di Claudia ZACCAGNINI
Nel 1914 veniva ultimato, per il Deutscher Werkbund di Colonia, il Padiglione o Casa di Vetro progettato dal giovane architetto Bruno Taut (Königsberg, 1880 – Istanbul, 1938).
Si trattava di un edificio a pianta centrale, costruito in occasione dell’Esposizione della produzione dell’industria vetraria tedesca, manifestazione istituita in Germania al fine di diminuire la distanza tra l’architettura e le fabbricazioni legate alle arti applicate, caratterizzate da una spiccata lavorazione artigianale.
Di fatto, nell’idea degli organizzatori, l’edificio doveva fungere da mero contenitore. In esso, vetrine, opportunamente disposte nello spazio interno, avrebbero dovuto mettere in bella mostra gli oggetti della produzione vetraria nazionale, in un percorso conoscitivo nel quale, insieme ad esempi di materie prime per uso vetrario, sarebbero state esibite le creazioni delle manifatture veneziane, inglesi, tedesche e quella americana legata al nome di Tiffany. Tuttavia, il giovane architetto progettò e realizzò un corpo di fabbrica dal forte impatto visivo, caratterizzato da una spiccata artisticità, nel quale il vetro assumeva il ruolo di protagonista assoluto.
Nei commenti di elogio che una parte dei contemporanei riservarono alla costruzione – aspre critiche gli indirizzarono gli ambienti dell’architettura tradizionale -, non mancò l’osservazione che un edificio così appariscente rischiava di oscurare il contenuto esibito. Bruno Taut, la cui formazione architettonica era stata influenzata dalla scuola tedesco-meridionale, era un ardente sostenitore del vetro, non soltanto perché da lui ritenuto un materiale del futuro in architettura, ma anche perché, a suo dire, esso: «può far aumentare il gusto per la vita», dal momento che, grazie alle sue qualità di veicolo e di riflettore della luce, poteva attivare l’animo del riguardante ed aprirlo alle impressioni della Bellezza.
La sua figura di architetto militante, fortemente protesa verso l’innovazione ed influenzata dall’idea di rivoluzionare l’architettura dell’epoca mediante l’uso del cristallo, “elemento puro e limpido”, assume a volte tratti utopici. Sotto la spinta emozionale e teorica del trattato architettonico dell’amico-scrittore Paul Scheerbart, Architettura di vetro, pubblicato nel 1914 a Berlino, Bruno Taut, figura di avanguardia nel nuovo clima costruttivo, tra il realistico e il visionario, in cui si inneggiava all’architettura di vetro come alla nuova assoluta strada dell’edilizia contemporanea, accoglieva nella sua progettazione l’idea di una prossima “civiltà del vetro”, in grado di orientare verso un cambiamento, con l’aiuto delle nuove tecniche, la vita delle persone.
Focalizzare il proprio interesse sul vetro, significava compiere una operazione di elevazione culturale. Scriveva infatti Scheerbart:
«Se vogliamo portare la nostra cultura ad un più alto livello, siamo costretti bene o male a trasformare la nostra architettura. E questo ci sarà possibile soltanto se elimineremo dagli spazi in cui viviamo il carattere di chiusura. Questo è possibile solo introducendo l’architettura di vetro che lascia passare la luce del sole e quella della luna e delle stelle; ma non soltanto attraverso un paio di finestre, bensì attraverso la maggior quantità possibile di superfici, superfici completamente vetrate, con vetri policromi».
I nuovi dettami dell’architettura, nei quali si riconoscevano alcuni giovani architetti tedeschi, tra cui la personalità centrale di Taut, proponevano la necessità di abbandonare l’idea di un’edilizia come pratica elitaria e si aprivano ad una visione di solidarietà sociale, poi teorizzata nell’unione di arte e popolo.
Bisogna sottolineare che esistevano dei precedenti nell’edilizia “di vetro”. Già nella seconda metà dell’Ottocento, con la crescente industrializzazione e l’affermarsi del clima positivista, era nata una pratica architettonica nella quale, l’utilizzo del ferro come struttura e del vetro in funzione di copertura, aveva dato vita ad alcune tipologie edilizie quali le gallerie urbane per il passeggio – in Italia la Galleria “Vittorio Emanuele II” a Milano (1877) e quella “Umberto” a Napoli (1890) -, le serre botaniche, i grandi magazzini e gli edifici per le Esposizioni Universali – la prima fu ospitata nel Crystal Palace a Londra (1851) -. Inoltre, nel 1910 in Germania venivano pubblicati i lavori di F. L. Wright sull’architettura organica, che diedero l’avvio a speculazioni di vario segno sul concetto di architettura contemporanea.
A Colonia, Bruno Taut ideò una struttura portante in cemento armato, su cui era impostato un intreccio reticolato a costole, romboidale, in duplice strato, che si ergeva a cupola a chiusura dell’edificio. All’esterno egli aveva previsto una copertura a vetro riflettente, mentre all’interno aveva utilizzato i cosiddetti prismi Luxfer, piastrelle di vetro a rilievo policrome, fissate a un reticolo di rame, appena percettibile alla vista. In tal modo dall’esterno non era possibile visionare l’interno, ma il materiale a specchio stabiliva una relazione di consonanza, grazie al suo riflesso, con l’ambiente circostante, inserendo l’edificio nel contesto naturale in cui sorgeva. Parimenti, dall’interno non si vedeva lo spazio esterno, ma la luce che attraversava il vetro colorato diffondeva una calda atmosfera avvolgente.
L’illuminazione notturna della costruzione, realizzata mediante luci apposte all’interno, rendeva la visione dell’oggetto architettonico, un preziosismo cromatico-luministico. La tavolozza cromatica, cui aveva lavorato il pittore berlinese Franz Mutzenbecher e che dallo scuro si estendeva al chiaro, in una successione di tinte che, dal blu della zona inferiore della cupola, passava al verde muschio, quindi all’oro e culminava in un giallo chiaro luminosissimo, costituiva un elemento di rilievo nell’idea inventiva globale.
L’importanza data all’uso del colore in architettura, su cui Bruno Taut scriverà nel 1919 un saggio, Über Farbwirkungen in meiner Praxis (Sull’effetto dei colori nella mia attività professionale), risiede nel fatto che esso ha non solo una funzione emozionale ma educativa. Tra i distici del poeta Paul Scheerbart, apposti all’interno della costruzione, risulta sicuramente significativo in proposito quello che recita “Il vetro colorato distrugge l’odio”. Esso sottolinea la convinzione di come l’influenza dell’impressione suscitata dal colore possa ben disporre l’animo umano a corretti comportamenti sociali.
All’interno della fabbrica, un allestimento scenografico guidava il visitatore alla scoperta del vetro, in un cammino tra luminosità e bellezza. Una cascata a sette gradini convogliava l’acqua in una vasca sul cui fondo erano posti frammenti e perle di vetro. Anche il pavimento era costituito da piastrelle Luxfer, che instauravano una relazione armonica con la cupola. L’acqua col suo movimento creava molti riflessi, enfatizzando le vibrazioni della luce colorata.
La valorizzazione che Taut dava al vetro, elevandolo da materiale decorativo a elemento strutturale-costruttivo, costituiva il principio di una relazione linguistica di avanguardia, nella quale egli conferiva pari dignità e importanza ai vari elementi nella creazione architettonica degli inizi del XX secolo. Negli spazi di risulta dell’intreccio geometrico che veniva a formarsi nella cupola, ben visibile dall’interno, con la creazione di un rosone ispirato all’architettura gotica e dato dall’intersezione dei profili in cemento a sesto acuto, che rimanda a forme presenti nella Natura, egli sostituiva l’antica pietra con la trasparenza del vetro, non solo nel tentativo di dare vita ad una compagine estetica che potesse irradiare bellezza, ma anche per armonizzare la sapienza edificatoria umana con la Natura, finalizzandola ad una migliore qualità della vita per la società dell’epoca.
La Casa di Vetro di Bruno Taut non ebbe una lunga vita. Inaugurata nella prima settimana di luglio, fu visitata dal pubblico fino al 5 agosto 1914 e poi chiusa per l’entrata in guerra della Germania. La sua struttura in cemento armato sopravvisse al conflitto bellico e, con qualche riparazione, fu destinata ad ospitare per breve tempo, prima di essere demolita, la vendita all’incanto dei materiali ancora fruibili dell’Esposizione di Colonia.
Il giovane architetto di Königsberg con il suo Padiglione di Vetro aveva posto le basi per il rinnovamento del concetto di architettura in Germania.
Claudia ZACCAGNINI Roma 19 Giugno 2022