di Nica FIORI
Ai Musei San Domenico di Forlì in mostra capolavori su un’affascinante figura simbolo di carnalità e di spiritualità.
I vangeli canonici parlano di una donna al seguito di Gesù, detta Maria di Màgdala dalla sua città di origine (un piccolo centro romano-giudaico sulle sponde del lago di Tiberiade). Presente nei momenti salienti della Passione di Cristo, è secondo Giovanni (20, 11-18) l’unica protagonista della scoperta della Resurrezione e del suo annuncio agli apostoli. A questa misteriosa figura, così vicina al Nazareno da aver ispirato anche l’ipotesi che fosse la sua Sposa (incarnazione umana del concetto gnostico di Sophia, ovvero Sapienza), l’arte, la letteratura, il cinema hanno dedicato centinaia di opere e di eventi, confondendo in un’unica Maria l’identità di altre donne, e trasformandola in un simbolo di peccato e di pentimento, di ossessione e di amore, di fedeltà e di sofferenza, di carnalità e di santità.
Ma chi era davvero la Maddalena?
Sulla sua sfaccettata e travisata figura cerca di far luce, attraverso preziose e affascinanti opere d’arte e un esaustivo catalogo (Silvana Editoriale), la grande mostra “Maddalena. Il mistero e l’immagine”, ospitata a Forlì nelle sale dei Musei San Domenico dal 27 marzo al 10 luglio 2022. L’esposizione, a cura di Cristina Acidini, Paola Refice, Fernando Mazzocca, è stata ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì e i Musei San Domenico, sotto la direzione generale di Gianfranco Brunelli.
Nonostante la drammatica situazione internazionale, che ha privato l’evento di quattro opere d’arte che dovevano essere prestate dall’Ermitage di San Pietroburgo, si è provveduto in tempi rapidi a sostituirle con altre (nel caso della Maddalena penitente di Canova, è stato prestato l’originale in gesso dall’Accademia di Belle Arti di Bologna) e sono pertanto esposti ben 210 capolavori tra pitture, sculture, miniature, arazzi, argenti e opere grafiche (e perfino un video di Bill Viola) che rinnovano la magia, inaugurata 17 anni fa, delle grandi mostre forlivesi, caratterizzate da un altissimo livello culturale (ricordiamo che due di esse hanno vinto l’oscar del Global Fine Art Awards nel 2019 e nel 2021).
Gianfranco Brunelli, nel corso della presentazione alla stampa, ha dichiarato:
“È una mostra che può apparire difficile ed essere invece facilissima, perché il gusto estetico, la qualità impressionante di alcune di queste opere – ma complessivamente di tutte – consentono di viaggiare nel tempo e di gustare alcuni dei grandi capolavori della storia dell’arte … Maddalena ha avuto un volto solo e non lo conosciamo, ma noi le abbiamo dato nella storia mille volti: i volti in ogni epoca, in ogni momento della storia, che erano in fondo i nostri volti e come in uno specchio noi abbiamo guardato questa donna”.
Anche Paola Refice evidenzia nel suo testo di presentazione la pluralità di questa figura:
“La Maddalena è tra le figure più rappresentate nella storia dell’arte. Eppure le molteplici iconografie che ne personificano il nome rispecchiano una tradizione complessa e contraddittoria. … Con le Pie Donne compare nelle prime rappresentazioni dell’arte cristiana, a partire dai preziosi dipinti murali della Domus Ecclesiae di Dura Europos, in Siria, risalenti al quinto decennio del terzo secolo, fino a mirabili rilievi e a raffinate miniature che pervaderanno il Medioevo, declinandosi sin nei secoli successivi in forme teatrali nelle Sacre Rappresentazioni, illustrate in mostra dalle più celebri Passioni”.
Lei è raffigurata come la donna che unge i piedi di Gesù nella casa del Fariseo, asciugandoli con i lunghi capelli. L’ampolla contenente l’unguento diventa il suo attributo iconografico più riconoscibile. È sempre Maddalena la figura, spesso ammantata di rosso, che appare affranta e isolata ai piedi della Croce. È sempre lei la protagonista dell’incontro con Cristo risorto – che inizialmente scambia per l’ortolano – raffigurato in uno dei soggetti più cari all’arte occidentale: il Noli me tangere.
Ma paradossalmente, sempre secondo le parole della Refice
“il malinteso dal quale prende vita la più feconda delle vicende iconografiche della Maddalena è quello che ne fa una peccatrice. Liberata – testimoni Marco e Luca – dai sette demoni da cui era posseduta, diviene nei commenti delle Scritture una prostituta. È Gregorio Magno, alla fine del VI secolo, a ratificare l’unificazione tra varie figure femminili sotto un unico nome. Emaciata come Maria Egiziaca, ne segue le sorti in un pentimento che porta il carico dell’intera umanità e che, raggiunta la catarsi e l’espiazione, la eleverà agli onori celesti. La sua penitenza diverrà pretesto, pur in piena Controriforma, per rappresentarne le carni nude”.
L’altra curatrice Cristina Acidini, a sua volta, insiste sulla straordinaria ricchezza delle immagini, a partire da quella scelta per la copertina del catalogo, tratta dalla Crocifissione di Masaccio, dove Maddalena appare inginocchiata di spalle, ammantata di rosso (il colore simbolo della cortigiana redenta) e con lunghi capelli biondi, mentre solleva le braccia in uno straziante gesto di dolore, per trasformarsi poi in qualcosa di diverso (penitente, apostola, mirrofora, donna sensuale e ambigua) in innumerevoli rivisitazioni, ma in fondo “Maddalena rappresenta il dolore universale, che non è quello sublime della Madonna, ma lo stesso di tutti noi per le ingiustizie del mondo“.
Il primo emozionante approccio con Maria Maddalena lo abbiamo nella chiesa di San Giacomo, dove è esposta nella prima sezione una sintesi dei diversi tipi iconografici, a partire dalla sua figura di dolente sotto la croce in alcune Crocifissioni (tra cui la Croce dipinta del giottesco Mello da Gubbio, quella di Giovanni da Gaeta del 1460 ca. e il Crocifisso in legno del 1515 di Andrea della Robbia e bottega, con la terracotta policroma raffigurante Maddalena di Fra Ambrogio della Robbia), nelle Deposizioni (come quella quattrocentesca di Benozzo Gozzoli e quella di Raffaellino del Colle, del 1552 ca., fino ad arrivare a quella di Pompeo Batoni del 1761) e nei Compianti intorno al cadavere di Cristo (spettacolari sono i gruppi scultorei in terracotta policroma che animano lo spazio architettonico al centro della chiesa, in particolare quello del modenese Guido Mazzoni del 1483-85),
per arrivare al Noli me tangere (con due esempi secenteschi dello Scarsellino e di Antiveduto Grammatica) e alla sua figura di penitente nel dipinto La Maddalena (1600-1602) di Alessandro Allori, che la raffigura con una minuta resa dei dettagli nel suo romitorio silvestre, ma con un aspetto ancora da gentildonna.
La mostra prosegue, quindi, con sequenza cronologica e approfondimenti di tipo tematico per un totale di 12 sezioni. Nella seconda sezione viene presa in esame l’estetica del dolore in epoca classica, con le raffigurazioni di dolenti nelle scene riguardanti la morte di Meleagro (un tema che ispirerà anche Mantegna e Raffaello per il trasporto del corpo di Cristo morto), come nel vaso del III secolo a.C. dal MAN di Napoli e nel sarcofago proveniente da Ostia antica. Sono presenti anche rilievi dionisiaci con Menadi seminude e sfrenate (uno dal MAN di Napoli, l’altro dal Museo Barracco di Roma), perché il pathos dionisiaco e la danza di una Menade, pur in un diverso schema iconografico, danno espressione al dolore incontenibile e al movimento scomposto e involontariamente sensuale di alcune Maddalene.
Anche altre figure della mitologia greca, come ricorda Francesca Licordari nel suo saggio in catalogo, esprimono la disperazione (ad es. Niobe, alla quale vengono uccisi tutti i figli, o Arianna, abbandonata da Teseo nell’isola di Nasso), e a volte una furia esagerata, come le Erinni, raffigurate di norma con la bocca spalancata nell’atto di cacciare urla terribili.
Gabriele d’Annunzio, particolarmente colpito dal quattrocentesco Compianto su Cristo morto di Niccolò dell’Arca (Bologna, Chiesa di Santa Maria della Vita) scrisse nella sua opera Le faville del Maglio (1924):
“Puoi tu immaginare che cosa sia l’urlo pietrificato? Puoi tu immaginare nel mezzo della tragedia cristiana l’irruzione dell’Erinni?”
Egli aveva pienamente colto il legame tra l’arte ellenistica, improntata al realismo, e la tensione patetica e il forte impatto espressivo del gruppo statuario, e in particolare della Maddalena urlante, evidente anche in altri Compianti emiliani.
Al Medioevo è dedicata la sezione “Dalla formazione del racconto alla Legenda aurea”, che espone tra le altre cose uno splendido Dittico della Passione in avorio di manifattura carolingia (metà del IX secolo), preziosi manoscritti dipinti, tra cui il Rotolo di Exultet del XII secolo, un capitello del Maestro dei Giudici (fine del XII secolo), proveniente da Modena, la tavola cuspidata con Santa Maria Maddalena e otto storie della sua vita, del Maestro della Maddalena (1280-85), e un manoscritto della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, che riferisce come la santa, dopo essere sbarcata in Provenza e aver contribuito all’evangelizzazione della zona, si ritirò in un “ermo asprissimo”, in quanto “desiderosa della contemplazione”, e lì stette 30 anni fino alla morte.
A questo aspetto di eremita e penitente è dedicata una sezione che la vede accostata ad altri eremiti, come San Gerolamo, e identificata nell’iconografia con la figura di Santa Maria Egiziaca, l’ex prostituta che si era ritirata nel deserto e che è raffigurata completamente coperta dai lunghi capelli, emaciata e orante. Tra i diversi scultori che si sono cimentati con questa iconografia, troviamo in mostra Desiderio da Settignano e Andrea della Robbia, mentre Antonio del Pollaiolo la ritrae con lo stesso aspetto in un dipinto su tavola, mentre viene assunta dal romitaggio al Cielo.
Tra le opere del Rinascimento, oltre alla straordinaria Crocifissione di Masaccio
incontriamo Maddalena nelle Pietà (Imbalsamazione di Cristo) di Giovanni Bellini e di Marco Palmezzano, e più volte come mirrofora col vasetto del balsamo in mano (particolarmente eleganti nelle loro vesti aristocratiche sono quella di Crivelli nel Polittico di Montefiore e quella di Signorelli, posizionata in mostra sulle scale).
La troviamo raffigurata mentre unge i piedi del Signore, sotto la tavola imbandita, nel dipinto del Romanino Cena in casa di Simone il Fariseo,
e con Marta nell’opera di Bernardino Luini Modestia e Vanità; la ritroviamo come pia donna solitaria in una Crocifissione del Romanino, e in una visione quasi notturna presso il sepolcro nella misteriosa immagine di Savoldo.
Ed è più volte presente mentre viene allontanata da Cristo risorto con le parole “Noli me tangere” in una scena emozionante, ambientata nel suggestivo paesaggio naturale dell’orto (ricordiamo tra i pittori Garofalo, Pontormo, Veronese, Barocci).
Un settore è dedicato alle visioni nordiche con arazzi di manifattura fiamminga e dipinti sul tema della Crocifissione e del Compianto su Cristo morto (raffigurato da un seguace di Roger Van der Weyden, da Pieter de Witte e in una xilografia di Dürer).
Con l’avanzare del Cinquecento, si diffonde il tipo della Maddalena penitente, non più emaciata, ma con il corpo florido solo in parte velato dai capelli (pensiamo in particolare a Tiziano). Nel Seicento, poi, tra l’ascesi del pentimento e la sensualità conturbante della peccatrice è proprio questa che prende il sopravvento, fino a culminare nell’estasi (sull’esempio di Santa Teresa d’Avila). Un esempio su tutti è quello del dipinto di Guido Cagnacci, la cui Maddalena sembra colta da un orgasmo amoroso, con un teschio poggiato sul ventre.
Dopo aver ammirato le seducenti immagini secentesche di Carlo Saraceni, Charles Mellin, Guercino, Artemisia Gentileschi, Reni, Vouet, ci rendiamo conto che nei successivi secoli XVIII e XIX la Maddalena penitente è sempre più spesso trasformata in una Venere cristiana, vero ideale di bellezza, e nel romanticismo esce dal contesto religioso e rivendica uno spazio sociale assolutamente nuovo.
In una sala ci incantiamo davanti ai due gessi di Canova, che la raffigurano come penitente e come giacente. Quest’ultimo, proveniente da Possagno, può essere avvicinato nella posa (pur con una diversa posizione delle braccia) alla celebre Arianna addormentata dei Musei Vaticani del II secolo d.C. o all’altra statua di uguale soggetto degli Uffizi.
È recentissima la notizia che l’originale in marmo di questa Maddalena giacente, che si credeva perduto, è stato ritrovato in Inghilterra e andrà prossimamente all’asta.
Anche Hayez ci incanta con alcune sue Maddalene pallide e dallo sguardo malinconico. Più in carne ci appaiono la Maddalena (La Lombardia) di Domenico Induno e quella di Enrico Scuri; completamente nuda è quella di Marius Vasselon, mentre quella di Jean Béraud nel dipinto La Maddalena alla casa dei farisei (1891) fa pensare alla Traviata di Verdi, una demi-mondaine avvolta in veli bianchi ai piedi di Gesù, tra uomini vestiti con eleganti abiti neri.
Il Novecento riporta la santa sotto la croce con significati diversi. Tra le opere in mostra troviamo i nomi di Previati, Morelli, De Chirico, Böcklin, Rouault, Manzù e tanti altri. Ci colpisce in particolare la Deposizione dalla croce di Chagall, che, essendo ebreo, non si rifà alla tradizione cristiana e raffigura una donna che sembra la Madonna (con il Bambino), ma che è ammantata di rosso come di norma è Maddalena, che invece è ritratta mentre tocca il corpo morto di Cristo.
Più spettacolare è la celebre Crocifissione di Guttuso con una Maddalena completamente nuda che abbraccia il corpo crocifisso di Cristo e un’altra pia donna seminuda con le braccia aperte.
Quest’opera, in occasione della sua presentazione al Premio Bergamo, nel 1942, suscitò non poche polemiche (si parlò di “un baccanale orgiastico”) e subì un vero e proprio ostracismo da parte della Chiesa, con la sospensione a divinis per i chierici che l’avessero guardata. Indubbiamente si tratta di un’opera rivoluzionaria, di protesta contro la violenza (e in questo ricorda un po’ Guernica di Picasso), ma non dissacratoria: Guttuso ha rappresentato le figure nude per dare l’idea della drammaticità dell’evento in un contesto atemporale e la donna al centro potrebbe anche non essere la Maddalena, ma una figura allegorica.
Nica FIORI Forlì 3 Aprile 2022
“Maddalena. Il mistero e l’immagine”
Musei di San Domenico- Forlì
Orario: dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 19; sabato, domenica e festivi dalle 9.30 alle 20.
Biglietto intero: 14 euro, ridotto: 12 euro (per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 e maggiori di 65 anni, titolari di apposite convenzioni, studenti universitari con tesserino). Prezzo speciale per famiglie (due adulti e fino a tre minori, fino ai 14 anni): 28 euro.