di Nica FIORI
Doveva avere solo 14 anni Vibia Sabina, pronipote dell’imperatore Traiano, quando nel 100 d.C. sposò Publio Elio Adriano, che sarebbe diventato a sua volta imperatore, forse proprio in virtù di questa unione.
Dal momento che Traiano non aveva figli, si era posto il problema della successione e sua moglie Plotina aveva favorito la candidatura di Adriano, che venne adottato il 9 agosto del 117, due giorni prima della morte di Traiano.
Data la propensione di Adriano per la paideia (il rapporto omoerotico tra un uomo adulto e un giovane nella formazione etico-sociale maschile tipico della cultura greca), dobbiamo presumere che la donna non sia stata molto amata dal marito, che però volle sempre salvaguardarne l’immagine pubblica, attribuendole tutti gli onori dovuti al suo rango nel corso del suo principato (117-138). Vibia Sabina ebbe emissioni monetali, fu insignita del titolo di Augusta nel 128 e accompagnò Adriano in quasi tutti i viaggi, in particolare in quello a Tebe, in Egitto, dove il suo nome è ricordato nella parte inferiore di uno dei cosiddetti Colossi di Memnone, in alcuni versi scritti dalla poetessa Giulia Balbilla, che faceva parte della corte imperiale.
Il suo nome appare, in quanto “grande sposa reale”, anche nei geroglifici dell’obelisco (attualmente nel Pincio) che l’imperatore fece erigere in onore dell’amato Antinoo (110-130), il bellissimo giovane originario della Bitinia morto in circostanze misteriose nel Nilo, la cui immagine ci è pervenuta da una quantità impressionante di statue, comprese quelle riservate al suo culto come Osiride-Antinoo.
A giudicare dai ritratti pervenuti, Vibia Sabina doveva essere di una bellezza armoniosa. Un viso ovale dalla bocca piccola, grandi occhi dall’espressione serena (anche se Elio Sparziano nella Historia Augusta la definisce morosa et aspera, cioè capricciosa e aspra), capelli ondulati divisi in ciocche o trecce a formare elaborate acconciature. Grazie ad esse si contano nove tipi iconografici, che variano in rapporto ai viaggi compiuti e al suo status, prima come principessa, poi da Augusta e infine come diva.
Quanto al corpo, notiamo nelle statue a figura intera una perfezione e un’eleganza tipiche delle dee (ovviamente si tratta di immagini idealizzate). Ed è proprio come imperatrice divinizzata che ci appare nella magnifica statua in marmo bianco, alta più di due metri, che fa parte dell’esposizione permanente dall’Antiquarium del Canopo di Villa Adriana ed è attualmente prestata al suo tempio romano.
Il tempio è quell’Adrianeo, sede storica della Camera di Commercio e già sede della Borsa di Roma, in piazza di Pietra, che dal 18 maggio 2022 è stato restituito nel nome anche a Vibia Sabina.
Del resto l’apoteosi, ovvero la divinizzazione al momento della morte, che era tipica delle dinastie orientali ed era stata introdotta anche nella Roma imperiale, riguardava non solo l’imperatore (ovviamente se meritevole), ma anche i componenti della sua famiglia. Dal momento che Vibia è morta nel 136, prima del marito, fu proprio Adriano a farla divinizzare e ce lo ricorda un rilievo conservato nei Musei Capitolini, proveniente dal cosiddetto Arco di Portogallo, che si trovava in Campo Marzio.
Si deve invece al figlio adottivo e successore Antonino Pio la divinizzazione di Adriano, il quale per ottenerla si diede da fare con il Senato, che in realtà non era così favorevole, forse perché Adriano era troppo amante della cultura greca, e quindi poco “romano”, e oltretutto aveva fatto uccidere quattro senatori a lui contrari, poco dopo il suo insediamento come imperatore.
Così come avvenuto per il tempio di Traiano e Plotina nel Foro di Traiano (finora non localizzato, ma noto da attestazioni numismatiche) e per quello di Antonino e Faustina nel Foro Romano (poi trasformato nella chiesa di San Lorenzo in Miranda), è plausibile che anche in questo caso ci fosse una doppia dedica.
Con il motto “Diamo a Vibia quel che è di Vibia”, la Camera di Commercio di Roma ha voluto celebrare un’importante figura femminile della storia romana, che era stata dimenticata nei secoli, con la nuova intitolazione dal forte valore simbolico e attraverso l’esposizione – per un mese – della magnifica statua, che la raffigura come Demetra/Cerere, con una acconciatura a nodo che si ritrova in una moneta che la definisce DIVA e che doveva sostenere un diadema in bronzo dorato con la corona di spighe, attributo della dea personificata.
La scultura, che necessariamente va datata tra il 136 e il 138, periodo che intercorre tra la morte di Vibia e quella di Adriano, raffigura la donna a capo velato, mentre solleva il braccio destro, avvolto dal mantello; la veste lascia scoperto il piede sinistro, portato in avanti, e nasconde quasi completamente l’altro. Rientra nel tipo detto della Grande Ercolanense, una replica romana da originale greco (forse di Prassitele), ritrovato a Ercolano e conservato al Museo di Dresda. Si tratta di un tipo statuario che diverrà comune in epoca successiva nella ritrattistica funeraria sia ufficiale che privata.
Questa statua-ritratto di Vibia Sabina, rinvenuta in un luogo imprecisato dell’Ager Tiburtinus nel corso di scavi clandestini, negli anni Settanta del secolo scorso è stata immessa sul mercato illecito internazionale ed è stata in seguito restituita all’Italia nel 2007, insieme ad altri reperti archeologici, dal Museum of Fine Arts di Boston. La restituzione è stata resa possibile grazie alle accurate indagini, svolte negli anni precedenti, dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC).
L’operazione ha indubbiamente contribuito a valorizzare ulteriormente la ritrattistica del periodo adrianeo. La statua, infatti, è un documento eccezionale, sia per la qualità artistica sia per lo straordinario stato di conservazione. Dopo essere stata esposta nel Palazzo del Quirinale nella mostra “Nostoi. Capolavori ritrovati” e per un certo periodo nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, l’opera è stata assegnata definitivamente dal Ministero dei Beni Culturali all’area archeologica di Villa Adriana a Tivoli.
Si è trattato di un vero e proprio rientro a casa, perché la maestosa villa (patrimonio dell’Umanità Unesco) era stata edificata su terreni di proprietà di Vibia e lì erano conservati diversi suoi ritratti ufficiali.
Ma anche la sua momentanea presenza nell’Adrianeo è in un certo senso un ritorno a casa, oltretutto a due passi dal tempio di Matidia, la madre di Vibia Sabina, che proprio Adriano fece erigere in onore della suocera, divinizzata anche lei al momento della morte. Questo tempio, i cui resti sono visibili sotto la chiesa di Santa Maria in Aquiro, costituiva in un certo senso una premessa alla divinizzazione dello stesso Adriano e della moglie, perché faceva parte di un complesso architettonico che prevedeva un completamento verso est, che fu realizzato dopo la morte dell’imperatore con il tempio dedicatogli nel 145.
Si trattava di un periptero con 8 colonne sui lati corti e 13 su quelli lunghi. Di esso resta visibile un lato quasi completo, sul fianco nord del palazzo, con 11 colonne scanalate corinzie in marmo bianco proconnesio, appartenenti al fianco destro dell’edificio, la cui facciata era rivolta a est. La loro altezza è di m 15, il diametro di m 1,44. Sono innalzate su un alto podio in peperino (alto circa 4 m), liberato dallo scavo per tutta la sua altezza.
Anche il podio in origine doveva essere rivestito di marmo, così come il muro della cella, pure realizzato in blocchi quadrati di peperino. L’architrave e il fregio dell’edificio sono in parte antichi, ma hanno subito numerosi restauri.
La cella era priva di abside e con la volta a botte cassettonata, della quale resta un tratto che si può vedere all’interno dell’edificio. Tutt’intorno, essa era scandita da semicolonne poggianti su zoccoli: su questi erano rappresentate a rilievo le figure allegoriche delle province romane, mentre gli spazi intermedi erano occupati da trofei. La parte più importante di rilievi superstiti si trova nel cortile del Palazzo dei Conservatori (Musei Capitolini) e nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Una sola testa di Provincia è conservata all’interno dell’Adrianeo.
Con questo tipo di rappresentazioni si era voluto porre l’accento sulla politica di Adriano, fondamentalmente pacifica (al contrario di Traiano che era costantemente impegnato in imprese militari) e rivolta soprattutto a metter ordine nell’Impero. Ricordiamo, in effetti, che anche nei periodi di pace relativa del suo principato si erano avuti focolai di rivolta, tant’è che nel 135 Adriano distrusse brutalmente Gerusalemme e fondò, al suo posto, la colonia di Aelia Capitolina.
Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di Commercio di Roma, in occasione della nuova intitolazione del tempio a Vibia Sabina e ad Adriano, ha dichiarato che questo evento aggiunge
“un ulteriore tassello all’opera di valorizzazione portata avanti dalla Camera nei confronti di quello che costituisce uno dei monumenti più straordinari della Roma antica e anche di quella contemporanea. Un’opera di valorizzazione che, nel passato, si è sostanziata in importanti interventi di restauro e, nel 2019, nella riapertura dello storico ingresso su via de’ Burrò, secondo l’orientamento del Tempio deciso dagli antichi sacerdoti”.
Ma, soprattutto, sempre secondo Tagliavanti
“restituendo alla straordinaria figura di Vibia il ruolo che le apparteneva, si presenta per noi l’occasione per restituire a tutte le donne il giusto rilievo da loro avuto nella storia, a partire dai lunghi secoli della Roma antica. … Una storiografia maschilista nel passato non l’ha riconosciuto, ma questo oggi non è più possibile“.
Nica FIORI Roma 12 Giugno 2022
L’Adrianeo è visitabile tutti i giorni, tranne qualche chiusura per esigenze della Camera di Commercio, dalle 11 alle 19