di Claudio LISTANTI
Un buon successo di pubblico ha salutato Luisa Miller di Giuseppe Verdi andata in scena recentemente al Teatro dell’Opera di Roma. Una rappresentazione molto applaudita nonostante lo spettacolo sia stato caratterizzato da alcuni contrasti tra la parte visiva e la parte musicale, come spesso accade oggi.
Luisa Miller è un’opera che, pur rivestendo una notevole importanza nell’ambito della produzione operistica verdiana, non ha avuto, nel tempo, un importante riscontro nella programmazione dei teatri lirici. Rappresentata per la prima volta al San Carlo di Napoli l’8 dicembre nel 1849, dopo un discreto successo iniziale è purtroppo entrata in quell’ingiusto oblio che a partire dalla seconda metà dell’800, ha colpito molte opere appartenenti al periodo, cosiddetto, del ‘giovane Verdi’. Una sorta di ostracismo dovuto agli enormi successi di quei grandi capolavori che Verdi produsse a partire dalla trilogia (Rigoletto, Trovatore, Traviata) fino alla vecchiaia (Otello, Falstaff). Nel secondo quarto del ‘900 ci fu la Verdi Renaissance, quel movimento culturale nato nei paesi tedeschi grazie allo scrittore Franz Werfel e al direttore d’orchestra Fritz Busch che si resero protagonisti di una rivalutazione a tutto campo di questo repertorio aprendo la strada ad una metodologia critica nuova che, a partire dal secondo dopoguerra, e per tutta la seconda metà del ‘900, ha dato degli eccellenti risultati consentendo alle opere giovanili di Verdi di rientrare a pieno diritto nel grande repertorio europeo e mondiale.
Anche per Luisa Miller iniziò la giusta ‘rinascita’ che ha portato la critica a rivedere parte di quelle posizioni sfavorevoli che ne aveva decretato l’oscuramento, un fatto positivo che ha avuto risvolti anche nelle programmazioni dei teatri che spesso l’hanno inserita nelle proprie stagioni anche se, c’è da dire, che la sua presenza non si registra molto frequentemente.
Così è avvenuto anche qui a Roma. Basti pensare che al Teatro Costanzi che, come noto ha iniziato l’attività nel 1880 nel pieno periodo degli anni dell’oblio, solo nel 1938 Luisa Miller, per tre recite, conquistò il palcoscenico grazie al direttore Tullio Serafin ed al tenore Giacomo Lauri Volpi, l’apprezzato specialista di Rodolfo, uno dei personaggi principali, che consegnò anche alla testimonianza discografica, ed al soprano Maria Caniglia nel ruolo del titolo. Luisa Miller ritornò per quattro recite nel 1949 con un diverso allestimento diretto da Gabriele Santini e con la stessa coppia di cantanti della precedente. Gli appassionati romani dovranno poi aspettare il 1990 per assistere di nuovo a Luisa Miller della quale si ebbero sette recite con Roberto Abbado alla direzione d’orchestra e con Alberto Cupido e Aprile Millo nelle due parti principali. Dopo di che si giunge all’edizione che stiamo recensendo per la quale va doverosamente ricordato che la direzione artistica del teatro la inserì nella stagione 2020 che però fu sospesa causa covid e spostata al 2021 ma per una sola recita in forma di concerto eseguita in assenza di pubblico ma diffusa tramite Rai Radio 3 e, anche, via streaming.
Tali vicissitudini ci fanno comprendere l’importanza di questa edizione che ha richiamato presso la Sala Costanzi un pubblico particolarmente numeroso.
Nel catalogo verdiano Luisa Miller occupa un ruolo che possiamo definire di ‘transizione’ tra il giovane Verdi ormai giunto alla piena maturità della sua giovinezza che si concluderà con la Trilogia e la ricerca di una nuova, e necessaria, strada che possa portare ad un nuovo stile espressivo per il teatro in musica. La Miller contiene, con felice bilanciamento, pagine di chiara derivazione giovanile ad altre che guardano al futuro prossimo, una sorta di ‘ponte’ tra i due stili, un ruolo che le consegna anche una collocazione temporale ben precisa nell’ambito del catalogo verdiano, tra La Battaglia di Legnano (gennaio 1849) culmine del Verdi risorgimentale e Stiffelio (1850) chiaro esempio di opera completamente nuova sia per l’attualità del soggetto sia per un nuovo modo di canto che ci lascia intravedere quel tipo di opera basata sul ‘declamato melodico’ che sarà la cifra stilistica dell’ultimo, grande, Verdi.
Queste peculiarità trovano uno straordinario punto di equilibrio in una partitura piuttosto raffinata i cui effetti già si ravvisano nella elegante orchestrazione della sinfonia, brano che spesso compare nei programmi di numerosi concerti sinfonici. Limitato è il numero delle arie per ogni singolo personaggio elemento che ha fa pendere l’ago della bilancia più verso il declamato per illustrare con più efficacia momenti e situazioni sottolineate dallo svolgimento dell’azione. Il tutto in funzione di una condensazione alla quale giovano le numerose scene d’insieme alcune delle quali concluse da momenti di ispirazione ‘cabalettistica’ che ne potenziano la sintesi. Non ci sono personaggi storici, ma solamente affetti personali racchiusi tutti in ambito familiare i cui contrasti sono dovuti all’estrazione sociale di ognuno dei due personaggi principali, borghese quello di Luisa e nobile quello di Rodolfo. Un’opera senza dubbio omogenea nell’insieme che pone all’attenzione dello spettatore una trama del tutto scorrevole e coinvolgente.
Verdi scrisse Luisa Miller per il San Carlo di Napoli in un momento nel quale, per vari motivi, che tra il teatro e il librettista Salvatore Cammarano, i rapporti si erano deteriorati. Per ricucirli Verdi decise di aiutare il Cammarano e produrre una nuova opera per la quale puntarono dapprima su un soggetto di carattere patriottico, L’Assedio di Firenze tratto dal coevo e omonimo romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi. Un progetto ben presto abbandonato in quanto il testo presentava sottotraccia dei risvolti pericolosamente ‘rivoluzionari’ che potevano creare possibili difficoltà con la censura. La loro attenzione deviò su un dramma di Friedrich Schiller, Kabale und Liebe (Intrigo e amore) scritto nel 1783 ed appartenente a quel filone del romanticismo tedesco altrimenti noto come Strurm und Drang. Il librettista ne semplificò l’azione rendendolo del tutto adatto per il teatro d’opera, al quale fu dato il titolo della protagonista femminile, Luisa Miller appunto. Come già accennato quest’opera non contiene riferimenti a fatti e personaggi storici: un elemento determinante che tenne lontano la censura.
L’opera è suddivisa in tre atti ognuno dei quali, come da prassi consolidata all’epoca, caratterizzato da un titolo. In estrema sintesi nel primo atto (L’amore) è messo in evidenza l’amore tra il giovane Rodolfo, figlio del conte di Walter e Luisa, figlia del vecchio soldato Miller. La loro unione è ostacolata dal padre di Rodolfo che vorrebbe dargli in sposa la duchessa Federica. Rodolfo non vuole cedere al padre e si oppone minacciandolo di rivelare che per ottenere la contea uccise suo cugino.
Nel secondo atto (L’intrigo) Miller è imprigionato. Il castellano Wurm, invaghito di Luisa, le promette di liberare il padre a patto che lei scriva una lettera a Rodolfo per confessare (falsamente) di averlo raggirato per ambizione personale. Luisa accetta; Wurm fa pervenire la lettera a Rodolfo che, disperato, si rassegna al volere del padre. Nel terzo atto (Il veleno) Luisa a seguito di tutto ciò decide di uccidersi ma è dissuasa dal padre; insieme cercano di cambiar vita altrove. I due stanno per partire. Rodolfo avvelena Luisa e se stesso, ma scopre che i due sono vittime di un raggiro. Oramai però è tardi; Luisa è agonizzante e poco dopo muore. Anche Rodolfo è prossimo alla morte ma prima riesce a pugnalare Wurm per poi morire accanto alla sua amata Luisa.
Come abbiamo accennato all’inizio lo spettacolo del quale stiamo riferendo alterna luci ed ombre, dovute alla realizzazione scenica che è stata affidata al regista Damiano Michieletto, oggi star incontrastata nel mondo delle realizzazioni per il teatro d’opera. Sua specialità è quella di trovare una chiave di lettura più ‘attuale’ che rinnovi l’essenza dei più grandi capolavori della storia del teatro per musica i quali, spesso, non ne hanno assoluto bisogno in quanto frutto dell’arte di grandi musicisti e di grandi uomini di teatro come è unanimemente riconosciuta quella di Giuseppe Verdi.
Anche in questo caso è stata operato un cambiamento d’ambientazione che ha rinnegato il contesto descritto nel libretto: “L’avvenimento ha luogo in Austria, in Tirolo, nel XVII secolo” con una scena che, nel primo atto è ambientata in un “Ameno villaggio. Da un lato la modesta casa di Miller, dall’altro rustica chiesetta. In lontananza, ed attraverso degli alberi, le cime del castello di Walter. Un’alba limpidissima di primavera è sull’orizzonte: gli abitanti del villaggio si adunano per festeggiare il dì natalizio di Luisa. Laura è fra essi.”
Questa è la didascalia che nel libretto descrive la scena iniziale che la musica di Verdi riesce a sottolineare con forza regalando quegli elementi campestri descritti per una cornice che racchiude in sé la gioia e la spensieratezza di una festa di compleanno di una giovane ragazza come è Luisa Miller. La scena, musicalmente, si può accostare a quelle scene rurali del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini. La didascalia mette in risalto un’altra particolarità, la “modesta casa di Miller” contrapposta alle “cime del castello” del conte di Walter. Per lo spettatore una visione che evoca il diverso strato sociale al quale appartiene ognuno dei due giovani protagonisti che, con il loro amore, avrebbero potuto superare le diversità ma che lo stato dei fatti ne ha impedito la realizzazione.
Lo spettacolo concepito da Michieletto ha puntato su una scena fissa con i fondali che mettevano in evidenza due file di porte o finestre sovrapposte, ognuna delle quali divisa da una striscia luminosa di neon, quasi a simboleggiare le due dimore, quella semplice dei Miller in basso e quella più signorile, ed austera, del conte Walter nella parte alta, elemento che ha ribadito la distanza che esiste tra le due famiglie. Si perde ogni traccia di colore locale che la musica verdiana evoca con forza facendo piombare il tutto nello squallore come possono trasmettere i colori bianco e grigio che coloravano le scene. Al centro del palcoscenico una pedana girevole che conteneva elementi scenici per lo più letti e tavoli che contribuivano ad accentuare lo squallore d’insieme. Scarsi i movimenti d’insieme tra i vari personaggi ed il coro, forse dovuti a disposizioni anti-covid, che hanno obbligato i membri del coro ad esibirsi indossando le mascherine. Inoltre i due giovani protagonisti avevano ognuno un alter-ego, rispettivamente una bambina ed un bambino a simboleggiare la loro fanciullezza scevra da qualsiasi condizionamento sociale.
Una visione d’insieme scialba e monotona, a nostro giudizio fuorviante rispetto all’impronta data da Verdi a questo dramma. Dobbiamo però riconoscere a Michieletto che la sua interpretazione era indirizzata a dare allo spettacolo, come egli stesso ha dichiarato nelle note contenute nel programma di sala, la dimensione domestica orientando lo spazio scenico a rappresentare due facce della stessa realtà seppur aderente a due ambienti sociali diversi. Ci è piaciuta, inoltre, la rappresentazione del personaggio di Wurm, perfido e subdolo, caratteri che dimostrano una stretta parentela con due personaggi che in futuro caratterizzeranno in Verdi le figure di Paolo Albiani del Simon Boccanegra e lo Jago di Otello; un Wurm dai risvolti terrificanti al quale il regista ha dato le sembianze e i movimenti di un membro della Gestapo o, vista la camicia nera indossata, di un rappresentante dell’OVRA di italica memoria.
L’allestimento proveniva da Opernhaus di Zurigo ed è stato realizzato con le scene di Paolo Fantin, i costumi, riferibili alla prima metà del ‘900, di Carla Teti, le luci di Alessandro Carletti e i movimenti mimici di Carlo Diego Masari, artisti tutti in sintonia praticamente simbiotica con l’impronta registica del Michieletto.
Per quanto riguarda la parte musicale occorre segnalare che nel complesso è risultata del tutto valida. Innanzi tutto la compagnia di canto ha dimostrato di essere ben affiatata e composta da validi cantanti. Il soprano Roberta Mantegna, che debuttava in questa occasione nel ruolo di Luisa, ha fornito una prova senz’altro convincente grazie ad una valida impostazione vocale regalando allo spettatore un personaggio dall’indiscutibile stile ‘giovanile’ e a suo agio nel ruolo per una prestazione alla quale ha giovato la sua esperienza maturata interpretando diversi ruoli verdiani accanto a grandi personaggi belliniani e donizettiani, esperienza che le consente facilità nel frequentare il registro acuto e sicurezza nel declamato che è una delle caratteristiche più importanti di quest’opera. Accanto a lei l’altro personaggio giovanile, Rodolfo, affidato al tenore Antonio Poli, un cantante nella cui carriera ha ottenuto lusinghieri successi nei personaggi da tenore ‘leggero’ facendo registrare, negli ultimi tempi, un irrobustimento della voce che gli consente di affrontare con la necessaria sicurezza una parte come questa per restituirci un Rodolfo del tutto credibile scenicamente e vocalmente.
Un grande successo personale l’ha ottenuto il baritono di origine mongola Amartuvshin Enkhbat che per l’occasione debuttava a Roma. In possesso di una voce calda e potente ha entusiasmato gli animi del pubblico grazie ad una facilità di emissione e ad una più che valida pronuncia italiana riuscendo a dare al personaggio di Miller quei caratteri ‘paterni’ necessari alla rappresentazione. Nella parte dell’altro genitore, il Conte di Walter, il basso Michele Pertusi, dalla straordinaria esperienza per i diversi ruoli verdiani per basso sostenuti nella sua luminosa carriera, ha interpretato con sicurezza e presenza scenica il ruolo ottenendo anch’esso un successo personale. Al suo fianco l’altro basso, Marco Spotti, nei panni del castellano Wurm ha interpretato la parte mettendo in risalto i caratteri subdoli e terribili che Michieletto ha dato al personaggio mostrando anche sicurezza nelle emissioni vocali. Nel ‘particolare’ personaggio di Federica, importante per sviluppo della trama ma purtroppo marginale per l’impostazione teatrale immaginata da Cammarano e da Verdi, il mezzosoprano Daniela Barcellona, di lunga esperienza teatrale, ha fornito una prova senza dubbio ineccepibile. Completavano la compagnia di canto due giovani provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, Irene Savignano Laura e Rodrigo Ortiz Un contadino.
La parte corale è stata sostenuta con sicurezza dal Coro del Teatro dell’Opera diretto da Roberto Gabbiani dimostrando ancora una volta di essere elemento di spicco della struttura musicale stabile del teatro romano.
Il direttore d’orchestra Michele Mariotti, in questa esecuzione di Luisa Miller ricopriva un ruolo fondamentale per la sua carriera in quanto è stata la prima esibizione nei panni di Direttore Musicale del teatro succedendo così a Daniele Gatti del quale, qui a Roma, se ne conserva un buon ricordo. Mariotti ha dimostrato di avere le giuste doti per ottemperare a questo nuovo incarico esibendo una direzione risultata curata, a partire dalla preparazione della compagnia di canto fino alla concertazione di tutto lo spettacolo al quale è riuscito a dare i necessari impulsi restituendoci un Verdi appassionato e teatrale grazie anche ai tempi e alle dinamiche scelte per l’esecuzione, molto ben sostenuto, nell’impresa, dall’Orchestra del Teatro dell’Opera.
Lo spettacolo ha avuto un buon successo (ci riferiamo alla recita del 15 febbraio) soprattutto per la cospicua partecipazione del pubblico che ha risposto con entusiasmo a questa riproposizione del capolavoro verdiano convenendo numeroso in teatro per una recita che ci sembra tornata alle rappresentazioni pre-covid facendoci intravedere il ritorno ad una certa normalità. Il pubblico ha partecipato con interesse alla fruizione dello spettacolo sottolineando il suo gradimento non solo al termine dell’opera ma anche con diversi e sostenuti applausi a scena aperta.
Claudio LISTANTI Roma 20 Febbraio 2022