di Claudio LISTANTI
Il Teatro dell’Opera di Roma, in attesa della Stagione Lirica 2021-2022 che partirà nel prossimo mese di novembre e che segnerà la piena ripartenza del teatro lirico della capitale per le concomitanti nuove disposizioni che permettono la presenza totale del pubblico nelle sale, ha programmato in queste ultime settimane, per gli appassionati romani, una preziosa ‘anteprima’ proponendo un nuovo allestimento della Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi.
La proposta ha avuto un buon riscontro presso il pubblico grazie anche alla partecipazione di una compagnia di canto che prevedeva la presenza di cantanti molto apprezzati a livello internazionale come il soprano Nino Machaidze, il tenore Francesco Meli ed il baritono Roberto Frontali, affidando la conduzione dell’orchestra a Daniele Gatti direttore musicale del teatro romano e la regia a Davide Livermore uno degli artisti più apprezzati nel vasto mondo dello spettacolo.
La scelta di riproporre questo interessante titolo della produzione verdiana è da approvare pienamente in quanto mancava dalle scene del Teatro dell’Opera di Roma da quasi mezzo secolo, più esattamente dal 1972 quando Giovanna d’Arco fu rappresentata sul palcoscenico del massimo teatro lirico romano, con il personaggio dell’eroina verdiana affidata all’allora giovane emergente Katia Ricciarelli, una delle prime interpretazioni della sua luminosa carriera.
Nella produzione verdiana, Giovanna d’Arco, è collocata all’interno di quel periodo dell’attività del musicista bussetano che va sotto il nome di ‘anni di galera’ caratterizzati da una frenetica e intensa produzione di opere, molte delle quali poco considerate dalla critica di allora, producendo, così, una sorta di velato ‘ostracismo’ terminato in Italia nella seconda metà del ‘900 e conseguente a quel movimento etichettato con il nome di ‘Verdi renaissance’ che ebbe inizio, e prosperò, in Germania nel secondo quarto del XX secolo fino al primo dopoguerra grazie al pensiero ed all’impegno dello scrittore Franz Werfel e del direttore d’orchestra Fritz Busch.
Giovanna d’Arco fu composta nella seconda metà del 1844 e rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 15 febbraio 1845. Segue di poche settimane la prima romana al Teatro Argentina de I due Foscari andata in scena del 3 novembre 1844. Poco prima della prima di Giovanna d’Arco Verdi fu impegnato, sempre alla Scala, ad una ripresa de I Lombardi alla Prima Crociata programmata per prolungare il costante successo che riscosse fin dal suo apparire nel 1843. Come si può vedere un’attività febbrile che il poco più che trentenne compositore, anche se nel pieno delle forze mentali e fisiche, comunque, mal sopportava perché in contrasto con il suo modo di creare basato sull’approfondimento di personaggi e situazioni che necessitavano di una indispensabile ‘maturazione’ interna a favore della quale giocava una partita fondamentale il tempo ad essa dedicato.
Inoltre Giovanna d’Arco è situata presso un importante crocevia della parabola compositiva di Verdi. Proprio in quegli anni la Scala stava attraversando un periodo di crisi. Bartolomeo Merelli geniale impresario che ne aveva fatto le sue fortune anche perché protagonista della ‘scoperta’ del genio di Verdi, era in un momento di difficoltà finanziaria, elemento che si ripercuoteva sulle produzioni teatrali e ormai, nel teatro milanese, le risorse disponibili erano destinate quasi esclusivamente alla scrittura di interpreti di primissimo piano trascurando però tutti gli altri elementi fondamentali per la costruzione di uno spettacolo d’opera. A dimostrazione di ciò proprio per la Giovanna d’Arco furono scritturati cantanti di chiara fama come i coniugi Erminia Frezzolini soprano nella parte di Giovanna e il tenore Antonio Poggi nella parte di Carlo VII assieme al baritono Filippo Colini che interpretò la parte di Giacomo. Tutti cantanti stimati da Verdi che all’epoca furono protagonisti di diverse prime assolute non solo sue ma anche di Donizetti.
Ma, come accennato, le altre componenti dello spettacolo soffrivano delle scarse risorse disponibilei e della conseguente scarsa cura a loro dedicata, fatto che non soddisfaceva Verdi attratto sempre di più da uno spettacolo ‘totale’. Questo stato di cose costrinse Verdi ad interrompere la fattiva collaborazione con la Scala destinando ad altri teatri, italiani e stranieri, le rappresentazioni delle sue nuove creazioni. Tornerà, poi, in vecchiaia a dedicare al teatro milanese le prime assolute. Infatti da questo 1845 la Scala dovette aspettare il 1887 per avere, con Otello, una prestigiosa prima assoluta verdiana anche se nel frattempo Verdi presentò alla Scala opere destinate ad altri teatri con la seconda edizione de La forza del destino nel 1869, la prima italiana di Aida nel 1872 e l’importantissimo rifacimento del Simon Boccanegra nel 1881, ultima tappa di un riavvicinamento al mitico teatro milanese.
Fatte queste premesse di carattere storico la Giovanna d’Arco fu musicata su un libretto di Temistocle Solera ed ha come base di ispirazione il dramma Die Jungfrau von Orleans (La Pulzella d’Orléans) di Friedrich Schiller. Anche questo elemento è importante per la vita artistica di Verdi perché con questa opera inizia l’ispirazione teatrale al grande drammaturgo tedesco che sui suoi drammi costruirà, poi, capolavori come I Masnadieri, Luisa Miller, senza dimenticare l’ispirazione a Wallensteins Lager (Il campo di Wallenstein) utilizzata per la scena dell’accampamento del terzo atto de La forza del destino fino a giungere al grande affresco storico-musicale di Don Carlos opera fondamentale per la produzione verdiana.
La Jungfrau di Schiller, scritta nel 1801, propone una Giovanna d’Arco contrastante con il personaggio narrato dalla Storia, descritta come una eroina romantica, innamorata e guerriera che non muore arsa sul rogo perché quando è legata al palo riesce a sciogliere le funi per andare a difendere la Francia e morire nel fragore della battaglia.
Questo testo stimolò la fantasia di Temistocle Solera, librettista emblematico del primo Verdi, coprotagonista con il musicista di Oberto e anche dei successi di Nabucco e dei Lombardi, soprattutto per quei fremiti ‘risorgimentali’ che animavano l’Italia di quel periodo, elementi che sono presenti anche nel dramma di Schiller, per questa occasione estremamente semplificato. Nel originale agiscono più di venti personaggi qui ridotti praticamente a tre, un ‘trittico’ composto da Giovanna, il padre Giacomo e il re Carlo VII ai quali si aggiungo altri due personaggi mnori, Talbot e Delil relegati entrambi a ruoli di comprimari. La figura di Giovanna è in bilico tra le visioni e i richiami angelici e demoniaci e l’eroismo da condottiera. Nell’opera nasce un’attrazione amorosa con il re Carlo VII che si innamora, ricambiato, della fanciulla. A contrasto c’è la figura del padre Giacomo oppositore degli impulsi guerreschi della figlia ma che, alla fine, ne favorirà il desiderio di difendere il re contro gli inglesi nella battaglia che le sarà poi fatale. Un personaggio prototipo di altri ‘padri’ delle opere verdiane che lascia intravedere quello di Luisa Miller, come Rigoletto per arrivaare fino ad Amonasro.
La partitura di Giovanna d’Arco, che al suo apparire ebbe anche un discreto successo di pubblico è stata piuttosto osteggiata fin dall’inizio da molti rappresentanti della critica dell’epoca fino ad arrivare ai giorni nostri nei quali, però, è stata valutata con più serenità mettendo in risalto le cose buone che indubbiamente contiene. Certo gli ‘anni di galera’ hanno nuociuto a questa opera soprattutto nella continuità teatrale che comunque senza dubbio emerge in particolar modo per il personaggio della protagonista dominata dal piglio guerriero ed eroico che caratterizzano i ruoli femminili del primo Verdi, come la precedente Abigaille del Nabucco e le future Odabella dell’Attila e la Lady di Macbeth, alle quali il musicista ha regalato una linea vocale spesso travolgente che ne mette in evidenza un indiscutibile ‘fascino’.
La Sinfonia è uno degli elementi più importanti dell’opera per la sua struttura ed il sapiente uso dell’orchestrazione caratteristiche che le consentono di comparire con una certa frequenza nell’ambito dei programmi squisitamente sinfonici. Anche l’uso dei cori, spesso a torto criticati, sono in linea con le caratteristiche trascinanti e ‘guerresche’ del primo Verdi così come le parti musicali che descrivono le celebri, e a volte contrastate, ‘visioni’ del personaggio principale.
Per quanto riguarda la disamina dello spettacolo che abbiamo visto al Teatro dell’Opera, partiamo dall’allestimento, elemento caratterizzante delle singole rappresentazioni a scapito, spesso, dei valori musicali e vocali. Innanzitutto, da quanto abbiamo potuto verificare, c’è da dire che ha incontrato senza dubbio il favore del pubblico. Affidato alle cure di Davide Livermore, artista teatrale tra i più in auge oggi, autore di numerosissime messe in scena che fanno scaturire accesi dibattiti tra gli appassionati e i critici per la validità delle sue proposte. Per Giovanna d’Arco ha concepito un impianto scenico fisso, a forma circolare e contornato da spalti che contenevano le parti corali mentre al centro agivano i vari personaggi.
Sullo sfondo una sorta di oblò, o finestra circolare, che tramite proiezioni (sempre più presenti nei teatri lirici) aveva lo scopo di mettere in evidenza i contrasti del personaggio protagonista, in bilico tra una fisicità reale e la parte più spirituale e visionaria, per una evidente, e condivisibile, contrapposizione delle sue peculiarità e della sua storia interiore. Una caratteristica fondamentale accresciuta anche dall’uso di parti danzate soprattutto concomitanti con la sinfonia e a numerose parti mimate che arricchivano la visione di insieme consentendo allo spettatore una percezione più completa del personaggio. Fortunatamente non sono state adottate trasposizioni d’epoca e ambientazioni particolari che funestamente costellano oggigiorno le proposte di teatro lirico rendendo, così, l’insieme sufficientemente godibile anche se a parere nostro si è creato una sorta di ‘appiattimento’ per lo spettatore dovuto al frequente uso di colori poco vivaci come il grigio, del quale purtroppo si abusa.
A partecipare a questo nuovo allestimento del Teatro dell’Opera per il quale Davide Livermore ha creato anche la coreografia, hanno felicemente contribuito all’impronta data dal regista le scene di Giò Forma, i costumi di Anna Verde, le luci di Antonio Castro e la società specializzata nella moderna componente di ‘entertainment design’ D-wok ai quali si aggiungono gli elementi scenici del Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia Per questa parte dello spettacolo c’è da segnalare anche la valida prestazione del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera del quel occorre citare le prove dei Primi Ballerini Susanna Salvi (Giovanna d’Arco) e Claudio Cocino (Un angelo).
Per quanto riguarda la compagnia di canto, come già anticipato, era composta da cantanti di prim’ordine che hanno saputo dare giusto rilievo alle caratteristiche vocali delle parti a loro affidate. Ad iniziare dal soprano georgiano Nino Machaidze nella parte del titolo; forse ha trovato qualche difficoltà nella scena iniziale fornendo però una interpretazione in crescendo man mano che procedeva l’esecuzione, dimostrando di essere per nulla intimorita dalle oggettive difficoltà vocali della parte perfettamente corrispondente al piglio eroico delle parti femminili verdiane restituendoci una Giovanna del tutto apprezzabile.
Nella parte del re Carlo VII uno dei cantanti italiani più applauditi di oggi in special modo nel repertorio verdiano, il tenore genovese Francesco Meli. Il suo Carlo VII è risultato palpitante e scenicamente credibile mostrando sicurezza nella linea vocale molto impegnativa, anch’essa emblematica dei furori e dello spirito del primo Verdi ottenendo un lusinghiero e meritato successo personale. Giacomo era il baritono Roberto Frontali, altro cantante in possesso di una lunga esperienza nei numerosi ruoli fondamentali che Verdi scrisse per questo tipo di voce nell’arco della sua lunga carriera. Anche se a volte l’emissione vocale di Frontali risulta un po’ nasale e forse monotona, ha comunque dato al personaggio affidatogli la necessaria autorevolezza interpretativa. Nelle parti secondarie il basso Dmitry Beloselskiy Talbot e il tenore Leonardo Trinciarelli Delil.
La direzione di Daniele Gatti è stata, come sempre, attenta e diligente per un autore ‘particolare’ come Verdi che lo interpreta sempre con la dovuta intensità e teatralità anche se in questa occasione avremmo preferito, in alcuni punti, una più vivace scelta dei tempi. Comunque cose di poco conto che non intaccano la validità dell’esecuzione favorita anche dalla buona prova dell’Orchestra del Teatro dell’Opera. Una citazione anche per il Coro del Teatro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani che ha dimostrato di inserirsi al meglio nell’esecuzione realizzando con efficacia il ruolo preminente che il coro ha sempre in Verdi, in special modo per le opere dei suoi primi anni di attività.
Lo spettacolo (ci riferiamo alla recita del 19 ottobre) è stato a lungo applaudito dal numeroso pubblico presente al Teatro dell’Opera grazie alla ormai consolidata riapertura dei luoghi dello spettacolo. Un vivo e sincero successo per tutti gli interpreti e per un’opera che meriterebbe senza dubbio esecuzioni più frequenti.
Claudio LISTANTI Roma 24 ottobre 2021