di Francesco PETRUCCI
Nell’ultimo lustro una sorta di trilogia, formata da un libro monografico (Consuelo Lollobrigida, Plautilla Bricci. Pictura et Architectura Celebris. L’architettrice del Barocco Romano, Gangemi Editore International, Roma 2017), un romanzo storico (Melania Mazzucco, L’architettrice, Einaudi Editore 2019) ed una mostra appena inaugurata (Una rivoluzione silenziosa. Plautilla Bricci pittrice e architettrice, a cura di Yuri Primarosa, Roma, Galleria Corsini, 5 novembre 2021 – 19 aprile 2022, Officina Libraria, Roma 2021), ha fatto riemergere dall’oblio l’originale personalità di Plautilla Bricci, dimenticata “architettrice” e pittrice del secolo XVII.
Una riscoperta non priva di risvolti sociologici e di legittime rivendicazioni morali sui diritti femminili, vista l’indubbia qualità soprattutto delle progettazioni architettoniche che le vengono riferite.
L’ottimo catalogo, esaustivo nell’illustrare la poliedrica personalità dell’artista romana, ospita una dettagliata scheda di Gianni Papi che si sofferma con acume critico su un intenso ritratto esposto in mostra, raffigurante una donna di aspetto giovanile che tiene con la destra un compasso, mentre ostenta con la sinistra un foglio ove sono delineati dettagli architettonici (fig. 1).
Il dipinto, riferito a “Pittore attivo a Roma nel terzo quarto del XVII secolo”, viene identificato ipoteticamente come ritratto di Plautilla Bricci (Roma 1616 – post 1690) in ragione della sua rarità iconografica, per l’assenza al tempo di donne di cui si conosca il cimento nell’architettura, perlomeno nel contesto romano cui il dipinto indubbiamente appartiene. Il ritratto costituisce anche la copertina del catalogo.[1]
Si tratta ad evidenza di un’immagine celebrativa di una persona reale, non certo di un’allegoria, come denuncia il volto fortemente caratterizzato, qualificato dall’ovale largo che si stringe verso il mento sfuggente con accentuata fossetta, su cui spiccano il naso affilato, i grandi occhi espressivi, le sopracciglia nette, il lungo collo. Una conformazione del viso quasi felina, certamente di schietto naturalismo e in assenza di qualsiasi idealizzazione.
L’abbigliamento, con la scollatura della veste di velluto bordata da nastrini rossi che scopre le spalle, le braccia nude quasi fino all’avambraccio, il corpetto stretto a “v”, l’acconciatura con due ampie ciocche di cappelli ricci ai lati raccolti all’indietro sopra la fronte, indicano una collocazione del ritratto attorno al 1660-65 circa.
Conosco da tempo questo dipinto, pubblicato come Pietro Paolini (Lucca 1603-1681) nella monografia di Patrizia Giusti Maccari del 1987, quando si trovava presso la galleria antiquaria americana Stanley Moss and Co. a Riverdale-on-Hudson (New York).[2]
Il ritratto mi fu segnalato attorno al 1999 da Maurizio Fagiolo dell’Arco che pensava a Pier Francesco Mola e ancora nel gennaio 2009 da Clovis Whitfield, proponendone l’identificazione con Plautilla Bricci. Contattato successivamente da Sotheby’s per un parere sull’attribuzione in base ad una foto digitale anteriore al restauro (fig. 2), espressi la mia convinzione che si trattasse di un’opera giovanile di Antonio Gherardi (Rieti 1638 – Roma 1702).
La tela fu esitata a Londra nel dicembre 2009 dalla storica casa d’aste inglese come “A young lady holding a compass”, riportando la precedente attribuzione a Paolini senza citare la mia opinione, ritenuta probabilmente riduttiva data la maggiore notorietà del pittore lucchese.
Infatti il dipinto fu venduto alla non trascurabile somma di 121.250,00 sterline, per confluire poi presso l’attuale collezione privata a Los Angeles.[3]
La visione diretta della tela in occasione della mostra, senz’altro meglio leggibile dopo la pulitura, ha confermato quello che avevo supposto (figg. 3, 4, 5, 6).
Il realismo diretto, lo spiccato neovenetismo, le pennellate striate stese di getto sulla veste per evidenziarne le lumeggiature, l’impasto denso, costruttivo e veloce nel volto e nelle mani, la tonalità rosata degli incarnati, il color bruno seppia di ascendenza molesca della veste, richiamano inequivocabilmente i suoi modi, nel momento di massima vicinanza a quelli del suo primo maestro, Pier Francesco Mola.
Termini di confronto in ambito ritrattistico sono il cosiddetto Ritratto della famiglia della collezione Saibene (fig. 7) e l’Artemisia già collezione Lemme, poi acquisita dalla Fondazione Roma (fig. 8), basata su un vero e proprio ritratto di giovane ragazza, che presentano anche affinità stilistiche, anatomiche e cromatiche con la tela in esame. D’altronde in tutte le opere di Gherardi si riconoscono fisionomie precise e caratterizzate che corrispondono a ritratti di persone reali.[4]
Il modo di dipingere si accosta ad un’opera giovanile del pittore sabino, la tela del Musée Fesch di Ajaccio raffigurante Santa Rosalia ed un vescovo intercedono presso la Sacra Famiglia per un appestato (fig. 9).[5]
In effetti anche Gianni Papi, pur non ritenendo “al momento risolvibile il problema attributivo”, scrive che si “potrebbe evocare Antonio Gherardi, per una maggiore tensione pittorica”; giudizio frenato tuttavia dalla mancanza di una sua produzione ritrattistica e quindi di termini espliciti di confronto. Il riferimento è sostenuto in via ipotetica anche da Yuri Primarosa, curatore della mostra, che ritiene invece “più che probabile” l’identificazione in Plautilla della donna effigiata.[6]
Anche Papi considera “molto verosimile” che si tratti della Bricci, in una posa che potrebbe collocarsi agli esordi della sua attività architettonica, quindi attorno al 1663, quando costei, all’età di circa 47 anni, iniziò ad occuparsi della progettazione della villa Benedetta sul Gianicolo (nota ai romani come “il Vascello”) per incarico del suo principale committente, l’abate Elpidio Benedetti.
In ogni caso per ottenere la piena fiducia dell’agente romano del cardinale Mazzarino e del re di Francia per un incarico così prestigioso, Plautilla doveva aver già dato prova del suo talento di architettrice, come sottolinea ancora Papi sulla base degli studi di Consuelo Lollobrigida e Primarosa, che ne collocano le prime prove tra il 1656 e il 1657.[7]
Un elemento di giudizio che conferma ulteriormente e contestualmente attribuzione e identificazione, è che il pittore, della stessa origine sabina di Elpidio Benedetti, non caso ebbe rapporti di lavoro con questi, progettando su suo incarico nel 1685 gli apparati effimeri della chiesa di Trinità dei Monti per celebrare la revoca dell’editto di Nantes ed eseguendo attorno al 1683-87 una pala per la collegiata dell’Assunta di Poggio Mirteto, proprio in pendant con la Madonna del Rosario della Bricci.[8]
Alla luce delle considerazioni espresse, l’identificazione della donna in cimento d’architettura con Plautilla Bricci, sicuramente attendibile, implicherebbe una datazione del ritratto attorno al 1660, quando l’architettrice aveva circa 45 anni. Una collocazione cronologica compatibile con l’espressione severa e matura della ritrattata, pur giovanile d’aspetto, e con la fase formativa di Gherardi, giunto a Roma nel 1658, proprio nel periodo in cui frequentava la bottega del Mola.
Francesco PETRUCCI Roma 14 novembre 2021
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