezza del suo paese, ma che a metà dell’Ottocento era in piena crisi. Lo stesso Barnabei era stato avviato inizialmente a proseguire l’attività paterna, ma nei suoi viaggi d’istruzione in Francia e in Inghilterra si rese conto della difficoltà di portare avanti l’atelier di ceramica paterno senza i mezzi di cui disponevano i grandi stabilimenti stranieri e ciò fu determinante per spingerlo verso altri studi. Si iscrisse alla Scuola Normale di Pisa e si laureò in Lettere nel 1865, con una tesi sulle forme della ceramica greca.
Fra gli oggetti di bronzo della sua collezione spiccano quelli di provenienza medio-adriatica, molto vicini ai materiali caratteristici della necropoli di Alfedena in Abruzzo, la cui esplorazione era stata condotta dalla Direzione generale Antichità e Belle Arti e seguita dallo stesso Barnabei.
Tra gli ornamenti femminili tipici vi era la châtelaine, costituita in origine da almeno nove maglie di filo di bronzo terminanti alle estremità con due spirali, ripiegate nel mezzo con cinque ondulazioni e fissate tra loro tramite anellini. Questa catenella poteva terminare con un pendaglio a disco in lamina incisa con motivi geometrici e borchia mobile al centro, come si vede in mostra, oppure con un elemento costituito da due spirali simmetriche formate da un unico filo di bronzo formante una curva centrale, che conferisce all’oggetto la tipica forma “ad occhiali”. Quest’ultimo elemento, completato da un ardiglione, poteva essere usato come fibula. Sono esposti anelli di bronzo, pendagli di varie forme, un disco traforato con motivo a croce, un gancio di cinturone a forma di volatile e bracciali, tra cui uno, probabilmente maschile, decorato con doppio motivo a spina di pesce.
Completano l’esposizione alcune foto di famiglia prestate dal pronipote Alfredo Celli, tra cui quella di Felice Barnabei all’età di 19 anni, scelta come immagine guida, e una singolare statuetta in ceramica dello stesso Barnabei, da lui realizzata in forma di salvadanaio (forse alludendo ai soldi che gli venivano chiesti dai parenti), prestata per l’occasione dal pronipote Peppino Scarselli. Si può anche vedere un video, realizzato da Mauro Benedetti, che presenta in modo suggestivo tutte le opere donate, oltre alle foto di famiglia e alle vedute di Castelli degli inizi del Novecento.
Nica FIORI Roma 12 settembre 2021
“Felice Barnabei. Gocce di memoria private”
Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Piazzale di Villa Giulia, 9 – Roma. (9 settembre – 10 ottobre 2021). Orario: da martedì a domenica, ore 9-20 (ultimo ingresso ore 19)
La mostra sarà visitabile anche durante ETRU DI SERA, le aperture straordinarie serali dalle ore 20 alle 23. Green Pass obbligatorio http://www.museoetru.it