Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria, una pala d’altare che racconta un pezzo di vita (a Cremona, fino al 10 luglio)

di Consuelo LOLLOBRIGIDA

Nella tarda estate del 1624 un giovane e intraprendente artista proveniente dal Nord Europa, Antoon Van Dyck incontra, nella stanza di un palazzo nobiliare della splendida Palermo barocca, Sofonisba Anguissola, una signora novantenne divenuta celebre per i suoi ritratti.

1. Antoon Van Dyck, schizzo della “Signora Sofonisba Anguissola” (da “Quaderno di appunti”) 1624. British Museum, Londra

Il pittore aveva intrapreso quel viaggio tanto lungo e pericoloso per ascoltare «i preziosi avvertimenti» che l’artista poteva donargli, mentre sul suo taccuino ne tracciava dal vivo uno schizzo [fig 1]. Ancora vezzosa ed elegante, a dispetto degli anni, Sofonisba gli raccomandò «di non pigliare il lume troppo alto, acciocché le ombre delle rughe non diventassero troppo grandi», e lo aiutò con qualche tratto di matita eseguito con la sua mano «ferma, senza nessuna tremula».

La Anguissola era giunta in Sicilia, la prima volta, sul finire dell’estate del 1573 dopo aver sposato per procura nel maggio dello stesso anno, e su insistenza del re di Spagna, il nobiluomo siciliano Fabrizio Moncada. Squattrinato, figlio cadetto del Duca di Paternò, Moncada non dovette sottovalutare il consistente patrimonio della Anguissola che consisteva in una rendita di 12mila ducati e una pensione annua compensata dal sovrano spagnolo per la sua attività di pittrice e di dama di compagnia della regina Elisabetta di Valois.

2. Sofonisba Anguissola, Fanciullo morso da un gambero, 1555 ca. Gabinetto di Disegni e Stampe del Museo di Capodimonte a Napoli.

Figlia primogenita del nobile Amilcare e di Bianca Ponzoni, Sofonisba era nata a Cremona nel 1532 in una famiglia di antico lignaggio e dai notevoli interessi culturali. Amilcare intuì le doti pittoriche della figlia che mandò dapprima nella bottega dei Campi e, successivamente, in quella di Bernardino Gatti, detto il Sojaro, noto ritrattista, da cui fu notevolmente influenzata. In breve tempo riuscì a farsi stimare nelle corti italiane e straniere e ricevere apprezzamenti da Annibal Caro, che nel 1556 scrisse che «le sue cose son da principi», a Michelangelo rimasto positivamente colpito dal disegno a carboncino [fig. 2] raffigurante un Fanciullo morso da un gambero.

Sempre grazie al padre, instancabile procuratore, Sofonisba conquistò la corte madrilena nel 1559, dove visse per circa quindici anni eseguendo alcune delle opere più significative del suo ricco catalogo pittorico, tra le quali quasi tutti i ritratti dei membri della famiglia reale, di cui ricordiamo il perduto Ritratto di Don Carlos, il figlio che Filippo II aveva avuto da Maria del Portogallo, per il quale era stata ricompensata con un diamante dal valore di 1500 scudi.

Rientrata in Italia, Sofonsiba andò a vivere a Paternò, alle falde dell’Etna, dove rimase fino al 1579 quando, morto il marito in seguito ad un attacco di pirati avvenuto nel mare al largo di Capri, decise di rientrare a Cremona. Di questi anni siciliani si è sempre saputo poco.

3. Sofonisba Anguissola, Madonna dell’ Itria

Ora a Cremona la mostra “Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria” (Museo Ala Ponzone, 9 aprile – 10 luglio 2022) cerca di far chiarezza su questo periodo partendo dalla Madonna dell’Itria [fig. 3], l’unica opera certa, riconosciuta nel 1995 da Alfio Nicotra.

Dopo la monumentale esposizione organizzata dal Prado per celebrare i 200 anni della fondazione dell’istituzione museale e dedicata a “Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana”, e il piccolo cameo dedicato all’artista nella mostra “Les Dames du Baroque” (Gand, ottobre 2018 -gennaio 2019) e “Le Signore dell’Arte” (Milano, Palazzo Reale, 2021), la mostra cremonese ha il merito di focalizzare l’attenzione degli studiosi, e del pubblico, su questa monumentale pala, alta ben 2,40 metri, e sull’attività della pittrice durante la ben documentata reggenza a Paternò.

3 b Sofonisba Anguissola, Madonna dell’Itria

Nel dipinto l’artista cremonese riassume e aggiorna le trasformazioni iconografiche della Madonna Ogiditria, modello trasmesso dal mondo bizantino e presto recepito nelle Isole e nelle regioni meridionali italiane al seguito delle comunità greche e albanesi giunte dai Balcani. La popolare iconografia, che inizialmente propone la Madonna a mezzo busto con in braccio il Bambino Gesù seduto in atto benedicente e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’origine dell’epiteto), si trasforma a partire dal XVI secolo nella complessa figurazione in cui la Vergine sovrasta una cassa lignea portata a spalla da due monaci basiliani (i “calogeri”).

Essi fanno riferimento alle leggende relative al trafugamento e alla messa in sicurezza, entro una cassa, della miracolosa icona che si voleva dipinta dallo stesso san Luca e che a lungo era stata considerata una protettrice dagli abitanti di Costantinopoli, prima della definitiva catastrofe del 1453. Per sottrarla alla furia distruttiva degli Ottomani i monaci che l’avevano in custodia l’avrebbero affidata ai flutti e così sarebbe giunta sui lidi occidentali. Il culto riservato alla Madonna d’Itria raggiunse pertanto grandissima popolarità, e nel corso del XVI secolo chiese a lei dedicate sorsero ovunque in Sicilia e la Madonna dell’Itria venne proclamata Patrona dell’isola.

È accertato che il 25 giugno 1579, Sofonisba, in procinto di lasciare l’isola, abbia donato questa sua opera al convento dei francescani di Paternò, allora luogo di sepoltura dei Moncada, e da lì è transitata alla chiesa dell’Annunciata dove è tuttora conservata.

Secondo Mario Marrubi, uno dei curatori della mostra e Conservatore della Pinacoteca Ala Ponzone:

«La pala mostra evidenti differenti livelli qualitativi … accanto ad ampi tratti di pittura immediatamente ascrivibili all’artista cremonese, compaiono altre porzioni di qualità decisamente inferiore, come il restauro cui l’opera è stata sottoposta ha confermato».

L’ipotesi sarebbe quella di vedere nelle parti meno riuscite dell’opera la mano di Fabrizio Moncada, come confermerebbe il rinvenimento dell’atto di donazione, in cui la pittrice dichiara che il dipinto è stato

«constructum et factum in tabula per eandem dominam donatricem et dittum quondam dominum don Fabricium eius virum et participio de eorum manibus».

Ma se Fabrizio l’avrà aiutata non solo a movimentare la pesante tavola o a preparare i colori, ma anche a dipingerla, come inequivocabilmente lascerebbe intendere il documento, allora significa che Sofonisba avrà impiantato a Paternò una sorta di bottega, avviando il fenomeno di quel dilettantismo aristocratico ben noto in casa Moncada, il cui frutto maturo sarà il figlio di Aloisia, il giovane Francesco, per il quale sono documentati pagamenti a «uno che imparò il principe a dipingere».

Un’altra opera eseguita nel primo soggiorno siciliano potrebbe essere il Ritratto di fanciullo (cm 37×28) battuto in asta Van Ham a Colonia il 2 giugno 2021, e non presente in mostra.

La mostra propone la pala restaurata, accanto ad altre testimonianze (affreschi, dipinti su tavola e tela, sculture) provenienti dalla Sicilia, ma anche dal Nord Italia, che permettono di seguire l’evoluzione del tema iconografico dall’icona medievale della Madonna Odigitria a quella moderna della Madonna dell’Itria.

Sofonisba lasciò Paternò nel 1579 per tornare a Cremona. In realtà non vi fece mai ritorno perché nel viaggio si innamorò del giovane aristocratico genovese Orazio Lomellini, che sposò a Livorno, dove la nave sulla quale erano imbarcati dovette fermarsi per il mal tempo.

Al matrimonio aveva posto veto la Corte d Madrid, che considerava questo matrimonio come sconveniente, ma la risposta sprezzante di Sofonisba fu: «L’amore è benedetto in cielo, non dagli uomini».

Ritornò in Sicilia nel 1615 dove morì quasi centenaria, non prima di aver ricevuto il giovane promettente talento fiammingo.

Consuelo LOLLOBRIGIDA Roma 24 Aprile 2022