di Nica FIORI
Se pensiamo alla situazione di Palazzo Barberini nel Novecento, quando la Galleria Nazionale d’arte antica di Roma divideva i suoi spazi con il Circolo Ufficiali delle Forze armate, bisogna riconoscere che questo splendido palazzo barocco (vi hanno lavorato gli architetti Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini) è rinato, passo dopo passo, a nuova vita. Con la restituzione, un po’ per volta, di tutti gli spazi precedentemente occupati dai militari, il museo ha raggiunto già da qualche anno dimensioni grandiose e, dopo accurati interventi di restauro e restyling degli ambienti, può ora esporre i suoi capolavori secondo criteri più moderni.
Nel piano nobile del palazzo sono state riaperte al pubblico dall’8 ottobre le sale del Cinquecento, dalla n. 12 alla 18, dopo un intervento di riqualificazione e riallestimento, curato dalla direttrice delle Gallerie Nazionali di arte antica Flaminia Gennari Santori con Maurizia Cicconi e Michele Di Monte, secondo un modello concettuale cominciato nel 2017 con il riallestimento dell’Ala Sud e continuato con le sale del Seicento nel 2019. I prossimi interventi riguarderanno invece il piano terra con il settore dedicato ai Primitivi. L’intento, come ha dichiarato Flaminia Gennari Santori
“è quello di restituire al pubblico un percorso organico e facilmente leggibile, in una struttura espositiva narrativa che metta in risalto anche la storia del palazzo e delle sue collezioni”.
Il rinnovamento delle sale ha interessato le strutture architettoniche, l’impianto di illuminazione, la grafica e gli apparati didattici, con nuovi pannelli esplicativi e didascalie molto ben leggibili (in italiano e inglese), che spiegano ampiamente ogni singola opera, mentre prima ogni sala aveva un unico pannello d’insieme. Una grande novità è data dalla suddivisione tematica, che ha comportato diversi cambiamenti nella sequenza espositiva.
Si tratta di un allestimento accuratamente selezionato e volutamente minimale. Già nell’atrio berniniano, alla fine dello scalone monumentale di Bernini, notiamo questi cambiamenti. Sono stati eliminati i busti dei Barberini (che troveremo alla fine del percorso) e, per valorizzare l’architettura, si è scelto di esporre una sola opera, La Velata di Antonio Corradini (1743): una scultura che rappresenta la vestale Tuccia, quella leggendaria figura di donna che per dimostrare la propria verginità trasportò nel foro romano l’acqua del Tevere con un crivello, appellandosi alla dea Vesta. È un’opera caratterizzata dalla trasparenza del velo sul volto, che Corradini avrebbe ripetuto in altre statue tra cui la Pudicizia della Cappella Sansevero a Napoli.
Le 42 opere esposte nelle sale del Cinquecento, quasi tutte appartenenti alle collezioni delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, si sono arricchite per l’occasione di alcuni prestiti temporanei da collezioni pubbliche e private, e sono disposte su un’unica fila per consentire una migliore visibilità con accostamenti che seguono un ordine cronologico-geografico con approfondimenti monografici.
Il percorso espositivo comincia con il Galata, una copia romana del I secolo d.C. da originale ellenistico del II a.C., che, non essendo completamente integro, è stato rilavorato come Ippomene, ovvero il mitico corridore che, nella gara di corsa contro l’imbattibile Atalanta, vince perché lascia cadere i tre pomi d’oro donatigli da Afrodite, che lei non può fare a meno di raccogliere. È una statua che evidenzia l’attività collezionistica della famiglia principesca, perché il nuovo allestimento vuole evidenziare la storia del casato e del palazzo. Il pannello di sala ci informa che ci troviamo nell’ala nord-occidentale del piano nobile, nell’appartamento di Anna Colonna, moglie del principe Taddeo Barberini, mentre dalla didascalia ragionata scopriamo che il “restauro” del Galata può essere attribuito a Niccolò Menghini, lo “statuario” di fiducia del cardinal Francesco, che lavorò per la famiglia dagli anni Trenta del Seicento.
La sala 12, intitolata “Tradizione e devozione” propone opere raffiguranti la Sacra Famiglia, come quella di Andrea del Sarto, con una umile Madonna che poggia il piede sulla paglia, che può essere confrontata con quella più sontuosa di Perin Del Vaga, con la Madonna con Bambino e san Giovannino del Beccafumi, con la Madonna Hertz di Giulio Romano e con un dipinto di Martino Piazza, che ci colpisce per il fitto repertorio di simboli relativi all’incarnazione e resurrezione del Messia.
La sala 13 ospita un solo dipinto, realizzato da Lorenzo Lotto, cui si è scelto di dare grande risalto, anche se non è certo l’opera più celebre della galleria.
Si tratta del Matrimonio mistico di santa Caterina con i santi Girolamo, Giorgio, Sebastiano, Antonio Abate e Nicola di Bari (1524): un’opera firmata e datata che è stata realizzata in occasione del matrimonio di Marsilio e Faustina Cassotti, che a Lotto avevano già commissionato a Bergamo il loro duplice ritratto coniugale (oggi al Prado). A presiedere e benedire le nozze è la Madonna che mostra le due vie: quella faticosa di san Girolamo, che indica a sua volta i santi Nicola e Antonio abate, e quella dell’amorevole carità di Caterina, che si contrappone a san Giorgio, tutti disposti in una struttura a chiasmo.
La “Pittura ferrarese” (sala 14) propone alla vista opere di Dosso Dossi e di Benvenuto Tisi detto il Garofalo, del quale sono esposti, oltre all’Ascensione di Cristo d’ispirazione raffaellesca e a un’altra opera religiosa, due quadri di argomento mitico.
Uno di essi, La Vestale Quinta Claudia trasporta la statua di Cibele (1530-35), rimanda al concetto di ordalia che abbiamo già visto per la vestale Tuccia, perché la protagonista Claudia, accusata ingiustamente, dimostra la propria innocenza compiendo l’impresa prodigiosa di disincagliare la nave che si era arenata alla foce del Tevere.
La sala 15 è dedicata al Cinquecento senese, con i lavori di Marco Bigio, del Sodoma e di Girolamo Genga, autore di uno Sposalizio mistico di santa Caterina (1520-1530), che appare affollato di personaggi, tra i quali si nota l’insolita presenza sullo sfondo a sinistra di Elisabetta e Zaccaria con il piccolo Giovanni Battista, che enfatizza la dimensione matrimoniale del tema, che potrebbe spiegare l’occasione della committenza.
Segue la prestigiosa sala dei ritratti (la 16) intitolata Lo sguardo del Rinascimento, che dà una suggestiva panoramica dell’interesse per la rappresentazione dell’individuo che si afferma proprio nel Cinquecento.
Qui ritroviamo alcune delle opere più celebri delle Gallerie Nazionali, dall’affascinante Fornarina di Raffaello alla Maria Maddalena di Piero di Cosimo, nella sua elegante versione vestita, che si contrappone alla sensuale carnalità della presunta amante di Raffaello. Tra gli altri personaggi troviamo la figura del condottiero Stefano IV Colonna ritratto dal Bronzino, quella del re nel ritratto di Enrico VIII attribuito a Hans Holbein, l’intellettuale Erasmo da Rotterdam di Quentin Metsys.
Proseguendo il percorso, nella sala dedicata alla pittura della Maniera centro-italiana, la grande novità è data dalla grande pala di Giorgio Vasari e bottega raffigurante l’Allegoria dell’Immacolata concezione, che si differenzia dalle rappresentazioni di quell’epoca caratterizzate dalle dispute sul tema, perché Vasari prende una posizione netta, mettendo al centro del dipinto la figura del serpente-diavolo sull’albero della Conoscenza, che viene schiacciato da Maria Immacolata. Si tratta di un’opera recuperata dal deposito del Museo Statale di Arezzo, che viene eccezionalmente presentata al pubblico durante le prime due settimane di esposizione, prima di essere sottoposta a delicati interventi di restauro, al termine dei quali l’opera verrà riallestita in questa sala, affiancando quelle del Maestro della Madonna di Manchester, del seguace di Maarten van Heemskerck, di Daniele da Volterra, di Jacopino del Conte, di Francesco Salviati e di Pierino da Vinci.
Il percorso si conclude nella Sala della Divina Sapienza, cosiddetta dall’omonimo affresco di Andrea Sacchi, un tema dalle forti valenze politiche ed encomiastiche, la cui complessa iconografia deriva dal biblico Libro della Sapienza, attribuito al re Salomone, prototipo del re saggio e illuminato assistito dalla sapienza divina, a cui Urbano VIII si paragona.
In questa sala viene evidenziata la rilevante funzione originaria di massima rappresentanza simbolica degli appartamenti del principe Taddeo Barberini, con l’esposizione di opere che illustrano i protagonisti della famiglia Barberini, ovvero i ritratti dipinti e scolpiti di Urbano VIII e dei suoi nipoti, realizzati da Gian Lorenzo Bernini, Giuliano Finelli, Lorenzo Ottoni.
Al centro della sala, i due Globi della sfera celeste e terrestre di Matthäus Greuter evocano lo spiccato interesse dei Barberini per gli oggetti legati alle nuove discipline ottiche, fisiche, astronomiche e cartografiche.
Di grande interesse storico è il grande dipinto, eseguito da Andrea Sacchi, Jan Miel e Filippo Gagliardi, che raffigura la Chiesa del Gesù nel 1639 in occasione del Centenario della fondazione della Compagnia di Gesù. Vi si riconoscono il pontefice Urbano VIII in visita ufficiale, i nipoti cardinali Francesco e Antonio e altri componenti della famiglia.
La festa era stata sponsorizzata da Antonio Barberini e il regista dell’evento era stato Andrea Sacchi. La cosa che ci colpisce maggiormente è la visione contemporanea dell’interno e dell’esterno della chiesa (con la carrozza papale e perfino il nano di corte), come se il pittore avesse tagliato la facciata dell’edificio.
Nica FIORI Roma 10 ottobre 2021
Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini. Via delle Quattro Fontane, 13 – 00184 Roma www.barberinicorsini.org gan-aar.comunicazione@beniculturali.it
Orari martedì – domenica 10.00 – 18.00. Ultimo ingresso alle ore 17.00
Biglietto: Intero 10 € – Ridotto 2 € (ragazzi dai 18 ai 25 anni). Gratuito per gli aventi diritto