Claudio Strinati fuori dal coro: Caravaggio? C’è molto da rivedere …

PdL

Prosegue la nostra indagine conoscitiva circa le modalità esecutive di Caravaggio, da molto tempo dibattutissime questioni ma ancor più tornate in auge in questi ultimi tempi in ragione del grande siluppo che hanno avuto le indagini diagnostiche applicate a varie opere dell’artista, con relative pubblicazioni, esposizioni, conferenze (da ultimo, segnaliamo quella che si tiene a Milano il 29 – 30 gennaio, in chiusura della mostra Dentro Caravaggio, curata da Rossella Vodret, cui daremo conto nel prossimo numero di About Art). Pubblichiamo oggi l’intervento di Claudio Strinati che esprime osservazioni frutto di un punto di vista molto originale e che sicuramente faranno discutere. Tutti gli addetti ai lavori e non solo conoscono molto bene Claudio Strinati, studioso di arte a 360°, uno dei più noti e preparati studiosi e critici d’arte italiani. Esperto di pittura rinascimentale, manierista e seicentesca, ma anche autore di notevoli saggi sull’arte contemporanea, nonchè critico musicale del settore lirico-sinfonico per varie testate, è stato per lunghi anni Soprintendente del Polo museale romano, e in questa veste autore di pubblicazioni, mostre, indagini, convegni sempre di pregevole fattura e di cui è impossibile dar conto in questa sede; è riconosciuto internazionalmente tra i massimi esperti della figura e dell’opera di Michelangelo Merisi.

-Il tema delle indagini diagnostiche su opere d’arte sembra da qualche tempo attirare l’attenzione degli addetti ai lavori soprattutto perché sta riguardando in particolare un artista molto amato dal pubblico, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Nel tuo lavoro di studioso e di dirigente per lunghi anni del più grande polo museale italiano, hai promosso una serie davvero notevole di iniziative di carattere espositivo editoriale convegnistico ed hai anche certamente contribuito in larga misura ad aprire la strada a queste metodologie di analisi; la prima questione che ti pongo dunque è questa: sulla base della tua eccezionale esperienza cosa pensi davvero delle indagini diagnostiche? Sono la strada per arrivare a definire le questioni attributive ?

R: Le indagini diagnostiche sono molto importanti, sgombriamo subito il campo dagli equivoci, e sono sicuramente di grande sostegno al lavoro dello studioso; tuttavia, se posso fare un esempio, nel nostro campo degli studi storico artistici la situazione è la stessa che c’è nel campo della medicina, nel senso che se l’esame diagnostico lo si legge correttamente –e sono convinto che i nostri esperti lo sanno fare perfettamente- si possono ottenere risultati significativi ma che tanto più sono validi quanto più riferiti ad un’ampia statistica; mi spiego: oggi siamo molto avanti sul piano tecnologico, non c’è dubbio, con macchinari sempre più efficaci che forniscono esiti eccellenti, ma il problema vero è che non abbiamo altrettanti dati statistici e tali da poterci autorizzare a trarre deduzioni sempre necessitanti.

Caravaggio. Resurrezione di Lazzaro (part. con incisioni, vedi anche disegno sotto)

Vuoi dire che non si sono raggiunti nelle indagini risultati tali da poter dedurre fatti incontrovertibili?

R: Esattamente. Prendiamo l’esempio delle incisioni; fino a qualche tempo fa si pensava che l’incisione, con una punta o con la coda del pennello o come che sia, rinvenuta su una tela fosse una caratteristica tipica di Caravaggio e che quel dato costituisse un grande ausilio per confermare l’attribuzione di un’opera all’artista; ora sappiamo che non è così, perché si vedono incisioni in tele di Gentileschi, Spadarino ed altri ancora. Che vuol dire? Vuol dire che non si erano fatte rilevazioni del genere su altri artisti della stessa epoca, ma appena lo si è fatto e i dati di valutazione sono aumentati le cose sono cambiate; oggi è possibile perfino arrivare a ribaltare la questione, dal momento che, certo, l’indagine va fatta, questo elemento delle incisioni deve essere rilevato, ma è del tutto insufficiente per giudicare l’autografia di un dipinto e, al contrario, potrebbe addirittura determinare soluzioni sballate se preso da solo, quindi non più necessitante per stabilire un’attribuzione. Ma se è così, ed è così, allora questo discorso vale per tutto il resto. Per fare un altro esempio, da sempre, parlando della tecnica esecutiva di Caravaggio si insiste molto sulla preparazione, sulla famosa ‘tecnica a risparmio’ ecc, ma anche leggendo le relazioni degli esperti non è che si capisca bene cosa sia, se e quando è stata usata e dove, ma soprattutto il problema secondo me è capire se quel tipo di procedura fosse o sia stata esclusivamente propria di quell’artista in quel lasso di tempo per consentirci di poter dire oggi che si, effettivamente non ci sono dubbi …

In pratica, mi sembra che a tuo parere quando  si tratta di discutere dell’attribuzione di un’opera –specie trattandosi di Caravaggio- occorrerebbe fare chiarezza su cosa si deve indagare e cosa viene indagato e perché; è così?

R:Ti rispondo con una considerazione che mi è occorso di fare proprio leggendo il catalogo della mostra milanese di Palazzo Reale Dentro Caravaggio che proprio sul tema delle indagini diagnostiche è stata organizzata, e cioè: ma sono state fatti rilievi diagnostici su determinati autori che usano il nero assoluto come sfondo di loro opere? Ti faccio un esempio che giudico emblematico: io sono assolutamente convinto che un’importanza enorme sia per la ritrattistica sia per l’approccio alla natura morta anche per Caravaggio l’abbia avuta Fede Galizia; c’è un suo ritratto molto noto, quello del gesuato Paolo Morigia, che ha un fondo scurissimo e che porta iscritta la data del 1596; certamente è un’opera strepitosa sotto l’aspetto tecnico esecutivo e, secondo me, contiene già in nuce tanti aspetti della tecnica caravaggesca;

Fede Galizia. Ritratto di Paolo Morigia

peraltro la data iscritta, ancorché ritenuta dubbia, è di per sé piuttosto interessante; quindi mi chiedo: sono state eseguite indagini su Fede Galizia, su Lomazzo, su quell’ambiente lombardo diciamo precaravaggesco che certamente ha influito sulla formazione del Merisi? E se si, sono ad un livello comparabile con quanto si è fatto e si sta facendo con le opere di Caravaggio ? Non ne sono affatto certo, anzi credo di no; allora è evidente che pur avendo a disposizione strumenti analitici così sofisticati si finisce con l’utilizzarli solo sul ‘feticcio’, nel nostro caso Caravaggio. Ma in questo modo il quadro non sarà mai completo e i risultati rimarranno importanti ma parziali.

A Milano tra i quadri esposti e sottoposti ad indagini vi è un dipinto, il Ragazzo morso dal ramarro della Fondazione Roberto Longhi, che non tutti gli esperti giudicano autografo, ritenendo invece di mano di Caravaggio solo quello che si trova oggi alla National Gallery di Londra. Tuttavia dalle analisi comparirebbe una prassi esecutiva ed una materia di quelle usate dal Merisi, ma gli esiti evidentemente non sono tali da convincere chi non ci vede la mano del genio milanese (da ultimo, vedi A. Zuccari, About Art online). Ti chiedo: non si rischia così di fare confusione ? E soprattutto, non si corre il rischio, una volta aperta questa porta, di ridimensionare il ruolo dello storico dell’arte?

R: Hai ragione, il rischio esiste. Dalle indagini possiamo arguire che Il Ragazzo-Longhi è esattamente dell’epoca, eseguito con gli stessi colori, gli stessi materiali, lo stesso supporto, esattamente con la stessa simbologia, ma per me resta una diversa versione da un originale; si può discutere se sia una replica o una copia, ma non si deve arrivare all’uso che giudico alienante di qualche rilievo scientifico-diagnostico per stabilirne l’autenticità; occorrerebbe sempre tener conto della nota sentenza basata sulla prassi filosofica del “necessario ma non sufficiente”, ed in effetti il vero scienziato è precisamente colui che sa distinguere il necessario dal sufficiente, mentre in certi casi la tendenza è a far coincidere i due aspetti.

Caravaggio. Ragazzo morso dal ramarro (sx N.G. Londra; dx F. Longhi)

In casi come questo il giudizio di attribuzione, di datazione e così via deve essere sempre pronunciato dallo scienziato, cioè dal vero esperto dell’argomento che poi alla fine è ancora lo storico dell’arte; certamente anche lo storico dell’arte deve avere contezza della dimensione scientifica ma non il contrario.

-Insomma non è sviluppando ad libitum la dimensione scientifica che si riuscirà a stabilire un’attribuzione.

R: Ma certo, è così; l’attribuzione è un processo logico razionale deduttivo che richiede la capacità di utilizzare in modo scientifico i dati messi a disposizione dalle analisi scientifiche, ed io –come ho detto- non nego certo la validità delle indagini diagnostiche applicate alle opere d’arte, ma l’utilizzo appartiene allo scienziato; voglio dire che le deduzioni vanno lasciate allo scienziato di quel determinato ambito, ed allora si torna al lavoro degli storici dell’arte. Ricordi Longhi ? secondo lui –riassumendo- il vero documento è l’opera d’arte ed in parte aveva ragione, ed effettivamente il Ragazzo morso dal ramarro della Fondazione Longhi assomiglia a quello che noi conosciamo essere lo stile e il ductus di Caravaggio, ma nessuna conferma del fatto che il quadro sia coevo ( e non c’è alcun dubbio che lo sia) ci consente di dire che sia veramente autografo; perché? Semplicemente perché non è possibile vedere la mano del Caravaggio dentro l’analisi riflettografica e spettrografica; proprio come, in campo medico, non si vede la malattia dentro la radiografia, infatti la diagnosi spetta allo scienziato, perché se la malattia vuoi curarla vanno messi nel conto una serie di altri parametri e non solo quello radiografico. Invece nel campo storico artistico molto spesso si ricorre al parametro analitico della riflettografia, ad esempio, per arrivare a sentenza, con il rischio di compiere magari involontariamente una vera e propria truffa intellettuale, spacciando per verità la semplice concretezza di un dato, mentre la verità storico-critica è un’altra cosa.

Restiamo su Caravaggio e parliamo del primo periodo, quando arriva a Roma; si sa che Prospero Orsi fu colui che lo introdusse negli ambienti che contavano allora a Roma; mi chiedo però se oltre a questo ruolo Prosperino non ebbe anche importanza per le scelte iconografiche di Caravaggio, non lo indirizzasse cioè anche sul terreno delle tematiche da svolgere, cioè proprio sui contenuti dei quadri da realizzare.

R: Certo è così, non c’è ombra di dubbio, ma lo dicono i biografi; è un dato che appare sia nella biografia di Gaspare Celio, riemersa di recente grazie a Riccardo Gandolfi, ma forse ancor più chiaramente lo afferma il Bellori che fu “Prosperino” a spingere il Merisi a dipingere alla giorgionesca che capiva essere la tendenza più moderna, più affascinante, quella che avrebbe potuto aprire a Caravaggio la strada per le più interessanti commissioni.

Giovan Pietro Bellori
Gaspare Celio

A questo punto allora diverrebbe secondaria la questione, su cui si discute da sempre in relazione alla sua formazione, e cioè se l’artista abbia mai fatto tappa a Venezia, visto che venne spinto da Orsi e quando era già a Roma su quella strada.

R: Potrebbe essere ma può essere anche vero il contrario e cioè che Orsi sapesse, che si rendesse conto dell’ambito formativo dal quale Caravaggio proveniva: perché lo percepì ? perché glielo riferì l’artista stesso? Forse non lo sapremo mai, ma è sicuro che lo sospinse verso quel tipo di realizzazioni, verso quei temi; posso credere che dopo la rottura di entrambi con l’Arpino lo convinse che doveva seguire la sua stella verso il suo “glorioso corso” –come dice Dante– ed in effetti Caravaggio intraprese questa direzione con dipinti come il Suonatore di Liuto

-Ti interrompo perché a proposito del Suonatore di liuto, in particolare quello della versione ex Wildenstein sono in molti a chiedersi perché non sia più esposta al Metropolitan e che fine abbia fatto. Tu che idea ti sei fatta?

R: Non saprei, non ho informazioni dirette; la mia idea, dal momento che me lo chiedi, è che in effetti si tratti di una vicenda un po’ strana ma che già all’origine presentava tratti di incresciosità. Conosci la storia del quadro? Venne trovato da Denis Mahon presso Wildenstein, appunto, e credo che fu proprio sir Denis a portarlo e a farlo esporre al Metropolitan di New York, o per lo meno a chiedere a Christiansen di farlo. Ed effettivamente su questo esiste una vera letteratura, con tanto di pubblicazione sul Burlington, nella certezza che si trattasse della rediviva versione Barberini (acquisita, com’è noto, dalla eredità Del Monte). Dunque, il dipinto venne portato al Metropolitan ed esposto per svariati anni come ‘prestito’, il che suona piuttosto curioso, perché se fosse stato davvero il quadro di provenienza Barberini allora viene da credere che il Museo lo avrebbe acquistato, dal momento che un grande museo come quello – ma naturalmente come ogni museo- ad un Caravaggio vero sarebbe stato ben interessato, tanto più che il Metropolitan espone come opera ‘certissima’ la Negazione di Pietro, che a mio avviso tanto sicura non è; dunque posso supporre che rendendosi conto del rischio di dover esporre due opere discusse alla fine abbiano deciso di soprassedere e di togliere il Suonatore dalle sale espositive.

Caravaggio. Il Suonatore di Liuto (sx Ermitage; dx ex Wildenstein)

Secondo te qualcuno si è reso conto del fatto che la versione ex Wildenstein non reggeva il confronto con l’altra dell’Ermitage ?

R: Si, credo proprio che si siano resi conto che non si potesse acquistare un dipinto dove, se la natura morta è molto bella ed affascinante, non altrettanto può dirsi del Suonatore, talmente mediocre che non se ne può sostenere l’autografia caravaggesca. Ecco, per ritornare al tema di quanto possano pesare le indagini diagnostiche, questo è uno degli esempi in cui la scienza ci entra ben poco ed invece subentra l’occhio, la storia, il gusto estetico: ci potranno essere tanti indizi da eventuali esiti diagnostici, ma come si può pensare che Caravaggio dipingesse un quadro così? Certo, si potrebbe dire: “ma il gusto estetico è soggettivo”, ed è vero, ma allora mi appello al pragmatismo anglosassone secondo cui la bellezza si capisce ad intuito; paragona il volto sublime del Suonatore dell’Ermitage a quello del Suonatore Wildenstein e vedi se può venire in mente a qualcuno che possa trattarsi della stessa mano che li ha dipinti. Il dipinto ex Wildenstein resta comunque un dipinto interessante, ma di sicuro non è un sommo capolavoro paragonabile a quello Ermitage; sarà di un bravo copista, l’avrà fatto Carlo Magnone, quello che vuoi, ma sicuramente Caravaggio c’entra poco, ed il fatto che non sia più esposto è una cosa che fa pensare.

Quello che stupisce, se posso dire, è il silenzio degli studiosi, dei molti (anche troppi) cosiddetti esperti di Caravaggio …

R: E’ vero, magari quanto meno il curatore dovrebbe spiegare la vicenda almeno agli addetti ai lavori, informando il mondo degli studiosi dei motivi della rimozione; invece niente. Suppongo che probabilmente dopo che qualcuno abbia posto il problema, si sia preferito rimuovere il problema rimuovendo il quadro da dov’era esposto e che alla fine fosse meglio non parlarne, cosa che non mi pare molto dignitosa.

Passiamo a un altro tema che le recenti documentazioni hanno reso di grande attualità ed oggetto di prese di posizioni contrastanti, vale a dire la cronologia delle prime opere di Caravaggio a Roma che, se si dà fede agli ultimi testi pervenuti, risale al 1596 cosa che costringerebbe a spostare ai pochi mesi che vanno dal 1596, appunto, al luglio del 1597 (data che vede l’ingresso di Caravaggio presso il cardinal Del Monte) la datazione di una decina di opere. Tu che idea ti sei fatta ?

R: Io penso invece che Caravaggio abbia dipinto tutto subito dopo, secondo me in quell’arco di mesi che

Francesco Maria Bourbon Del Monte

indicavi non ha dipinto niente; sono portato a ritenere infatti che egli facesse un altro mestiere, vale a dire che fosse a Roma come una sorta di advisor, un esperto d’arte ingaggiato o a contatto con collezionisti e mercanti (pensiamo al tipo di contatti col famoso Costantino Spada, ad esempio); credo che fosse arrivato nella capitale pontificia come grande esperto, naturalmente già formato come pittore e bravo nel dipingere, ma secondo me non svolgeva questo lavoro; se pensiamo a quello che può aver dipinto prima delle date che indicavi non c’è niente, inutile sforzarsi tanto non si trova nulla. Ho idea che abbia cominciato a dipingere per davvero più tardi di quanto non si creda, forse quando, spinto proprio da Prospero Orsi –che ne aveva riconosciuto subito il genio- si sarebbe convinto ad abbandonare la bottega di Arpino e i contatti con i mercanti e a spingersi decisamente nella professione.

-Sono tesi originali, piuttosto diverse da quanto si creda, e in ogni caso ritorna il ruolo preponderante di Prospero Orsi.

R: Io credo molto al ruolo di Orsi. Quando Baglione lo appella come “Turcimanno del Caravaggio”  non

Giovanni Baglione

vuole alludere solamente ad una figura che oggi chiameremmo ‘manager’, ma a qualcosa di più, ossia il sostenitore, il creatore del personaggio il quale diventa veramente artista, nel senso di grande pittore, solo successivamente alla rottura con l’Arpino e con il mondo dei mercanti che aveva conosciuto; non a caso le grandi opere iniziano dopo la presentazione al Del Monte. Questo ci spiega una certa anomalia della sua produzione, cioè l’enigma di dove siano potuti uscire quei capolavori grandiosi che conosciamo, a cominciare dalla Cappella Contarelli e proseguendo con gli altri.

-Ecco, da dove ‘escono’ allora quei capolavori a tuo avviso?

R: Dal nulla, secondo me dal nulla, e Michelangelo Merisi è proprio l’esempio di un artista sommo che appare dal nulla, che in pratica non ha fatto niente fino a quel momento e comincia in effetti da qui; ma dico di più: se vai a verificare sui documenti disponibili ci si accorge di una cosa sconcertante, cioè che lui ha realizzato tutto insieme, nel senso che inizia a dipingere intorno al ’98 – 99 e nel 1603 ha finito, ha realizzato tutto insieme, cappella Contarelli, cappella Cerasi, Sant’Agostino, Madonna dei Palafrenieri, e così via, in pratica dipingendo un capolavoro dopo l’altro; se ci si fa caso Van Mander in qualche modo lo accenna e ce lo fa capire :”Non lavorava mai” scrive più o meno, ed è ovvio, non lavorava mai perché aveva fatto già tutto insieme; dopo di che sappiamo che deve fuggire da Roma e a Napoli dipinge le Sette Opere di Misericordia –che in effetti a mio avviso rappresentano l’autentica sintesi finale della sua esperienza artistica- , poi va a Malta e in Sicilia.

Ma allora come giudichi queste opere dell’ultimo suo periodo creativo?

R: Se prendiamo ad esempio le opere del periodo siciliano, mi sembrano quasi sconclusionate, molto differenti l’una dall’altra, cosa che fa riflettere. Non a caso per me queste riprese degli studi sull’ultimo Caravaggio che si tendono a fare oggi lasciano il tempo che trovano, funzionano poco; se mettiamo la Resurrezione di Lazzaro a confronto con l’Adorazione dei Pastori si vede che non si assomigliano minimamente; questo vale anche per il Seppellimento di Santa Lucia  -opera fosca per un verso, ma mirabile per l’altro-  che presenta un’esecuzione accidentata (certo, è pur vero che è un’opera assai deteriorata a livello conservativo) e tuttavia posso credere che quegli sfondi meravigliosi, di fatto non dipinti, siano tali perché per l’appunto non dipinge: è un quadro enorme che rappresenta principalmente il vuoto, il vuoto e il buio; un lavoro enorme ‘non dipinto’, insomma una sorta di Burri ante litteram, davvero sembra precorrere l’informale. Ma domandiamoci cosa significa tutto questo, e arriviamo alla conclusione che la carriera di Caravaggio è veramente ancor più sbalorditiva di quanto fino ad ora tutti gli abbiano riconosciuto.

Caravaggio. Seppellimento di Santa Lucia

Quindi quando prima accennavi alla “anomalia” nella produzione di Caravaggio intendevi quanto è relativo alla progressione del suo fare pittorico, ai particolari sviluppi delle creazioni?

R: Basta riflettere: quando al famoso processo del 1603 intentato da Baglione afferma “il mestiere mio è di pittore” lo dice perché in realtà non è così, nel senso che vuole rimarcare la sua estraneità da una comunità di artisti di cui certamente faceva parte ma che probabilmente disprezzava; questa cosa dei rapporti tra artisti non è stata indagata a fondo, quindi si può solo pensare –e questa è la mia idea- che la grande anomalia che tutti percepiamo in Caravaggio, di artista unico, eccezionale, fuori dall’ordinario risieda proprio in questo fatto che non si percepiva pittore, non si sentiva e non era tale, non faceva ‘quella’ professione. La verità è questa: Caravaggio dipinge diciamo 15 – 20 quadri eccezionali, dirompenti, fuori dalla norma, completamente diversi da tutto il resto, dopo di che finisce. Se posso fare un paragone con un altro genio stavolta dell’arte musicale, è proprio quanto accade con Gioacchino Rossini.

 

A questo punto però mi chiedo quale sia la tua idea della storia in generale e della storia dell’arte in particolare, perché mi pare che tu percepisca un’idea della storia per salti, senza continuità, un’idea che sembra tenere in relativa considerazione i contesti, il progredire delle idee e degli eventi come flusso continuo, non per strappi, insomma non con andamento a sinusoide con alti e bassi; così, tanto per semplificare avremmo nel campo della storia dell’arte Giotto/ Masaccio, poi nulla, poi il Rinascimento, poi Caravaggio, poi gli Impressionisti e così via e nel mezzo più o meno il nulla.

R: Io credo in realtà che la storia sia una specie di sistemazione che opera la nostra mente; non si può negare che le tappe o gli esempi che hai citato rappresentino dei picchi nel campo dell’arte ed altrettanto si potrebbe dire nel campo della scienza, della musica e ovunque; la verità è che noi pensiamo alla storia come agli avvenimenti e agli eventi che conosciamo e che studiamo; si potrebbe obiettare che questa è una mera costruzione mentale, cioè che la storia altro non sia se non la sistemazione che noi diamo alle cose sulla base della convinzione che ci sia una continuità che però in realtà non c’è e quindi la risposta alla tua osservazione potrebbe essere questa, che in realtà la storia non esiste nel senso che le diamo noi; di conseguenza non è che la storia proceda per salti, semplicemente non è una successione di eventi o di fatti che si dislocano secondo una successione temporale lineare come richiama la nostra mentalità occidentale, mentre in realtà vengono essi singolarmente intesi a seconda di come accadano.

-Vorrei tornare un po’ sulle tue osservazioni precedenti circa la produzione giovanile di Caravaggio, perché se quello che affermi fosse vero, bisognerebbe ridiscutere molte cose anche relative a quanto tramandano le fonti dell’epoca sull’apprendistato di Caravaggio, sulla produzione di teste presso il Carli siciliano e così via, per non dire delle recenti scoperte documentarie circa la sua presenza a Roma non prima del 1596 e quindi della risistemazione cronologia che, su questa base, alcuni studiosi hanno proposto dei lavori giovanili.

R: Cominciamo col domandarci se davvero siamo sicuri che Caravaggio arrivi a Roma nel 1596 o al più l’anno prima; non possiamo esserne certi e tuttavia supponiamo che sia stato così; ritorno però al concetto espresso prima; tu parli delle fonti, e cosa dicono le fonti? I biografi di questi primi anni romani -che siano datati dal 1596 o da prima- sono d’accordo nel descrivere Caravaggio come uno che “stenta la vita”. Ma perché “stenta la vita” ? ti rispondo: perché non fa il mestiere, non fa il pittore, insomma in una parola non lavora!; di queste famigerate “teste di devozione” realizzate da Lorenzo il Siciliano, quante ne sono state trovate?  Nulla !, né si scoprirà mai nulla; allora a mio avviso la domanda da porsi è un’altra: “ma perché stenta? come mai non lavora ?” Eppure il Merisi arriva da Milano come un raccomandato (non dimentichiamoci la famiglia importante che lo sostiene) ma nonostante ciò “stenta”, ed io sostengo che stenta perché non lavora.

Si, ma cosa intendi precisamente ? perché risulta che sia passato attraverso varie botteghe prima dell’estate del 1597 …

R: Che voglio dire quando affermo che “non lavora”? Semplicemente che è lui che non vuole fare il pittore, perché come ho spiegato, non si sente tale; il senso della frase “il mestiere mio è di pittore” è precisamente una rivendicazione di diversità dall’ambiente che vede e che conosce. Solo l’irrompere di Prospero Orsi lo convincerà alla fine ad intraprendere sul serio il mestiere e cambierà le cose; ma perché questo succede? forse per qualche tipo di obbligo contratto? Non lo sappiamo, quel che è certo è che Prosperino intuisce le potenzialità del ‘genio’ e lo introduce presso Del Monte. Ma anche qui occorre capirci, perché secondo me i dipinti per Del Monte –e penso proprio al Suonatore di Liuto (ma non quello ex Wildenstein)- sono concepiti dal prelato come qualcosa di molto privato, come realizzazioni, come dire?, per i divertimenti da condividere con pochi e stretti sodali, composizioni giocose insomma, o almeno credo che così li abbia concepiti il mecenate di Caravaggio; ma per Orsi evidentemente non era così, quelle opere rivelano il genio che lui aveva intuito e di qui il sorgere prorompente di un astro, di qui la Contarelli e tutto il resto di opere somme nel giro di poco tempo; dopo di che il tramonto.

Per concludere vorrei conoscere il tuo parere su questa questione ancora assai discussa e assai divisiva delle repliche e delle copie; dopo tanti anni di studio e di approfondimento (l’ultimo tuo contributo apparirà in un volume in corso di stampa per i tipi della Ugo Bozzi editore, Originali Repliche Copie. Uno sguardo diverso sui Grandi Maestri (XVI –XVIII sec) quale idea ti sei fatta?

R: Onestamente non saprei dirti, in verità non sono mai riuscito a definire la questione fino in fondo; potrei dirti che se pensiamo alla personalità di Caravaggio e alle sue idee direi senz’altro di no, cioè che non replicasse suoi lavori, ma come possiamo negare che non sia stato in qualche caso indotto a farlo? Si può credere che utilizzasse il criterio del copyright, se posso dire così, nel senso che lui stabiliva temi e  iconografie lasciando poi ad altri della sua cerchia poterli replicare; il Suonatore ex Wildenstein che riflette dappresso l’originale dell’Ermitage, dove la natura morta magari è la sua ma il resto no, può essere un esempio; e più ancora, se pensiamo, alle varie versioni della Cattura di Cristo, o alla replicatissima Incredulità di San Tommaso  -dove non è ben chiaro quale sia l’originale (che forse probabilmente non c’è)- si deve credere appunto che una volta elaborata una rappresentazione lasciasse poi ad altri la possibilità di farne, che so?,  dieci ‘tirature’; e tuttavia a pensarci bene una spia di come lavorasse e la pensasse al riguardo l’abbiamo, e riguarda il Martirio di San Matteo, capolavoro assoluto riguardo al quale invece questa volta le indagini diagnostiche hanno scritto una pagina decisiva, dimostrando –attraverso le radiografie- come rispetto alla prima versione Caravaggio abbia completamente cambiato le cose, dipingendo una scena assolutamente differente, quella che possiamo vedere ancor oggi a San Luigi dei Francesi. Se dunque uno come lui dipinge due volte uno stesso tema ma in maniera totalmente diversa, come si può credere che sia un artista che possa replicare? Ecco, secondo me quello è un indizio preciso della unicità dei suoi lavori e dunque probabilmente alla fine mi convincerò che forse non replicasse.