redazione
Si è aperta lo scorso 29 ottobre la mostra fotografica dall’evocativo titolo “L’Imbrunire. Roma e altrove” che raccoglie, alla Galleria La Nuova Pesa n.35 di Roma, animata dall’infaticabile Simona Marchini, le immagini che Giancarlo Pediconi, noto architetto romano dedicatosi in questa occasione a rielaborare fotograficamente alcuni aspetti significativi della città dove è nato ed anche veri paesaggi, colti tutti nella penombra del tramonto.
Si tratta a nostro parere più che di squarci di vedute e paesaggi, di impressioni maturate alla luce oscura di un tramonto -se ci si passa l’ossimoro- assolutamente evocativo. C’è infatti da credere che questa oscurità sia la cifra stilistica che l’autore ha voluto suggerire al fruitore, come del resto lui stesso afferma: “Perchè questo imbrunire ? E’ un momento di realtà, De Chirico diceva che il momento della Metafisica, un momento per me che dura più o meno un quarto d’ora, che posso cogliere dal calar del sole al tramonto, alla notte, ed è come una sensazione che suggerisce l’idea del voler tirare le somme, quando la giornata è finita, il lavoro è finito, inizia un’altra vita con la notte e dunque in quel momento ecco il ricordo, ma anche la melanconia, e il pensiero che si aggrappa a quanto fatto per capire quanto si farà. Dunque mi è ventuo naturale ritrarre elementi di ambienti e di posti significativi a Roma soprattutto, quando non c’è il sole che abbaglia e prima che sia notte completa”.
Per Giancarlo Pediconi la fotografia non è solo un hobby ma una vera e propria alternativa alla riga e alla squadra, cioè agli elementi che come dice lui stesso in architettura “si usavano una volta, che ad esempio usava mio padre” e che consentivano meglio di come accada adesso di lavorare sulle angolazioni di progettare forse più liberamente.
Ed i effetti, per parte nostra, visitando l’esposizione, si determina la sensazione che quelle immagini possano effettivamente essere percepibili come una sorta di tentativo di liberazione mentale, come se cioè l’autore ci suggerisse egli che il modo corretto di avvicinare la sua arte debba essere quello quanto meno di tentare di arrivare ad una riflessione davvero profonda, alla consapevolezza del nostro essere, però non indotta, neppure suggerita, quasi a prescindere dalle proprie suggestioni e dai propri interessi.
E’ come se davati alle foto apprendessimo ad immaginare, a produrre impressioni, appunto, e dunque l’obbiettivo – inteso come lente ottica- usato per ritrarre non sia più lo strumento che solitamente raccoglie l’immagine ma diventasse esso stesso il nostro sguardo, il nostro stesso occhio, man mano che si approssima a quanto è esposto.
Se dunque ci mettiamo dalla parte dello spettatore, va da sè che non c’è quasi mai la possibilità che chi si avvicina ad un’opera d’arte, dipinto, scultura o foto che sia, possa del tutto finire deprivato delle sue capacità analitiche e fruitive al punto di perdere la soggettiva capacità di scegliere il bello o il brutto di un’opera, rimanendo magari incastrato in una sorta di suggestione visiva. Ed è altrettanto evidente che una qualsivoglia iconografia, in qualsiasi modo trasmessa, possa essere recepita todo modo se così si può dire.
E tuttavia lo stato d’animo da cui si propagano queste prove artistiche che Pediconi ci propone. non può non farci riflettere:
“Potrei andare in qualsiasi posto del mondo, anche nelle città meno accattivanti dal punto di vista urbanistico, architettonico o spaziale ma una macchina fotografica sarebbe sempre come una compagna che fa quello che vuole e che voglio”.
E allora perchè soprattutto Roma in questa esposizione ?
“Perchè Roma è la mia città che amo e odio allo stesso tempo. Ho cominciato a guardarla non nei momenti in cui lo sfolgorante barocco coi suoi chiaroscuri domina le atmosfere, ma nei momenti meno appariscenti, quando Roma è più nascosta, più in ombra. Queste immagini con squarci in penombra, con mezze luci me l’hanno fatta amare di più “.
Chi andrà a visitare la mostra -c’è tempo fino al 14 dicembre- deve dunque sapere che si troverà di fronte ad immagini testimonianza di una ricercatezza che non compromette la spontaneità dello scatto creativo, ad immagini che si delineano oltre i confini di una normativa predefinita e che uniscono in una condivisione comune gli scatti frutto di una malcelata forza espressiva che individuano al tempo stesso inediti tragitti interiori.
P d L Roma 5 dicembre 2021