di Nica FIORI
In hoc consistit verus amor (in questo consiste il vero amore) è il motto che si legge nello stemma del Comune di Oriolo Romano (in provincia di Viterbo), raffigurante un pellicano che si lacera il petto per nutrire con il proprio sangue i suoi piccoli.
Un simbolo di altruismo che deriva dall’araldica del fondatore di Oriolo Giorgio Santacroce, un nobile di Viano che, poco dopo la metà del Cinquecento, disboscò l’area per renderla idonea all’agricoltura e vi condusse i suoi coloni creando un primo nucleo abitativo, razionalmente pianificato secondo un impianto geometrico che vede tre strade confluire prospetticamente in una piazza delimitata sul fondo dal palazzo baronale, ora noto come Palazzo Altieri e sede di un museo statale.
Il paese si identifica oggi più che mai con questo palazzo, grazie a una serie di eventi culturali che vi hanno luogo e che apportano vitalità all’antico borgo. L’ultima novità è stata quella dell’arrivo, lo scorso 3 febbraio 2022, dei ritratti di tre Belle del pittore fiammingo Jacob Ferdinand Voet (1639-1689) e della sua bottega, che arricchiscono la cosiddetta Sala delle Belle.
I ritratti provengono dal Castello di Racconigi (in provincia di Cuneo) e sono stati spostati nel Palazzo Altieri grazie al progetto “100 opere tornano a casa”, lanciato dal ministro della Cultura Dario Franceschini.
L’iniziativa, come ci ha spiegato la responsabile su scala nazionale del progetto Federica Zalabra, che è anche direttrice del Museo di Palazzo Altieri, parte dall’idea di individuare quelle opere che giacciono nei depositi dei musei nazionali e che possono essere valorizzate in altri contesti museali.
Un lungo lavoro di ricerca ha permesso il ritorno a casa, o comunque nel territorio di origine, di alcune opere, mentre altre sono andate a colmare le lacune di musei nuovi, creando con essi legami interessanti dal punto di vista storico e artistico.
Nell’ambito dello stesso progetto, nella Sala di David di Palazzo Altieri è stata pure collocata la grande tela dell’Immacolata Concezione, proveniente dalla Pinacoteca di Brera (Milano) e dipinta nel 1603 dal pittore romano Giovanni Baglione (1573-1643), non perché si trovasse originariamente nel palazzo, ma perché il giovane Baglione ha affrescato con il suo stile tardomanierista le volte di quattro sale del palazzo all’epoca di Onofrio Santacroce (succeduto al padre Giorgio nel 1591), che prendono il nome dalle storie bibliche che vi sono raffigurate.
Il palazzo, fulcro della “città felice” pianificata da Giorgio Santacroce, mostra nelle sue linee tardo-cinquecentesche lo stile vignolesco, anche se il Vignola era già morto nel momento della costruzione, che si data agli anni 1578-1585. La presenza di un ponte levatoio richiama quella di un castello, mentre il giardino di fianco, al di là della strada, sembra quasi un’anticipazione dei parchi ottocenteschi all’inglese per l’aspetto naturale boschivo, pur con un viale principale terminante in una palazzina settecentesca, che veniva usata coma luogo di sosta nelle passeggiate.
Con la scomparsa della discendenza maschile della famiglia Santacroce, subentrarono nella proprietà gli Orsini (1606-1671), e poi gli Altieri (1671-1970), che ampliarono e arricchirono il complesso architettonico, fino ad arrivare al risultato attuale, con la ricca quadreria e parte dell’arredo originario, che risale principalmente alla fase Altieri.
La “Galleria delle Belle” venne commissionata a Voet e alla sua bottega alla fine del ‘600 dal principe Gaspare Altieri (già Paluzzi Albertoni), secondo la moda del tempo di raccogliere ritratti di belle donne, inaugurata dal cardinale Flavio Chigi (nel Palazzo Chigi di Ariccia sono conservati 27 ritratti di Belle).
La serie di Oriolo era composta originariamente da 16 ritratti, ma venne smembrata in epoca moderna per questioni ereditarie. Una parte rimase a Palazzo Altieri e passò allo Stato italiano nel 1970, e una parte rimase agli eredi. Alcuni ritratti vennero trafugati negli anni ’90 del secolo scorso. Tra di essi il ritratto di Laura Caterina Altieri, moglie del primo principe di Oriolo Gaspare Altieri e nipote di papa Clemente X, che si trova attualmente, in seguito a diverse traversie, a Ca’ Rezzonico a Venezia.
Un altro ritratto di questa nobildonna, che era ritenuta particolarmente bella e gentile, si trovava nei depositi di Racconigi e quindi è stato spostato dal castello piemontese nella sua dimora di Oriolo e in occasione della festa di San Valentino viene esposto nella Sala del Trono, accanto a quello del marito in un ideale ricongiungimento amoroso.
Il prestito da Racconigi – che ci si augura possa diventare definitivo – permette, quindi, ai visitatori di poter ammirare il volto della principessa che si prodigò molto per il Palazzo e per il borgo di Oriolo. Il suo abbigliamento e l’acconciatura sono simili a quelli della principessa Ludovica Altieri, che era sorella di Gaspare.
Gli abiti richiamano nei ricchi broccati quelli della Madonna vestita, conservata nella vicina chiesa di San Giorgio, che sono stati donati in più tempi proprio dalle principesse Altieri (mentre dai principini derivano gli abiti del Bambinello).
Delle altre due Belle provenienti da Racconigi non si conosce il nome, ma forse in una di esse si potrebbe riconoscere Maria Mancini (una delle cinque sorelle Mancini, nipoti del cardinale Mazzarino), che sarebbe stata la prima innamorata di Luigi XIV di Francia e che, costretta dalla famiglia a lasciare Parigi poco prima del matrimonio del re con la principessa Maria Teresa di Spagna, avrebbe sposato il nobile italiano Lorenzo Onofrio Colonna.
Del resto altri ritratti della sala vengono tradizionalmente identificati con quelli delle celebri sorelle, che dovevano essere all’epoca un esempio di bellezza e mondanità.
La presenza delle Belle nel Castello Reale di Racconigi è legata alla predilezione del principe Umberto di Savoia per l’iconografia dinastica, che lo portò a radunare proprio in quel castello un nucleo vastissimo di ritrattistica.
Le tre Belle trasferite a Oriolo vanno a colmare il vuoto lasciato sulle pareti della sala che ha visto, negli ultimi due anni, il completo restauro delle sue Belle e vedrà anche per le opere di Racconigi un intervento di studio, indagine e restauro, grazie alla collaborazione con l’Istituto Centrale del Restauro. A breve partirà anche il restauro della loggia, affrescata all’epoca dei Santacroce con vedute e rappresentazioni dei feudi di famiglia.
Le novità e migliorie, apportate negli ultimi anni sotto la direzione di Federica Zalabra, sono un’ulteriore occasione per spingere i visitatori alla scoperta di un palazzo che conserva numerosi ambienti affrescati, la pregevole cappellina dedicata a San Massimo, risalente al periodo degli Orsini, e l’importante Galleria dei Papi, la cui raccolta dei ritratti era stata iniziata dal cardinale Paluzzo Altieri (1623-1698), ancora prima dell’ascesa al soglio pontificio di Clemente X (1670-1676) e dell’acquisizione del palazzo di Oriolo. Per contenere i ritratti venne fatta edificare la lunga galleria che si sviluppa per 70 metri in una sequenza di nove sale.
Questa raccolta è attualmente la più completa e meglio conservata tra quelle analoghe, ospitate nel palazzo Colonna di Marino, nella basilica di Superga a Torino e nella basilica romana di San Paolo fuori le mura. Quando quest’ultima venne distrutta da un incendio nel 1823, per ricostruire la serie completa dei ritratti dei pontefici si fece riferimento proprio a quelli di palazzo Altieri, che a suo tempo erano stati realizzati sulla base di quelli di San Paolo.
I ritratti dei papi, dipinti ad olio su tela, sono disposti, in quadruplici file orizzontali, sulle pareti di ogni stanza, secondo un ordine cronologico.
Tra i papi del Cinquecento e del Seicento alcuni sono stati copiati da quelli di artisti famosi: ricordiamo Giulio II, copia da Raffaello, Paolo III da Tiziano, Paolo V dal Caravaggio.
L’impostazione iconografica è simile in tutte le tele: a sinistra il ritratto del papa a grandezza naturale, sormontato da un’iscrizione latina che riporta il nome e le notizie biografiche rilevanti, a destra in alto è collocato lo stemma araldico (per i primi cento papi creato ad hoc riferendosi ai simboli del martirio o a fatti biografici), che sormonta un cartiglio barocco dove sono riportate in latino le imprese storiche compiute. Da Celestino II in poi nel cartiglio sono trascritti i brevi motti profetici riguardanti 112 papi, attribuiti all’irlandese san Malachia (1094-1148). Alcuni di questi sono del tutto ermetici e si possono interpretare solo ricorrendo a procedimenti artificiosi, ma nella maggioranza dei casi hanno un significato facilmente riconducibile al personaggio. Ricordiamo tra le ultime definizioni De medietate lunae (a metà della luna), che sembra far riferimento al pontificato di Giovanni Paolo I, durato solo trentatré giorni e la cui elezione è avvenuta a metà del mese lunare.
Nica FIORI Roma 13 Febbraio 2022