di Marcello FAGIOLO
Un paio di mesi fa è stata pubblicata la monografia di Danilo Sergio Pirro La Fontana di piazza Tacito simbolo del ‘900, in occasione del restauro della monumentale Fontana di Terni, progettata nel 1932 da Mario Ridolfi e Mario Fagiolo con mosaici dello Zodiaco su disegno di Corrado Cagli. La Fontana era stata distrutta dai bombardamenti bellici, restaurata nel 1951 con una nuova versione dei mosaici di Cagli e poi versante in stato di degrado fino all’ultima campagna di restauro.
La Fontana che doveva essere e permane simbolo di Terni, città dinamica della produzione dell’acciaio, è rimasta idealmente nello sfondo dello spettacolo della notte di Capodanno, gestito da Amadeus nella sede delle acciaierie ternane.
Abbiamo ha chiesto una testimonianza sulla genesi della Fontana al nostro valoroso collaboratore Marcello Fagiolo, figlio di uno dei due progettisti della Fontana.
La Fontana d’Acciaio dei Due Mari: Ridolfi e Fagiolo “dell’Ago”
Nel 1972 il grande architetto Mario Ridolfi spediva una spiritosa cartolina, con uno schizzo radiografico illustrativo dell’operazione all’anca, firmandosi “arch. Mario dell’Anca”, come affettuoso omaggio all’antico compagno di studi di architettura Mario Fagiolo dell’Arco[1].
Sul fronte opposto, mio padre, deluso da varie vicende, nel 1945 decideva di diventare esclusivamente poeta, dando l’addio all’Archi-tettura, disciplina di cui dopo di allora come poeta (giudicato massimo poeta romanesco del Novecento) avrebbe conservato soltanto la parte iniziale, l’Arco, forse segno dell’Arcobaleno dell’alleanza fra l’Uomo e la Divina Poesia.
Il neo-nato Mario dell’Arco nel frattempo distruggeva sistematicamente tutti i suoi disegni di architettura, mantenendo soltanto per qualche anno in casa le foto di alcuni modelli, fra cui quello della Fontana di Terni. Il figlio Marcello, tredicenne, riuscì a nascondere e salvare un gruzzolo di fotografie dei progetti architettonici, che cinquant’anni dopo avrebbero consentito di realizzare il catalogo della Mostra Roma di Mario dell’Arco: poesia e architettura, da lui curata nell’anno 2005, centenario della nascita del poeta. Lo stesso Marcello, oggi, prova a ribattezzare il padre architetto, ideatore dell’Ago della Fontana, col nome scherzoso di Mario Fagiolo “dell’Ago”.
Maria Luisa Neri nel 2005 ha scritto che l’idea della Fontana
“si deve tutta a Fagiolo, stando alle parole dello stesso Ridolfi, in una intervista a Federico Bellini: ‘Mario Fagiolo era un ragazzo con un cervello che non le dico, era più poeta che architetto… Eppure quando ho fatto il concorso della Fontana di Terni, io, io che ero così un modellatore di pietra, d’acciaio e di ferro, lui invece che era un poeta, mi ha detto quello che bisognava fare, che bisognava esprimere, e questo parlando insieme, perché si discuteva sempre’”[2].
La sintonia sembrava assoluta, tant’è vero che i due architetti venticinquenni firmavano il loro progetto col motto “Due Mari” nel concorso per il Teatro dell’Opera Nazionale Dopolavoro a Roma (1930), mentre nel concorso per la Fontana in piazzale della Stazione a Bologna (1931) il motto veniva sintetizzato “MM”. Quest’ultima mirabile Fontana era costituita da superfici piane (quattro stele disposte a croce, coi nomi dei caduti civili, sotto una bassa conca circolare) e acquisiva una metafisica volumetria cilindrica grazie all’acqua che tracimava dalla conca.
L’idea di base della Fontana di Terni, estremamente essenziale, prefigura in qualche modo la sublime sintesi della futura poesia di Mario dell’Arco. Un colossale Ago d’acciaio entro un circolo (quasi una O di Giotto) circondato dal cerchio dello Zodiaco. E poi la rigorosa immagine diurna si alternava alla ricerca di scenografici effetti di luce nella notte[3].
Cominciamo dall’Ago, “l’altissimo ago metallico rivestito di acciaio inossidabile” (come si legge nella relazione al Concorso del 1932) “elemento verticale, unico e dominante la fontana, che nella sua nitidezza ed espressione di forma, e col suo slancio verso l’etere, diventa l’esaltazione stessa del lavoro metallurgico che è l’anima stessa di Terni”[4].
Penso che l’Ago sia una sorta di ideogramma delle altissime ciminiere delle acciaierie di Terni e insieme un micro-prodotto della produzione metallica introdotta in Italia dagli arabi. Non a caso il nome latino “Acus” ha la stessa radice ac del sostantivo latino “acies”, traducibile con termini metallici, militari e visivi come “filo di lama”, “taglio affilato”, “acume”, “acutezza (anche visiva)”, “esercito schierato”; e sappiamo che il termine “Acciaio” deriva appunto dal tardo-latino “ferrum aciarium”, “ferro tagliente” e si applica anche alle virtù militari.
Se da un punto di vista industriale l’Ago, come si è detto, va riferito alla Ciminiera, dal punto di vista monumentale il riferimento va sicuramente a uno dei monumenti simbolici della Roma antica e moderna, l’Obelisco. Le stesse dimensioni, di quasi 28 metri, collocano l’Ago a metà strada tra l’Obelisco lateranense (m. 32) e l’Obelisco Vaticano (m.25), ma con indubbi riferimenti romaneschi all’obelisco di piazza Navona nella poesia del Belli (“qua una gujja che pare na sentenza”) e dello stesso Mario dell’Arco (“er Signore arza un deto ch’è una guja”).
E vorrei ricordare anche l’obelisco egiziano noto come “Cleopatra’s Needle” donato dall’Egitto a Londra (dove arrivò nel 1878), alto 21 metri come l’obelisco gemello donato a New York (oggi nel Central Park) e già noto come “L’Aiguille de Cléopatre” (P. Lucas, Voyage, Rouen 1724).
L’acciaio inossidabile era peraltro una meraviglia modernissima (brevettata nel 1872 in Inghilterra e rilanciata nel 1913), proiettata nel futuro. Un chiaro stampo futurista si trova nella relazione di concorso, presentata col motto “DINAMO” in omaggio a Terni, definita “città dinamica” da Mussolini[5]. Indubbiamente Terni poteva specchiarsi nel proclama di Marinetti del 1909:
“canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi”.
E in qualche modo l’Ago cosmico della Fontana appare in una certa sintonia con
l’”uomo che tiene il volante [dell’automobile] la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita”.
Ma ovviamente l’olimpica staticità dell’Ago appare agli antipodi del mondo tumultuoso del futurismo, come si evince ancor di più dalla lettura del Manifesto dell’architettura futurista di Sant’Elia (1914):
“le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa natura, hanno una potenza emotiva superiore a quelle perpendicolari e orizzontali, e non vi può essere un’architettura dinamicamente integratrice all’infuori di esse”.
La Fontana, se mai, è in linea con la premessa sull’architettura futurista come
“architettura del calcolo, dell’audacia temeraria e della semplicità; architettura del cemento armato, del ferro, del vetro […] che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza”.
In parallelo alla progettazione della Fontana, nel 1933 vengono pubblicati a Rovereto i tre fascicoli di “Dinamo futurista”, la rivista diretta da Fortunato Depero (preceduta dal libro “bullonato” del 1927, pubblicato dalla casa editrice Dinamo-Azari) e dedicata ai futuristi “di ieri, di oggi e di domani”.
Nello stesso anno il regista tedesco Walter Ruttmann terminava il film Acciaio, realizzato per la “Cines” sul set della acciaieria di Terni (e anche della cascata delle Marmore), su soggetto di Luigi Pirandello (con assistenza di Mario Soldati per la sceneggiatura) e musiche originali di Gian Francesco Malipiero. Le straordinarie immagini restituiscono la potenza drammatica della produzione dell’acciaio tra i bagliori delle fusioni di metallo e i rumori assordanti, interpretati magistralmente dalla “sinfonia delle macchine” di Malipiero.
Il film appare prossimo alla Fontana nel suo afflato lirico ma il pathos romantico del suono-luce è del tutto opposto alla classica serenità dell’Ago silente. Mi piace peraltro riflettere su come l’Ago appaia in sintonia con la storia leggendaria di Terni, confluita nel blasone col Drago eponimo Thyrus (sul gonfalone della città inter amnes si legge: “Thyrus et Amnis dederunt signa Teramnis”).
Mi riferisco alla leggenda del Drago, imperversante nel territorio, che sarebbe stato ucciso dall’ardimento di un giovane. Aldilà del tema consueto del drago, simbolo della malaria debellata con la bonifica delle paludi, vanno sottolineati i particolari di questa disfida: mentre il Drago sta per vincere, viene abbagliato da un raggio di sole riflesso nell’armatura del giovane e viene infine trafitto dalla sua lancia. Emergono così gli elementi della Luce abbagliante e della Lancia che mi consentono un collegamento coi bagliori incandescenti della lavorazione dell’acciaio e con l’Ago della Fontana. Già in una poesia del 1936 era stato evocato l’accostamento della Fontana alla leggenda ternana, sia pur limitatamente alla gloria delle armi:
In riva al Nar, un drago pestilente/ Che fischiava veleno, un bel mattino / S’ebbe, d’un colpo le sue brame spente / Per man di un nostro eroico spadaccino. / Così perisca ogni nemico, in aria, / in terra, in mar, nei gorghi più profondi, / per nostre armi di fama leggendaria. / Tu, nuova fede nel lavoro infondi: / ecco perché alla gloria millenaria / della città di Tacito rispondi, / bella fontana, luminosa e varia!
La leggenda ternana sembra trovare un esito finale, mezzo secolo dopo, nella Lancia di luce di Arnaldo Pomodoro (1984-95), l’obelisco alto 32 metri e concepito dallo scultore come
“un inno alla produttività e alla fatica, esprimendo il difficile lavoro della fonderia, dall’inizio alla fine del processo, esaltando la capacità degli uomini in essa”.
Per quanto riguarda i mosaici di Cagli, sicuramente la scelta dello scultore va attribuita a Ridolfi, ma ritengo invece che la scelta della iconografia rientri nel programma iconografico studiato prevalentemente da Mario Fagiolo. Si legge nella relazione del 1932: “La scelta dei segni dello Zodiaco… è suggerita dall’intima relazione fra essi e i mesi dell’anno che regolano la copiosità dell’acqua di precipitazione”.
La ruota dello Zodiaco, immagine dello scorrere del tempo vanta una lunghissima tradizione nella iconografia dell’Anno : per l’antichità è stata giustamente ricordato il mosaico della Sinagoga di Beit Alfa in Israele (sec. VI); per il medioevo – quando al posto di Annus appare Cristo-Sole – possiamo evocare gli schemi di Hildegard di Bingen; per il Rinascimento mi sembra suggestivo il riferimento alla Torre dell’Orologio di piazza San Marco a Venezia, col duplice riferimento alle Ore e ai Mesi.
Lo Zodiaco della Fontana di Terni (foto dall’alto dopo i restauri) a confronto con uno Zodiaco medievale cristianizzato e con l’Orologio rinascimentale di piazza San Marco a Venezia.
La funzione ideale di orologio cosmico della Fontana potrebbe essere ulteriormente potenziata. Nel 2019 ho proposto informalmente all’Amministrazione Comunale di realizzare sul pavimento della piazza un asse gnomonico per registrare i giorni dell’anno, sull’esempio del celebre Horologium Augusti di Campomarzio o anche della sistemazione degli obelischi di piazza San Pietro e di Montecitorio.
L’Horologium Augusti in Campomarzio e, a sinistra in basso, la meridiana di Montecitorio.
1 Obelisco-meridiana di Montecitorio, 2 Obelisco-meridiana di piazza San Pietro.
Idea per trasformare la Fontana di Terni in meridiana (freccia gialla sul pavimento della piazza).
La complessa vicenda dei mosaici di Cagli, realizzati in classiche forme ignude e ridisegnati dopo la distruzione bellica con riferimento ai mestieri umbri (forse su ispirazione di Ridolfi), ha fatto infine ribattezzare l’opera come “Fontana dello Zodiaco”.
Corrado Cagli. Disegni per i mosaici dello Zodiaco (1934). 1
Corrado Cagli. I nuovi mosaici dello Zodiaco dopo la ricostruzione del dopoguerra (foto è stata eseguita nel corso degli ultimi restauri).
In tal senso, esiste una sintonia con la Fontana dello Zodiaco che costituisce a Ostia il terminale della via Cristoforo Colombo, opera del geniale ingegnere comunale Mario Ferrero (1954-57) che sembrava rispondere all’exploit di Terni con un getto d’acqua centrale (alto quasi come l’Ago di Terni) e uno spettacolo di suono e luce, con variabili accompagnamenti musicali.
Nel progetto per il concorso per scuole all’aperto del 1941-42 Mario Fagiolo presentava la congiunzione delle cinque classi della scuola con cinque spazi all’aperto con immagini alludenti forse ai Quattro Elementi. Accanto a una nave, a un aereo e a un globo terrestre emerge, in particolare, una sorta di obelisco (simbolo del fuoco solare) al centro di una fascia anulare coi segni dello Zodiaco. Essendo ovviamente da escludere un omaggio all’ex-compagno Ridolfi, non resta che concludere che Fagiolo abbia voluto segnalare così orgogliosamente la vera paternità della iconografia della Fontana di Terni.
Vorrei concludere con la poesia La ricamatrice del ventenne Mario Fagiolo (ritrovata recentemente da Carolina Marconi) che offre una commovente interpretazione dell’Ago[6]:
[…] Er sole è d’oro e io ce n’ò ‘na spasa: / s’affaccia pe ruzzà sopra ‘gni cosa / me ride in fonno a l’occhi e drento casa. / Io, che ricamo un abbito da sposa, / penso a l’abbito mio, so’ persuasa / che la felicità viè silenziosa.
Fior de gerano, / ago der core mio, studia er cammino: / agguanta er filo e pòrtelo lontano. / Tu zompi e vai, / e, si Dio vò che un giorno ariva Lui, / te pregherò d’annà più lesto assai. / Ricamo e canto e aspetto quarchiduno, / che, da un pezzo, dovrebbe stà in cammino; / aspetto sempre ma nun viè /gnisuno. /Povero ago! Tu sei un burattino, / che fa mille zompetti, uno per uno, / portato da la mano der destino.
Fior de ‘gni fiore, / mentre tu pensi solamente a cùre,/ ‘gni punto novo è ‘na ferita ar core. / E tu lo sai, / amico caro de l’insogni mii, / ch’er filo è longo e nun finisce mai.
Appare straordinaria, nella nostra ottica, la metafora dell’Ago del Cuore, un Ago che in ogni punto rinnova il sogno del coronamento d’Amore, nell’attesa che il Lavoro si tramuti nella agognata coniunctio con l’uomo del destino.
Marcello FAGIOLO Roma 30 Gennaio 2022
NOTE