di Marina PARIS
Marina Paris si è laureata in Architettura alla Sapienza Università di Roma presso la Cattedra di Restauro dei Monumenti, prof. Paolo Cuneo, con una Tesi dal titolo Il Complesso Conventuale di Hemis nel Tibet Occidentale: Analisi Storica, Caratteri Stilistici e Progetto di Restauro. Successivamente ha conseguito il Diploma di perfezionamento alla Scuola di Perfezionamento per lo Studio ed il Restauro dei Monumenti, nella stessa Università con il prof. Sandro Benedetti, con la Tesi: La Cappella del Cardinale Reginald Pole. E’ altresì Diplomata alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, PUG, Studi Superiori di Conservazione del Patrimonio Culturale Ecclesiastico, prof. Pfeiffer, Tesi: Cappella del Domine Quo Vadis. Ha seguito stage di Restauro dei Mosaici presso l’Atelier de Restauration des Mosaiques, Entente Interdepartementale Rhone-Isere St. Romain-en-Gal (Lione – France) e il corso di Perfezionamento Prove Tecniche Fisico-Chimiche per il Restauro dei Beni Culturali, Direttore prof. Salvetti presso la Facoltà di Chimica a Roma. E’ in possesso del Diploma di Studi Superiori di Conservazione e Restauro del Patrimonio Culturale Ecclesiastico. Pontificia Università Gregoriana. Roma. Ha preso parte a progetti e ricerche sul campo, restauri, campagne di scavo, in Italia, Francia, Egitto, Giordania. Ha partecipato a conferenze e simposi e pubblicato saggi e atti in varie edizioni italiae e internazionali. Con questo saggio inizia la sua collaborazione con About Art.
A mio padre Dino Paris il migliore / e mio nonno, Leone Paris , senza / il quale tutto questo / non sarebbe / stato possibile
Il ciclo pittorico della Villa Ponno, oggi Villa Comunale di Roseto degli Abruzzi, fu affidato all’opera dell’artista decoratore Vincenzo Paris (Montepagano, 1875 – Roseto degli Abruzzi 1946). La sua naturale predisposizione per il disegno induce la famiglia ad assecondarne le buone inclinazioni scegliendo di indirizzarlo agli studi della Decorazione presso la Scuola di Resìna[1] vicino Napoli.
La città di Napoli rappresenterà, per le regioni appartenute allo Stato Borbonico – nonostante l’avvenuta riunificazione e annessione allo Stato italiano – il fulcro culturale di riferimento per l’ampio respiro europeo che vi fluiva. Molti artisti abruzzesi compiranno i loro studi accademici a Napoli ed altrettanti entreranno in contatto con l’Accademia parigina recandosi in Francia. Molti si formarono alla Regia Accademia del Disegno di Napoli, tra questi Francesco Paolo Michetti, Filippo e Nicola Palizzi, Gennaro della Monica, Raffaello Pagliaccetti, Teofilo Patini, Costantino Barbella. Alcuni, fra questi, rimanendo a Parigi ebbero il privilegio di vedere esposte le loro opere in ambiti di rilevanza.
La città di Napoli sarà per il giovane Vincenzo Paris luogo ricco di fermento artistico di ampio respiro intellettuale mittel-europeo, sincretico delle nuove correnti artistiche francesi.
Ad affiancare la Regia Accademia del Disegno, anche se differente per struttura didattica, la Scuola di Resìna surroga l’alternativa ai corsi accademici. Nata come scuola en plein air, si propone come prosecuzione ideale della Scuola di Posillipo [2], della quale mantiene in parte i contenuti. In questa scuola originerà il primo gruppo di veristi napoletani, tra i quali De Gregorio, De Nittis, Leto e Rossano, nel periodo compreso tra il 1863 e il 1867, sulla scia della scuola di Barbizon, il cui principio basilare constava nel dipingere all’aperto per cogliere le sottili sfumature che la luce origina disvelando la recondita essenza della realtà oggettiva. Tra gli indirizzi di studio la scuola offriva il corso di Decorazione, e sarà proprio questo l’orientamento prescelto dal giovane Paris.
Da colloqui intercorsi con il dott. Luigi Braccili – allora fanciullo e abituale ospite nella casa Paris di via Garibaldi, a Roseto degli Abruzzi, allora Rosburgo – e da sue affermazioni raccolte in dialoghi avuti al riguardo, risulta che la decisione di seguire il corso di decorazione fu proprio voluta dal giovane Vincenzo Paris per indirizzare la propria scelta artistica all’interno di una visione più pragmatica e, a suo dire, più remunerativa di quanto non fosse quella “artistica” per eccellenza, del corso accademico di Pittura.
Il giovane Vincenzo Paris si formerà ed accrescerà le sue potenzialità artistiche assorbendo dalla terra campana tutta l’eredità culturale, radicata nel profondo legame con il ricco tessuto storico-archeologico. L’eco della Magna Grecia sarà per l’artista fonte di studio e di grande ispirazione che troverà espressione nella sapiente rappresentazione dei templi di Paestum[3].
L’area archeologica di Paestum è stata riferimento iconografico per i giovani studiosi del Gran Tour, (incentivato da Carlo di Borbone) fulcro didattico formativo per l’approfondimento archeologico e per l’approccio allo studio dell’antichità. La campagna paludosa costellata dalle rovine, abilmente descritte da J.J. Winckelmann e da J. W. Goethe, sarà per Vincenzo Paris luogo d’incanto e di stupore. La figurazione che ne deriverà esalterà la solenne arcaica grandezza. Dalla palude le silenti monumentalità si delineeranno in tutta la loro perfezione. Prospettive fermate nel tempo a svelare un’epoca storica non più percorribile. Attualmente tali decorazioni, oltre la preziosità espressa figurativamente, costituiscono una patrimonio storico di grande rilevanza.
La decorazione è dominata dall’azzurro impreziosita da lumeggiature in oro quasi a sottolineare il distacco cercato tra rappresentazione del reale, seppia, e le immagini ideate, intense di colore.
La sapienza delle inquadrature, la sintesi nel cogliere l’insieme senza trascurarne i dettagli, l’utilizzo abile del colore singolare, il seppia, restituiscono all’occhio dell’osservatore un documento di rara bellezza e di preziosa testimonianza storico-archeologica. La descrizione dei monumenti incede con toni nostalgici, le rovine sono fermate alla maniera di un dagherrotipo, il colore seppia ne delinea, con secca puntualità, i particolari architettonici minuziosi nel loro dettaglio, il disegno della descrizione dello stato dei luoghi non lascia spazio all’interpretazione: è lo specchio di quelle rovine in tutta la loro preziosità diruta, istantanee del ricordo.
Diverse sono le opere che l’artista ha lasciato sia a Roseto degli Abruzzi che nei luoghi limitrofi, tutte realizzate a secco e perlopiù nell’ambito delle dimore private. Tra queste tratteremo il ciclo delle decorazioni della Villa Comunale, già Villa Ponno.
La Villa Ponno nasce agli inizi del Novecento come residenza privata, donata dalla famiglia Ponno in epoca recente alla cittadinanza, la struttura e la tipologia architettonica ne confermano la locuzione di villa urbana, reiterata ulteriormente dalla presenza del rigoglioso giardino che interamente la cinge. Giardino come espressione di luogo di delizie, filtro, nella sua duplice accezione, e tramite di incantesimi. Le specie vegetali, le essenze arbustive, la geometria delle aiuole hanno rappresentato, per l’epoca e per il luogo, una vera rarità.
L’impianto architettonico richiama stilemi di dimore titolate sia per le soluzioni di facciata, la semplicità delle modanature ed il colore degli intonaci, che per la soluzione della fascia terminale di copertura.
Alla essenzialità delle finiture esterne, sobrie nei caratteri e negli ornamenti, si contrappongono gli interni nei quali la decorazione diviene veicolo di relazione corposa di colori e di figurazioni.
Il cantiere sarà affidato all’Impresa di Leone Paris che oltre alle strutture curerà tutto l’apparato di finitura, prova ne sono le pavimentazioni provenienti dalla allora Fornace Leone Paris.
La consistenza dell’apparato decorativo interno della villa è in parte compromesso, sono di fatto limitatamente conservate alcune delle stanze del primo piano, ed una stanza al piano terra. In molti ambienti per effetto di fenomeni determinati dall’umidità – ed in alcuni infelici casi, per effetto di velature allo scopo di nasconderne il degrado senza valutarne il danno e la parziale sottrazione che queste scelte avrebbero definito – si è così determinata la parziale perdita di preziose pitture che in proporzione all’intero apparato decorativo risultano essere superiori, per assenza, a quanto attualmente visibile.
La successione prescelta nel nostro percorso visuale si svolge a partire dalla sala, posta al primo piano, ricca di decorazioni che definiremo delle “cornici rocaille”. Lo spazio ampio e rettangolare offre all’osservatore una sequenza di figurazioni racchiuse, ciascuna con una storia apparentemente a sé stante. Nella grande sala la superficie voltata mostra alle reni per l’intero perimetro lo stendersi di un nastro continuo dai toni azzurrati, a simulazione di un tessuto damascato dalla trama ornata da intrecci floreali, dal cui fondo risaltano, inserti floreali e vegetali dalle tinte brillanti ed intense. L’uso colto delle ombre sottolinea i valori plastici impreziosendo le cornici, dai tralci vegetali dorati che si dispongono ad accogliere figurazioni racchiuse da elaborati orditi.
Agli angoli della volta si delineano quattro medaglioni le cui “storie” descritte appaiono, dagli abiti e dalle acconciature, di ambiente ottocentesco. Ciascun medaglione identifica quattro diverse vicende ipotizzate e “traslitterate” ne : il Ballo, La Promenade, Meriggio, la Conversazione.
Nel tondo del Ballo due figure di donna in abiti di ricevimento ottocentesco, si cimentano in una danza che le dispone allacciate alle braccia, entrambe rappresentate, con i volti che si rivolgono lo sguardo per effetto della sequenza ritmica. I dettagli nella rappresentazione dei volti esprimono una soggettività affine ad un ritratto, in particolare la dama dall’abito dorato, posta di tre quarti, è raffinatamente realizzata nei tratti che ne incidono la singolarità dell’incarnato.
La vista prospettica, elaborata scegliendo il punto di vista fortemente ribassato, esalta la cadenza circolare, la vorticosità rotante, a dare rilievo alla festosità dell’evento, quasi in un giuoco di specchi il cui il ritmo è determinato dalle dame che per effetto della danza ci introducono nel racconto della grande sala dei ricevimenti. Con tratti dinamici, leggeri, esperti ed essenziali il pittore descrive gli elementi architettonici del ricco soffitto a cassettoni e delle decorazioni che il salone delle feste accoglieva.
Le notazioni architettoniche sono appena accennate sfumano in un non finito proprio per concentrare l’attenzione sul moto, sulla danza elemento cardine della scena in cui i corpi, definiti con sensibilità scultorea, albergano lo spazio rarefatto.
La cornice successiva è composta da volute vegetali a battuta a gola liscia con volute di foglie d’acanto dalle tinte dorate, all’interno della quale si racconta: la Promenade.
La Promenade è presentata attraverso una coppia, si immagina, di innamorati che passeggia in un’ambientazione esterna. Il luogo non è bene identificabile, anche se lascia intendere che la coppia, abbigliata con mise da cerimonia, sia appena uscita dal grande salone delle danze. L’ambientazione esterna è costituita da un paesaggio naturale, molto scarno nei dettagli, con una luce fortemente abbagliante nel quale sono appena accennati dei cespugli ed un masso arrotondato. Le due figure si tengono per mano sono raffigurate di spalle anche se la giovane donna mostra un profilo particolarmente definito, incorniciato da una folta capigliatura bionda dalla pettinatura raccolta che ne sottolinea la delicatezza dei tratti.
Meriggio raffigura la passeggiata di due giovani ragazze anche in questa rappresentazione, come per i fidanzati, si tengono per mano. La ragazza dal portamento più austero è bruna, molto singolare nei tratti, ha un portamento compito, il suo abito è elegante ma sobrio. L’amica, della quale percepiamo solo lo scorcio del volto, ha un abito molto più ricco e colorato che lascia palesare un perfetto decolleté. L’ambientazione è di tipo naturalistico anche se in questo caso si percepisce la presenza di un boschetto in lontananza.
La Conversazione mostra una coppia in abiti fastosi discorrere, probabilmente in un giardino, su di una panchina in parte celata dall’ampia ricchezza dell’abito della ragazza. La ragazza per l’acconciatura ed il colore dei capelli nonché per l’affinità dei tratti potrebbe essere la stessa giovane raffigurata nel gruppo precedente, anche se in questo caso, in luogo del sobrio vestito, sfoggia un generoso decolleté.
Alternate alle scene si frappongono, racchiuse all’interno di cornici a sviluppo orizzontale, nudi femminili delineati alla maniera degli stucchi, la simulazione di simile stiacciato per effetto dell’ombreggiatura restituisce figurazioni ad alto rilievo. La donna raffigurata nuda distesa è coricata prona su una pelle d’Orso, i capelli raccolti con una acconciatura moderna e la testa rivolta verso l’osservatore. Il sottile gioco delle ombre modella con competenza le generose forme e la trama della pelliccia dell’orso.
L’altra figura, che si alterna alla precedente, rappresenta un nudo di una giovane donna in una posa dinamica, con le chiome sciolte, ed una mano disposta a celarne il volto.
Vincenzo Paris, pittore della luce, descrive i passaggi dalla luminosità intensa del sole attraverso il sottile velo, tirato ai quattro angoli a formare un perimetro tondo, quale riparo visivo per la potenza naturale riversante dall’alto, e la quiete sottostante. Paesaggi di luce intima, profonda, pongono l’occhio dell’osservatore dal basso verso l’alto in una condizione di partecipazione e fusione con la natura posta all’esterno, protetti dalle trame della calura estiva. Negli scorci, nelle sue nature morte, nei paesaggi, si percepisce il racconto della natura benigna al più alto stato della sua bellezza e vigoria: l’estate. Osservando la stanza del velario si apprende il calore che la luce fa permeare, la natura festante ricca di colori e di essenze che celebrano la stagione.
La scuola di Résina ha lasciato nel pittore un’impronta profonda soprattutto per ciò che concerne lo studio dei fenomeni connessi alla luce. La luce della memoria è una luce antica che Vincenzo Paris ripercorre attraverso l’uso del seppia, la luce è rarefatta come nelle immagini rarefatte, esili del ricordo. La ritroviamo nell’ovale della marina con il Vesuvio, struggente per la particolarità del taglio prospettico e per la maestria con cui, nonostante il monocromatismo, permei di luce e sfumature a rappresentare il movimento del mare lento, dei pomeriggi estivi.
L’importanza di saper vedere e trasfondere la si apprende dalle immagini della vegetazione sia in forma di natura morta che di decorazione. Le piante e i fiori rappresentati sono la descrizione tangibile della piena conoscenza del mondo vegetale ed in particolare di quella vegetazione nativa. Il trionfo della stagione fa si che le piante siano tutte al massimo del loro vigore con il cono del Vesuvio in lontananza
Le decorazioni di Vincenzo Paris sono un esempio della Bellezza rappresentata, e per questo motivo si è scelto di raccontarle al fine di renderne partecipi quanti sin ad ora ne erano stati esclusi.
“La bellezza salverà il mondo”
Ce lo auguriamo sempre, ma soprattutto la conoscenza, l’amore per il passato, lo studio, potranno essere le chiavi di volta per le nuove generazioni. Le radici come fonte di sapere e di appartenenza al territorio, e di questo siamo più che certi, nell’opera di Vincenzo Paris se ne è fatto tesoro.
Marina PARIS Roma 6 Febbraio 2022
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