di Nica FIORI
Torna a splendere la facciata di Sant’Eusebio all’Esquilino
“Ora sull’Esquilino risanato si può abitare” scriveva Orazio in una sua satira (I 8, 14). A distanza di oltre duemila anni possiamo ripetere l’affermazione del celebre poeta sulla “rinascita” di un’area per lungo tempo degradata.
Dopo la riqualificazione del giardino di piazza Vittorio Emanuele II, da poco riaperto alla fruizione dei cittadini, acquista visibilità e un nuovo splendore cromatico anche la facciata di Sant’Eusebio all’Esquilino, la suggestiva chiesa che caratterizza un angolo della grande piazza, anche se in posizione retrostante, non lontano dai resti romani del Ninfeo dell’Acqua Giulia, un tempo noti come Trofei di Mario, situati all’interno del giardino. La chiesa, pur avendo una storia molto antica e opere di pregio, è nota ai romani soprattutto per la folcloristica benedizione degli animali, che si tiene dai primi anni del Novecento sul suo sagrato in occasione della festa di Sant’Antonio abate (17 gennaio).
Il complesso lavoro di restauro di questo edificio di culto, portato avanti dalla Soprintendenza Speciale di Roma, è iniziato quattro anni fa con il restauro del grande affresco di Anton Raphael Mengs sul soffitto della navata centrale, raffigurante La gloria di Sant’Eusebio, che era ricoperto da un velo bianco di efflorescenze saline. A partire dalla fine del 2019 il tetto della chiesa è stato oggetto di un importante intervento strutturale di revisione di tutte le coperture, che si è concluso con il restauro conservativo della facciata posteriore secentesca su via Principe Amedeo e il consolidamento e messa in sicurezza degli apparati decorativi in travertino del grande finestrone lunettato barocco.
L’ultimo restauro, presentato al pubblico lo scorso 16 settembre 2021, ha interessato il portico di ingresso, la scalinata e la facciata, realizzata nel 1711 dall’architetto Carlo Stefano Fontana durante il pontificato di Clemente XI. Come si vede daIle fotografie esposte in uno spazio della chiesa, che mostrano la situazione prima e dopo il restauro, le condizioni di degrado erano molto vistose, tanto che non si riusciva neanche a leggere parte dell’iscrizione dedicatoria sull’architrave (IN HONOREM SANCTI EUSEBII CONFESSORIS ANNO DOMINI MDCCXI). Gli intonaci e i materiali in pietra erano anneriti dall’inquinamento atmosferico e alcuni distacchi delle superfici esterne compromettevano la conservazione degli apparati decorativi.
Si è trattato di un intervento particolarmente delicato, come ha sottolineato la responsabile del cantiere arch. Alessandra Centroni, che ha consentito un restauro accurato e rispettoso dell’edificio e che ha rappresentato allo stesso tempo un’importante occasione di studio per comprendere meglio le tecniche e le caratteristiche costruttive dei materiali impiegati nella fabbrica e per ricostruirne le fasi e le trasformazioni che si sono succedute nel tempo. Dopo una prima fase conoscitiva e diagnostica (con il supporto della tecnologia a laser scanner), che ha messo in luce una situazione più compromessa di quello che ci si aspettava, è iniziato il restauro vero e proprio con il consolidamento, disinfezione e pulitura di tutti gli intonaci e delle statue che coronano la parte superiore della facciata. Si è proceduto quindi con la scelta cromatica della nuova pittura, che rispecchia un atteggiamento conservativo della situazione precedente al restauro – sicuramente in sintonia con gli edifici umbertini della piazza – e non di quella settecentesca.
Come ha dichiarato la Soprintendente Speciale Daniela Porro nel corso della presentazione dei lavori:
«La restituzione della facciata di Sant’Eusebio è un restauro importante, guidato con grande abilità dall’architetto della Soprintendenza Alessandra Centroni. Fa parte di un articolato piano di interventi sul rione Esquilino, di cui mi piace ricordare i recenti lavori al Museo della Liberazione, a Santa Croce in Gerusalemme, al Tempio di Minerva Medica e la prossima apertura del Museo Ninfeo proprio a piazza Vittorio e, da ultimo, la dichiarazione di interesse culturale per il rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale a Piazza Dante».
I passanti possono ora godere della visione di questa chiesa monastica dalla facciata bicroma elegante e movimentata, sorta secondo la tradizione sopra la domus di Eusebio, un presbitero romano del IV secolo dopo Cristo, tenace assertore del dogma cattolico contro l’eresia ariana e per questo condannato dall’imperatore ariano Costanzo II agli arresti domiciliari. E nella sua casa dell’Esquilino sarebbe morto dopo alcuni mesi passati in preghiera il 14 agosto del 353. Per questo viene definito “confessore”, e non martire in senso stretto, perché morì confessando la sua fede.
Il colle Esquilino, dove abitava Eusebio, era in parte compreso nella cinta delle mura serviane del VI secolo a.C.; adibito inizialmente a sepolcreto, era stato risanato sotto Augusto, quando Mecenate vi costruì la propria villa, ed era divenuto quindi un elegante quartiere residenziale (come ricordato da Orazio), che godeva oltretutto di grande ricchezza idrica perché attraversato dagli acquedotti.
I sotterranei che si trovano sotto la chiesa sono relativi a un’insula del II secolo con riadattamenti del IV-V secolo. La sua trasformazione in titulus Sancti Eusebii è poco documentata, ma risale probabilmente a un periodo di poco posteriore alla morte del santo. Si sa che verso la fine del V secolo il clero di Sant’Eusebio partecipò a due importanti sinodi: quello del 494 voluto da papa Gelasio e quello del 499 voluto da papa Simmaco. Il luogo di culto, annoverato tra le stazioni quaresimali di Roma da San Gregorio papa, venne restaurato nel 750 da papa Zaccaria e successivamente da altri pontefici, finché nel 1238 Gregorio IX rinnovò la chiesa dalle fondamenta, riconsacrandola ai Santi Eusebio e Vincenzo. Affidata ai monaci Celestini nel Medioevo, fu utilizzata nell’Ottocento dai padri Gesuiti fino al 1873, quando il monastero divenne proprietà del Governo italiano, mentre la chiesa divenne poco dopo parrocchia e fu affidata al clero secolare.
La chiesa duecentesca era di tipo basilicale, con tre navate sorrette da 14 colonne di marmo pregiato, transetto, schola cantorum e portico esterno a cinque arcate.
Nel corso dei secoli si sono susseguiti numerosi mutamenti e dell’edificio medioevale rimane solo il campanile con trifore, risalente al XIII secolo. Nel portico sono conservate due epigrafi, una relativa alla consacrazione del 1238, l’altra alle indulgenze concesse da Gregorio XIII nel 1573.
L’aspetto attuale risale al Settecento e più esattamente ai lavori del 1711 per l’esterno e al 1759 per l’interno, come si legge rispettivamente nella facciata e sull’arco della navata centrale. Carlo Stefano Fontana, nipote del più celebre Domenico Fontana, è autore della facciata e del portico a cinque archi poggianti su pilastri. Questo architetto, erede della tradizione architettonica ticinese, ha realizzato un prospetto di grande equilibrio, segnato dall’alternanza di lesene con capitelli dorici nell’ordine inferiore e ionici superiormente. Nel secondo ordine si aprono cinque finestre sormontate da timpani mistilinei. Il tutto è coronato da una balaustra con statue in pietra di santi ai lati di una ampia lunetta (con stemma centrale) con due angeli.
L’attuale scalinata a doppia rampa di accesso alla chiesa, che è rialzata rispetto al piano stradale, è molto più recente ed è dovuta ai grandi lavori di urbanizzazione seguiti alla proclamazione di Roma capitale nel 1871, con la costruzione della nuova zona residenziale sul colle Esquilino. Le antiche incisioni di Giuseppe Vasi del 1753 mostrano la situazione antecedente ai lavori ottocenteschi.
L’interno della chiesa (tre navate separate da archi su pilastri), ristrutturato nel 1600 da Onorio Longhi (cui si deve l’altare maggiore e l’area del presbiterio), e da Niccolò Picconi attorno alla metà del Settecento, è caratterizzata da una sobria decorazione a stucchi bianchi e dorati.
L’opera che spicca maggiormente è l’affresco della volta mediana con la Gloria di Sant’Eusebio commissionato ad Anton Raphael Mengs nel 1757 nell’ambito del programma di rinnovamento voluto dal cardinale Enrico Enriquez. Si tratta della prima opera pubblica del giovane artista boemo, che sembra un omaggio alla grande arte rinascimentale e barocca italiana, prima della sua svolta neoclassica sulle orme di Winckelmann. Il recente restauro ha messo in luce molte figure nella parte superiore e in particolare quelle della Trinità nella raffigurazione del Paradiso.
Nella chiesa sono presenti anche pitture di Pompeo Batoni, Baldassare Croce, Carl Borromäus Andreas Ruthart, Francesco Solimena e altri. Degne di devozione, più che di valore artistico, sono la statua della Madonna Immacolata nel portico (eretta nell’Anno Mariano 1954) e quella di Sant’Antonio abate all’interno, dove troviamo anche le statue di Sant’Antonio da Padova e di San Pio da Pietrelcina, un santo che gode attualmente di grande venerazione, perché ancora presente nel ricordo di chi lo ha conosciuto.
Nica FIORI Roma 19 settembre 2021