Dove crollò il Campanile. Accumoli sei anni dopo; da una realtà svuotata, le emozioni e i ricordi di una ricerca

di Margherita FRATARCANGELI

Accumoli emotivi. Cronaca di un luogo e di una memoria*

*Il resoconto di viaggio ad Accumoli (del 7 gennaio 2022) che qui si propone scaturisce da un sopralluogo, finalizzato alla verifica e schedatura di alcuni beni storico-artistici, effettuato assieme a Monica Minati e per conto della Sabap Roma metropolitana e provincia di Rieti, sotto la direzione del dottor Giuseppe Cassio.

S.S. 4 – via Salaria, km. 141.300: è l’attuale indirizzo del Comune di Accumoli dal 2017. Davanti ai moduli abitativi che ospitano gli uffici comunali, stazioniamo per mezz’ora, in attesa di essere autorizzate dalla segreteria del Sindaco ad accedere alla zona rossa del paese. Non è lontano il ricordo di Accumoli quale epicentro di alcune delle più violente scosse di terremoto che dall’agosto 2016, e ancora per tutto l’anno successivo, investì gran parte della provincia settentrionale del reatino, sversandosi poi verso le Marche e l’Abruzzo.

Accanto al Comune, in altri prefabbricati, sono insediati una macelleria, un casaro, un bar e poco oltre un piccolo centro commerciale. L’autorizzazione comunale giunge, saliamo in auto e ripartiamo. Attraversiamo la statale e poco più in là un bivio e un cartello indicano la nostra meta. Oltrepassiamo il fiume Tronto. Non conosciamo il luogo esatto dove arrivare, dal basso non riusciamo a farcene un’idea. È la nostra prima volta ad Accumoli. Le curve della carrozzabile che percorriamo si svelano deserte, di tornante in tornate. Saliamo. Arriva un semaforo attivo e un segnale stradale avverte che la via diventerà a senso alternato. Aspettiamo. Passano i minuti, che paiono decisamente oltre la misura. Nessuno arriva dal senso contrario. Predisposizioni di una circolazione che non può più esser definita tale e che ti coglie impreparato. Tu vieni da dove i semafori hanno un ruolo, mentre su quella strada paiono svuotati, sono solo segnacolo di sé stessi e di una vitalità umana che non ha modo di essere.

fig 1

Per un po’ non incontriamo nessun’altra indicazione che segnali la presenza o la diramazione per Accumoli. Arriviamo d’improvviso a un pianoro, 855 metri s.l.m. e 3 gradi sopra lo zero mi avverte un avviso del navigatore Waze. La sommità della montagna è però oltre. Non siamo nell’antico paese, bensì nel nuovo agglomerato post terremoto. Davanti a noi, disposte lungo terrazzamenti si susseguono ordinate, su ideali rettifili, tante identiche Strutture Abitative Emergenziali (sae), più note con l’acronimo di map. Siamo giunte al temporaneo domicilio della popolazione di Accumoli[1], accanto sono anche i moduli abitativi delle frazioni di Terracino e Roccasalli.

Cerchiamo un contatto. Cerchiamo informazioni per raggiungere l’Accumoli abbandonata. Pochi minuti e arriviamo alla fine dell’agglomerato. In apparenza nulla si muove, qualche macchina è parcheggiata, una tenda di una finestra si scosta e una nonnina vi barcolla dietro, un gatto, padrone di una panchina, ci ignora. Decidiamo di fare un secondo giro e, poi, un terzo. Finalmente una donna esce di casa e, con titubanza, ci indica come raggiungere la sua città. Ci tiene a dichiarare che lei vi è nata e avverte che il luogo è abbandonato, che gli sciacalli in questi anni l’hanno spogliato, che è pericoloso andare e soprattutto insiste, più e più volte, che non possiamo accedere, non siamo autorizzate. Noi l’autorizzazione l’abbiamo, gliela mostriamo pure, ma la donna sembra non volerlo accettare. Deve esser parso assurdo, a chi il paese lo ha vissuto quotidianamente e da sempre, che il 7 gennaio 2022, qualcuno giunga su quell’aspra montagna, in una giornata fredda e spazzata dal vento, alla ricerca di una città che non ha più una realtà. Deve essere sembrato irreale sentirsi dire che si era lì per salvaguardare e tutelare dei beni storico-artistici rimasti nel paese. Ancora più assurdo ascoltare che i manufatti che ci avevano spinto fin là rispondevano al nome di campane.

La donna soppesa velocemente l’informazione sulle campane e sulla loro tutela e dopo qualche secondo risponde con un: «non c’erano campane ad Accumoli!». Il dialogo stava prendendo una piega decisamente metafisica o, se volessimo incasellarlo letterariamente, era decisamente beckettiano. Dolcemente e con semplicità spiegai che forse quelle campane non poteva averle viste molto spesso, essendo nascoste solitamente nelle alte torri campanarie, torri che ora erano al suolo, ma che tuttavia lei quelle campane le avrà sicuramente ascoltate nei rintocchi cadenzati e rassicuranti di ogni fase della giornata e dell’anno. Inconsapevolmente quei manufatti erano parte di lei e della sua vita, e noi eravamo lì per restituirgliele, per riconsegnarle quel suono e la sua valenza. Non son certa di averla tranquillizzata, ma ha sorriso e ci ha lasciato andare.

Pur seguendo le indicazioni stradali ricevute non riusciamo a raggiungere il luogo per accedere alla zona interdetta. Un’automobile bianca a fascia gialla spunta da uno dei rettifili, alla guida un’energica postina (frammenti di normalità!) che con pochi gesti e parole ci indica la destinazione.

Scendiamo di un tornante e giungiamo davanti ad un’alta transenna – Alt / Esercito avverte il tondo cartello rosso e bianco – che salendo non avevamo notato, forse nei nostri occhi era troppa vita attiva.

fig. 2

Accostiamo la macchina: freno a mano, zaino, cellulare, sciarpa e cappello. Scattiamo alcune fotografie e le inviamo ai colleghi rimasti a casa per segnalare la nostra attività (solo ora penso che fosse un modo inconsapevole per farci geo-localizzare)[2]. Scavalchiamo lo sbarramento negletto e la strada, in origine asfaltata, subito scompare, invasa dalla vegetazione che ne ha ripreso possesso, coperta da smottamenti e detriti. Pochi metri sulla via che discende e non vediamo più la nostra auto. Smettiamo, senza volerlo, di parlare. Tratteniamo il respiro, anche questo senza rendercene conto. Le prime case ci raggiungono e ci sgomentano. Tante immagini a stampa viste e tante riprese video visionate su quei luoghi non ti preparano.

fig 3

La realtà è come al solito a un livello emotivo ben più alto.

fig 4

È il vuoto per primo a farsi sentire, un elemento che non dovrebbe avere peso o entità ma che anzi mostra beffardo il suo lato surreale e lo fa colpendoti quasi con uno schiaffo. Giustifichiamo il nostro silenzio con il freddo che percepiamo, ma uno sguardo scambiato poco oltre (pur se parzialmente coperto dalle mascherine Ffp2), ci fa ammettere che è difficile essere lì, che è difficile elaborare quello che vediamo. L’assenza, l’abbandono, la distruzione, il silenzio sono ben più rumorosi di come uno se li aspetta.

Negli occhi scorrono fotogrammi: una scarpa da ginnastica, una ringhiera divelta, finestre squassate, piastrelle, scaldabagni, muri puntellati, transenne e reti arancioni di cantiere (l’unica nota di colore nel paese) che interdicono l’accesso ad alcune aree.

fig 5

Edifici antichi e moderni sono stati parimenti colpiti dai crolli, democraticamente verrebbe da dire.

fig 6

Si vedono solai in cemento armato, tavelloni, blocchetti di tufo, volte e centine in legno. Guardo e percepisco anche quello che ora non è più. Scendiamo ancora. A fatica individuiamo qualche porzione di quei palazzi che qualificavano la storia dell’abitato: frammenti, sostruzioni e poco altro di palazzo del Guasto, palazzo Marini, palazzo Organtini e palazzo Cappello.

Dove sono le chiese e dove la piazza principale? Non ci sono più àncore visive.

Ma il Palazzetto del Podestà, con i suoi lisci conci di arenaria e il cartello che lo qualifica e lo data al secolo XII, è ancora lì. Addossata e sostenuta dal Palazzetto è l’alta Torre Civica, anch’essa presiede il luogo dal XII secolo. Sono manufatti feriti, danneggiati ma ci sono. La Torre è stata messa in sicurezza, ‘pancerata’ da una maglia di legno e cavi di metallo che la tiene e la sostiene[3].

fig 7

Attende di esser liberata, riattata e di veder tornare all’interno della cella le sue calotte[4].

fig 8

Già, eravamo lì per le campane, lo avevamo dimenticato.

Bisognava cercare. Non avevamo molte indicazioni per trovare il luogo dove erano ricoverate le nostre capsule di bronzo. Poche centinaia di metri oltre e si palesano: sono poggiate su legni che le rialzano dal suolo, ricoperte di polvere e con ancora i detriti dei crolli incastrati negli interstizi degli agganci. (FIG. 9-10)

fig 11

Alcune sono ammaccate, altre ossidate, ma possono denunciare. Le fotografiamo, le misuriamo, ne riscontriamo lo stato di conservazione, ne trascriviamo le didascalie e ne rileviamo le iconografie. Sui ventri delle campane si avvicendano cherubini, Cristi crocifissi, Madonne con bambini, santi, stemmi, ghirlande, festoni, qualche animale e iscrizioni, una per tutte recita: «a fulgure et tempestate libera nos domine […] 1784». Il silenzio, finalmente, è meno presente.

fig 12

Sono vasi di metallo taciturni, sono manufatti senza destinazione d’uso, come se solo il fatto di essere suonati gli potesse concedere di assolvere alla loro valenza simbolica. In quel momento però, nessun rintocco, nessuna chiamata all’ordine. Eppure quelle campane esistono, raccontano di quando giunsero in paese, chi le realizzò, chi le volle e per quale motivo, svelano a quali santi sono dedicate e indirettamente rivendicano un luogo e un’adunanza civica alla quale sono indissolubilmente legate. Il pensiero per un istante corre alla campana protagonista di un episodio del film del regista Andrej Tarkovski: i bianchi e i neri di quella pellicola sono gli stessi che vedo oggi, anche i suoni, idealmente, si sovrappongono e mi convinco che qui, come per la sfida compiuta da Boriška[5], vi sia lo stesso sforzo di ri-nascita.

Ecco, avevamo concluso. Potevamo lasciare Accumoli. Portavamo indietro la memoria visiva, testuale e simbolica di cinque campane orfane di campanili, e con noi era anche l’idea che quei manufatti bronzei dovessero tornare a svolgere il ruolo sociale per cui erano stati fusi.

La strada del ritorno divenne pesantemente più lieve.

Margherita FRATARCANGELI  Accumoli Marzo 2022

NOTE

[1]     Seicentoquarantasette abitanti nel 2017, che scendono a cinquecentocinquantacinque nel censimento del 2020-2021.
[2]  Del gruppo di lavoro presso la Sabap Roma metropolitana e provincia di Rieti fanno parte anche Francesco Gangemi e Luisa Nieddu.
[3]  La messa in sicurezza è stata operata tra il 2016 e il 2017 da alcune squadre di Vigili del Fuoco, al riguardo cfr. https://www.vigilfuoco.tv/lazio/rieti/Accumoli/terremoto_centro_italia_2.
[4] La campana della Torre Civica (112 cm di altezza -78 cm di diametro) è datata, stando all’iscrizione, al 1306. È l’unica campana del paese ad essere stata recuperata e trasportata in un altro deposito. Il recupero della campana si può vedere in un video dei Vigili del Fuoco: https://www.vigilfuoco.tv/lazio/rieti/Accumoli/rimozione-campana-torre-civica.
[5] Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/andrej-rublev_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/