di Claudio LISTANTI
La Stagione Sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia aveva in programma per giovedì 28 ottobre, con replica il venerdì ed il sabato successivi, un concerto dai molteplici punti di interesse che prevedeva la partecipazione di due interpreti di primissimo piano, Philippe Herreweghe uno dei direttori più in vista di questi ultimi anni e del pianista Alexander Lonquich tra i più stimati strumentisti in attività.
Queste due stelle del panorama musicale internazionale hanno scelto un programma del tutto accattivante, e affascinante, che poi è stato l’altro elemento cardine della serata, costituito dal Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54 di Robert Schumann e le musiche di scena per Sogno di una notte di mezza Estate, op. 61 (MWV M13) di Felix Mendelssohn-Bartholdy. Due musicisti pressoché coevi, Mendelssohn nato nel 1809 e Schumann nel 1810, per due grandi capolavori anch’essi coevi, 1843 per le musiche di scena e 1845 per l’esecuzione definitiva del concerto di Schumann.
Il direttore belga Philippe Herreweghe, come è noto a tutti gli appassionati di musica, si è imposto all’attenzione del mondo musicale per la sua attività di interprete del repertorio antico e barocco per autori come Bach, Monteverdi, Rameau per i quali ha fornito sempre avvincenti esecuzioni ottenute grazie all’utilizzo di complessi vocali e strumentali specialisti anche da lui stesso fondati come la Chapelle Royale o il Collegium Vocale Gent con il quale, qui in Italia nel 2001, ha fondato il Festival delle Crete Senesi che nel periodo estivo ravviva culturalmente alcuni luoghi del sud di Siena compresi nella zona di Asciano.
Ma come molti direttori delle sue caratteristiche, anche Herreweghe con il procedere della sua splendida carriera ha ampliato il suo repertorio spingendosi verso il repertorio romantico e tardo ottocentesco affrontato con orchestre sinfoniche, non solo quelle formate da strumenti originali come l’Orchestre des Champs Élysées da lui stesso fondata proprio per l’esecuzione del repertorio che preromantico e romantico fino a Mahler ma dirigendo anche quelle formate da strumenti di moderna concezione come i Wiener Philarmoniker o la Staatskappelle di Dresda per arrivare anche alla nostra orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con la quale ha debuttato proprio in questa occasione. Elemento, questo, cha ha arricchito notevolmente la valenza artistica del concerto.
Il concerto per pianoforte di Schumann è senza dubbio uno dei capolavori musicali più emblematici del periodo cosiddetto ‘romantico’. L’iter compositivo del Concerto in la minore op. 54 si colloca nel periodo compreso tra il 1841 e il 1845. Questi anni si possono considerare tra i più felici della purtroppo breve vita di Schumann iniziato nel 1840 con il matrimonio di Clara Wieck, persona molto importante per il musicista, sia per il suo notevole talento di pianista, sia per la speciale collaborazione artistica che gli offrì contribuendo ad accrescere la sua indiscussa genialità.
In particolare fu proprio il 1841 uno degli anni di svolta della parabola compositiva di Schumann. Fino ad allora aveva scritto esclusivamente per pianoforte ma proprio in quest’anno la sua sensibilità di creatore virò verso il sinfonismo una scelta certamente incoraggiata anche da Clara. Proprio in quest’anno iniziò la gestazione del concerto per piano. Incipit fu la composizione dell’Allegro per pianoforte e orchestra che ebbe il significativo titolo di Fantasia, termine usato in musica quando si intende comporre un brano lontano dagli schemi formali che consenta una maggiore ‘libertà’ strutturale. Non fu mai eseguito pubblicamente da Clara ma il 13 agosto del 1841 fu provato con l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Il successivo 1 settembre Clara diede alla luce la primogenita Marie ed il progetto fu accantonato. La composizione, comunque è divisa in tre tempi, Allegro affettuoso, Andante espressivo e Allegro e, nel complesso possiede le caratteristiche di un brano del tutto autonomo caratterizzato da una speciale freschezza tematica.
Fu proprio questa caratteristica che convinse Clara a consigliare al marito Robert di finalizzare questa sua invenzione trasformandola in un più articolato concerto per piano e orchestra. Nel 1845 Schumann aderì al ‘consiglio’ ed aggiunse altri due movimenti, un breve Intermezzo centrale (Andantino grazioso) ed un Allegro vivace come scoppiettante finale. Il Concerto fu eseguito per la prima volta a Dresda il 4 dicembre 1845 con Clara al piano e la direzione di Ferdinand Hiller. Pochi giorni dopo, l’1 gennaio del 1846 fu eseguito per la prima volta al Gewandhaus di Lipsia sotto la direzione di Mendelssohn.
Dopo queste brevi note si può pensare che il Concerto di Schumann possa soffrire di una certa discontinuità data da questo ‘assemblaggio’ di brani in diverse epoche. La critica è quasi unanime nel riconoscere a questo brano una continuità formale garantita da una unitarietà tematica che riesce a congiungere il primo movimento con gli altri due che lo stesso Schumann considerava del tutto legati, raccomandando agli esecutori di eseguirli di seguito come riportato in una sua lettera ”…I due ultimi brani vanno eseguiti senza interruzione…” come se il concerto fosse diviso in soli due tempi. Nel complesso Schumann ha regalato all’ascoltatore un forte senso di omogeneità fra tutte le parti con la sensazione, però, di un certo squilibrio tra parte pianistica preminente e parte sinfonica di accompagnamento.
Proprio queste peculiarità rendono difficile l’esecuzione di questo splendido brano che solo la presenza di due esecutori (pianista e direttore) di grande livello può superare, rendendo del tutto godibile l’ascolto. Ed è proprio quanto accaduto a Santa Cecilia con i due grandi interpreti chiamati ad eseguirlo ognuno dei quali ha dato il giusto impulso all’esecuzione. A partire da Philippe Herreweghe con una direzione attenta e calibrata che ne metteva in risalto la cantabilità e lo svolgimento tematico che ben si fondeva con il pianismo di Alexander Lonquich solista di grande esperienza soprattutto nel repertorio romantico che ha saputo assecondare l’orchestra in maniera del tutto efficace soprattutto nel virtuosistico finale che può indurre l’esecutore a sovrastare il discorso orchestrale contribuendo ad offrire una esecuzione del tutto misurata e ‘romanticamente’ efficace.
Per Lonquich un successo personale di grandi dimensioni decretato da un pubblico come quello dei concerti di Santa Cecilia particolarmente esperto in quanto abituato alle prestazioni dei grandi pianisti che nel corso degli anni hanno sempre scelto l’istituzione musicale romana come tappa della loro attività concertistica. Lonquich ha ringraziato il pubblico offrendo un bis sempre schumaniano: il secondo pezzo dai Phantasienstücke, Aufschwung (con slancio).
Nella seconda parte del concerto un altro grande capolavoro della produzione musicale romantica, le musiche per Sogno di una notte di mezza Estate, op. 61 (MWV M13) del 1842 che Mendelsshon scrisse per l’omonima commedia di William Shakespeare ed eseguita per la prima volta 14 Ottobre 1843 a Postdam presso il Neuer Palais Theater del Sanssouci-Schloß.
La composizione appartiene a un genere molto frequentato nell’ambito della musica romantica, le ‘musiche di scena’, che completavano le rappresentazioni del teatro tradizionale. Molto diffuso nel primo ‘800 era a torto considerato un genere di secondo piano anche se oggi sono state valorizzate. Da quel periodo abbiamo ereditato partiture come le musiche per Athalie di Jean Racine, dello stesso Mendelsshon ma di rara esecuzione, quelle di Schumann per il Manfred di Byron o quelle di Beethoven per Egmont di Goethe solo per fare qualche esempio.
Le musiche per Sogno di una notte di mezza estate sono, forse, tre le più famose e conosciute di tutta la Storia della Musica e trovano, spesso, posto nei programmi dei concerti sinfonici anche se non sempre del tutto complete. Qui a Santa Cecilia abbiamo potuto ascoltare una versione ‘quasi’ integrale che ci ha consentito un ascolto di una certa completezza.
Queste musiche furono composte da Mendelssohn, anch’esso scomparso prematuramente, nel periodo della sua piena maturità musicale. Solo l’Ouverture iniziale risale alla giovinezza del musicista tedesco, che la compose nel 1826. È il brano più consistente, quantitativamente, di tutta la serie però di ottima qualità perché all’ascolto mette in evidenza una indiscutibile continuità stilistica con il resto delle musiche ed è, forse, l’elemento più sorprendente che emerge dall’ascolto di questa serie di musiche.
Lo Scherzo immediatamente successivo caratterizzato da una affascinante ‘trasparenza’ orchestrale è l’ulteriore dimostrazione di questa continuità. Il Sogno prosegue con due pagine di ispirazione operistica: la Marcia degli Elfi e, la successiva, il Coro degli Elfi. La prima sottolinea l’ingresso in scena di Oberon e di Titania e la seconda l’invocazione degli Elfi alla pace per la loro Regina. Due pagine di grande fascino affidata per la parte vocale al coro femminile che donano un pathos particolare a tutta la scena che sfociano in altre due pagine di grande presa, l’Intermezzo che conclude il secondo atto e introduce al terzo al quale appartiene il successivo Notturno pagina di trascinante naturalismo caratterizzata da un incisivo spunto melodico.
Di seguito il brano più conosciuto del Sogno di Mendelsshon la Marcia Nuziale dedicata alle nozze tra Teseo e Ippolita che avverranno nel quarto atto assieme a quelle di Ermia con Lisandro e di Elena con Demetrio.
Pagina scintillante caratterizzata dal sapiente uso degli ottoni alla quale poi si contrappone la Marcia Funebre che sottolinea, sulla scena, il funerale di Priamo. Dopo una gioiosa e divertente danza di stile contadino, la Danza Bergamasca, si giunge al Finale nel quale spicca l’intervento del coro, una pagina musicale di grande effetto, con le fate che benedicono gli sposi facendo tornare protagonista il coro a coronamento ideale non solo della commedia originale ma anche dell’insieme delle musiche che Mendelsshon ha creato per questa opera teatrale.
Il limite del genere ‘musiche di scena’ è quello che, pur in presenza di partiture di pregio come questa, nell’esecuzione in sala da concerto soffrono del repentino distacco dall’opera teatrale per la quale sono state concepite risultandone ‘avulse’. Nella quasi totale impossibilità di poterle gustare nell’ambito di uno spettacolo teatrale organico costruito per ospitarle all’interno dell’azione, nelle sale da concerto si cerca di proporle con una drammaturgia creata ad hoc per consentire loro una possibile intelligibilità. Per quanto riguarda il nostro pensiero, basato sull’esperienza di accaniti frequentatori di sale da concerto, queste azioni ‘chiarificatrici’ risultano quasi sempre inutili. Anche in questa occasione, pur affidando l’ingrato compito ad un artista di teatro ‘completo’ come Valter Malosti, di grande e provata esperienza sia come attore sia come regista, per il nostro modo di vedere l’operazione anche questa volta non è riuscita riconoscendo però a Malosti una indiscutibile professionalità.
Per quanto riguarda l’esecuzione musicale del Concerto di Schumann abbiamo già riferito e confermiamo anche per il capolavoro di Mendelsshon la prova del tutto convincente di Philippe Herreweghe cha ci ha regalato una interpretazione particolarmente curata nel porre in evidenza tutto il valore di questa splendida partitura, a partire dalla sua raffinata orchestrazione e per finire con realizzazione di quella teatralità insita nelle musica che la rende del tutto affine all’azione ed alla drammaturgia create da Shakespeare.
Un risultato di rilievo al quale ha contribuito il Coro Femminile dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretto da Piero Monti molto incisivo nei due brevi ma significativi interventi a proposito dei quali c’è da segnalare le due cantanti Sara Fiorentini e Roberta De Nicola provenienti dalla compagine ceciliana alle quali sono state affidate le parti soliste.
Il pubblico ha applaudito a lungo tutti gli interpreti (ci riferiamo alla recita del 28 ottobre) per un inequivocabile e caloroso successo che ha dimostrato estremo gradimento per il programma proposto e per l’indiscutibile valore di tutti gli interpreti.
Claudio LISTANTI Roma 7 Novembre 2021