di Nica FIORI
Abituati come siamo alle bellezze artistiche e archeologiche della Roma storica, difficilmente pensiamo a un suo passato più remoto, quando anche qui vivevano grandi mammiferi ora impensabili nel territorio laziale, come gli ippopotami, i rinoceronti, gli uri e gli elefanti.
Ce lo ricorda la mostra “1932 -L’elefante e il colle perduto”, a cura di Claudio Parisi Presicce, Nicoletta Bernacchio, Isabella Damiani, Stefania Fogagnolo, Massimiliano Munzi, promossa dalla Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e ospitata nel complesso dei Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali (fino al 24 maggio 2022). Si tratta di una piccola ma interessante esposizione, suddivisa in quattro sezioni, che racconta ciò che avvenne tra il 1931 e il 1932, nell’ambito della trasformazione urbanistica del centro monumentale della città, attraverso una serie di reperti archeologici, progetti grafici, filmati d’epoca conservati negli archivi dell’Istituto Luce e un video con immagini degli archivi della Sovrintendenza Capitolina.
Il colle cui si fa riferimento è la Velia, che era compresa nell’antichissima lista del Septimontium romano e che si estendeva tra le pendici dell’Oppio e le propaggini del Palatino, separando l’area dei Fori Imperiali dal Colosseo. Quando l’altura venne sbancata per creare via dell’Impero, suscitò grande emozione il ritrovamento, il 20 maggio 1932, di numerosi resti di fauna fossile, tra i quali il cranio e una zanna di Elephas (Palaeoloxodon) antiquus. La notizia ebbe immediata risonanza sulla stampa. Antonio Muñoz, Direttore della X Ripartizione Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma e supervisore dei lavori, scrisse che “qui, sotto la collina della Velia era il giardino zoologico della Roma preistorica”.
Le operazioni di recupero si svolsero frettolosamente e l’Elephas venne trasportato nell’Antiquarium Comunale del Celio, dove fu eseguito il restauro che, a causa dei danni subiti durante la movimentazione e “per il troppo rapido disseccamento”, non consentì la completa ricomposizione del cranio.
Successivamente alla chiusura al pubblico dell’Antiquarium, lesionato dai lavori di realizzazione della metropolitana, i resti dell’elefante furono chiusi in casse e di fatto dimenticati per lunghi anni.
A 90 anni dalla scoperta, i resti fossili dell’Elephas antiquus, databili a ca. 200.000 anni fa, sono stati restaurati e, dopo essere stati esposti nella mostra “La Scienza a Roma”, presso il Palazzo delle Esposizioni, sono ora il pezzo forte della mostra sul 1932, insieme ad altre opere che gettano luce su un settore dell’area archeologica centrale interessato dallo sbancamento.
L’operazione distruttiva, già iniziata nel 1924 con la demolizione del rinascimentale quartiere Alessandrino nell’area dei Fori Imperiali, era legata al desiderio di collegare piazza Venezia con via Cavour e i nuovi rioni del Celio e dell’Esquilino, e soprattutto di realizzare una strada monumentale e scenografica da piazza Venezia al Colosseo.
Fu solo a partire dal nuovo Piano regolatore del 1931 che venne presa in considerazione l’idea di creare un rettifilo (in tutti i piani precedenti era previsto un percorso a gomito), passante con un profondo taglio in mezzo alla collina della Velia. Del resto, come veniva ricordato ai più scettici, non c’era forse stato al tempo di Traiano il precedente taglio della sella tra il Campidoglio e il Quirinale per far posto alla Colonna Traiana e alla Basilica Ulpia?
Lo stesso governatore Francesco Boncompagni Ludovisi suggerì a Mussolini il percorso rettilineo, ma, poiché il capo del Governo aveva delle perplessità di natura archeologica, venne interpellato Muñoz che dimostrò la fattibilità del progetto, ritenuto più logico, non tanto per esigenze pratiche, quanto per le implicazioni ideologiche. Infatti il Colosseo, simbolo della città eterna, e il Vittoriano, simbolo del Risorgimento italiano, sottolineavano nella nuova inedita prospettiva la duplice eredità raccolta dal fascismo e diventavano lo sfondo ideale per le parate della Roma mussoliniana.
La nuova arteria cittadina, che doveva inizialmente chiamarsi via dei Monti (in contrapposizione alla via del Mare), prese il nome di via dell’Impero (l’attuale via dei Fori Imperiali) e fu inaugurata il 28 ottobre 1932 in occasione della celebrazione del decennale della Marcia su Roma.
Il poco tempo a disposizione per lo sbancamento della Velia non consentì uno scavo appropriato, ovvero fatto con quei criteri stratigrafici che già all’epoca cominciavano a imporsi; ci si limitò a documentare le testimonianze storiche e archeologiche dell’area con alcune fotografie, acquerelli, schizzi e appunti. Venne distrutto quasi completamente il giardino della cinquecentesca Villa Rivaldi, che si estendeva a sud fino al Colosseo e a est fino alla Basilica di Massenzio. Fu quindi intaccata la stratificazione archeologica, che, oltre a testimonianze di età moderna e medievale, rivelò la presenza di resti di epoca romana, tra cui quelli di una ricca domus con affreschi e numerose statue, attualmente conservate nella Centrale Montemartini.
Nella prima sezione della mostra, dedicata allo sbancamento della collina, siamo introdotti all’intervento di scavo da una vetrina dove sono sistemati numerosi frammenti marmorei, ceramici, stucchi e intonaci che rappresentano una sintesi di tutti quei reperti ritrovati nel corso della gigantesca operazione di sterro e sistemati in 24 casse con la scritta P.I. (ovvero Provenienza Impero) nei depositi comunali.
Sono reperti relativi a più secoli (del resto nel colle vi erano la dimora di Tullio Ostilio, quella di Publio Valerio Publicola e la residenza dei Valeri), e il loro allestimento apparentemente casuale vuole rendere l’idea della modalità di recupero dei materiali, raccolti senza distinzione di contesto di rinvenimento; tra i frammenti di affreschi se ne notano alcuni con fondo giallo e rosso e con motivi decorativi, tra cui una lira, che potrebbero rientrare nell’età augustea.
Sono pure esposti alcuni disegni e progetti per il muro di sostegno del giardino di Villa Rivaldi, elaborati da Antonio Muñoz e dai suoi collaboratori. In parte inediti, i disegni mostrano la varietà delle soluzioni ideate.
La seconda sezione è dedicata al giardino di Villa Rivaldi, del quale sono in mostra alcune vedute pittoriche che alla vigilia dello sbancamento del colle il Governatorato di Roma commissionò a Maria Barosso e a Odoardo Ferretti.
Questa residenza, la cui facciata su via del Colosseo ha un aspetto severo e massiccio, venne fatta costruire alla metà del Cinquecento sulla sommità della Velia da Eurialo Silvestri, cameriere segreto di Paolo III. Dopo essere passata nelle mani di diversi proprietari, giunse nel 1660 a mons. Ascanio Rivaldi, che vi insediò il Conservatorio delle Zitelle Mendicanti, un istituto che aveva il compito di accogliere ed educare al lavoro le bambine abbandonate.
Nella storia più recente della villa si ricorda il periodo negli anni ‘70 del Novecento in cui era nota come il Convento occupato. Nel 2020 il Ministero per i beni e le attività culturali ha stanziato 35 milioni di euro per il restauro della villa ed è stata poi indicata dal ministro Dario Franceschini come possibile futura sede del Museo Torlonia.
La terza sezione è relativa alle testimonianze pittoriche del criptoportico della grande domus di epoca imperiale, le cui imponenti strutture furono completamente demolite dallo scavo. La decorazione era costituita da due distinte fasi (la prima tra la fine del I secolo d.C. e gli inizi del II, l’altra tra il II e il III secolo), che sono state riprodotte da Ferretti con acquerelli, alcuni dei quali esposti in mostra.
Per la prima volta vengono presentati al pubblico quattro frammenti di affreschi, recuperati prima della demolizione delle strutture. Vi sono raffigurati personaggi e animali, che decoravano i riquadri in cui erano scandite le pareti nella seconda fase pittorica. In particolare ci colpisce una graziosa figura femminile, probabilmente una Menade, raffigurata con una patera (piatto) in una mano e un sistro nell’altra.Ma ci colpisce ancora di più la frase di Antonio Muñoz che è ricordata sulla parete: “Nel novembre del ’31 l’Ufficio Governatoriale delle Belle Arti procedette alla serie di scavi sulla sommità della collina… nulla si rinvenne di benché minimo valore”.
È evidente che in quegli anni non si era ancora affermato il concetto dell’intangibilità del bene artistico e si preferiva usare il piccone per dare risalto a grandiose architetture, ma a scapito di altre. Allo stesso Muñoz si devono alcuni restauri di chiese, dove per riportare alla luce il presunto aspetto paleocristiano sono state distrutte le decorazioni di epoca barocca.
Nell’ultima sezione sono esposti i resti del cranio e della difesa (zanna) sinistra dell’elefante antico Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, rinvenuto nello strato geologico a circa 11 metri dalla sommità della collina, esattamente tra la Basilica di Massenzio e l’abside del Tempio di Venere e Roma. Tre acquerelli di Maria Barosso e l’olio di Ferretti conducono lo spettatore nel vivo delle fasi di apertura del taglio della Velia, con il primo apparire del Colosseo, la messa in luce dei resti dell’elefante adagiati in corrispondenza del tracciato della via dell’Impero e, infine, la maestosa stratificazione geologica messa in luce dall’avanzare dei lavori.
È emozionante pensare a quando, in un paesaggio preistorico assai diverso da quello attuale, vivevano piante e animali adattati a climi caldi, che attiravano diversi predatori e, fra essi, anche i cacciatori Neanderthaliani, i cui crani sono pure stati trovati a Roma (ricordiamo in particolare l’uomo di Saccopastore) e in altre località del Lazio (è nota soprattutto la grotta Guattari nel Circeo). A Roma altri ritrovamenti di elefanti antichi e numerosi reperti geologici, paleontologici e archeologici sono esposti nel Museo di Casal De’ Pazzi, che ricopre parte di un deposito di epoca pleistocenica, contemporaneo a quello perduto della Velia. Dopo lo scavo dell’area (nei pressi del fiume Aniene, tra le vie Nomentana e Tiburtina) nella prima metà degli anni ’80 del Novecento, il museo è stato aperto al pubblico, a ingresso gratuito, dal 30 marzo 2015.
Nica FIORI Roma 24 Aprile 2022
“1932 -L’elefante e il colle perduto”
Mercati di Traiano-Museo dei Fori Imperiali. Via IV Novembre, 94 – Roma
8 aprile – 24 maggio 2022
Orario: tutti i giorni 9,30-19,30. La biglietteria chiude un’ora prima della chiusura
Info Tel. 060608; www.zetema.it www.mercatiditraiano.it