di M. Lucrezia VICINI
Galleria Spada – Sala II
TABERNACOLO-STUDIOLO: Anonimo della seconda metà del sec. XVI ( cm 135 x 103 x 41)
Basamento: Andrea Battaglini, ebanista romano, 1636-1639 (cm.96 x 110 x 40)
Rilievo interno in marmo bianco raffigurante l’Annunciazione
Attr. Jacopo del Duca (Cefalù, 1520-1604)
- 62×41
Il tabernacolo-studiolo in noce, fa bella mostra di sé nella seconda sala del Museo dove venne trasportato dal piano terra del palazzo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.
Inizialmente il Cardinale Spada lo teneva esposto in ambienti al piano terra, in corrispondenza nel Museo archeologico che aveva creato per raccogliere tutte le sue sculture antiche, e vi faceva pendant l’altro studiolo contenente la Deposizione di Cristo dorata di Teodoro della Porta, ora esposta senza supporto in quarta sala e già trattata in questa sede.
I due studioli si trovavano precisamente nella cosiddetta stanza dove dorme il Sig. Conte Balì., ovvero Nicola Spada, commendatore dell’Ordine di Santo Stefano, nipote di Bernardino, come si legge nell’inventario dei suoi beni ereditari del 1661, dove vengono così menzionati:
Un adornamento di noce intagliato, e dorato con dentro una Nunziata di marmo di basso rilievo. Un altro simile con la Pietà in terra cotta dorata (1).
Ma il Tabernacolo, a differenza della Pietà, non era di sua proprietà. Era appartenuto al cardinale Fabrizio Veralli (1570- 1625), zio della marchesa Maria Veralli (1616-1686). A lui passò a seguito del matrimonio di quest’ultima con il nipote Orazio Spada (1613-1687) nel 1636.
Risulta infatti incluso in un elenco Veralli datato 1625 di soli dipinti che erano esposti in palazzo Veralli in via del Corso, così descritto: Uno studiolo di noce intagliato con l’Annunciata et coll’impresa dei S.Veralli(2).
Il tabernacolo Veralli con la lastra in marmo raffigurante l’Annunziata incorporata, gli dovette essere stato donato insieme ad altri manufatti dalla marchesa Maria al momento stesso del suo arrivo a palazzo Spada, se in un suo libro di conti del periodo 1636-1639, sono annotati lavori per un importo di 50 scudi che ne attestano rifacimenti commissionati da lui all’intagliatore Andrea Battaglini il quale riferisce quanto segue:
“… E più per haver fatto un ornamento di noce, qual dove ciè dentro l’Annontiata di marmoro, qual sua Em.za me l’ordinò lo facesse che accompagnasse un altro già prima fatto da me, quel dove ciè dentro la Pietà indorata..io li feci diciotto tiratori di più grossi con bellissimi secreti… ” (3)
Non identificabili nell’Inventario dei beni mobili del 1759, in quello successivo, nel Fidecommesso del 1823 si rintraccia solo il presente tabernacolo, sempre nel museo archeologico al piano terra, diversamente posizionato nella Prima camera detta del Filosofo, in allusione alla statua del Filosofo seduto, ora in terza sala, citato come:
Un bassorilievo, rappresentante l’Annunciazione di Maria Vergine, con tabernacolo con noce intagliato (4).
Non riportati nell’appendice al Fidecommesso del 1862, nella stima inventariale di Hermanin del 1925 risulta presente solo il tabernacolo e figura già nella seconda sala del Museo, dove appunto ancora si trova.
Hermanin nel valutarlo lire 15.000 lo elenca come: Mobile di noce settecentesco, con rilievo di marmo rappresentante l’Annunciazione (5).
Anche Lavagnino lo ricorda in seconda sala ma prende in considerazione solo il rilievo in marmo interno ad esso che descrive:
di fronte alla finestra, entro una cornice cinquecentesca è un rilievo con l’Annunciazione, opera di un seguace di Michelangelo (6)
Non catalogato da Zeri nel 1954, il tabernacolo viene dallo studioso preso in considerazione nelle piccole guide del Museo, quella del 1952(7) e del 1970, quest’ultima redatta insieme all’allora Direttrice del Museo, Luisa Mortari (8), dove l’opera viene descritta dettagliatamente, come:
Annunciazione, rilievo in marmo bianco, opera di un anonimo seguace del Buonarroti affine a Jacopo del Duca: entro tabernacolo ligneo intagliato e dorato (il corpo inferiore del mobile è moderno), arricchito da una folta simbologia mariana. Nei fianchi del mobile, che si aprono ad anta, sono dissimulati ben sedici cassettini segreti (2^ metà sec.XVI).
Il tabernacolo o tabernaculum, con il significato di tenda, consiste nella custodia eucaristica, cioè quel particolare arredo dell’altare, costituito da una teca o edicola chiusa, destinato a contenere la pisside con le ostie consacrate. Sviluppa quindi in sé il significato religioso di “casa del pane” o “dimora del Dio incarnato”, evidenti riferimenti alla Vergine Maria, ricordata attraverso la simbologia mariana che sempre compare raffigurata nei tabernacoli, e che ha origine dalla mariologia vissuta e pregata da San Francesco d’Assisi che salutava la Vergine come Palazzo, Tabernacolo, Casa di Dio.
Secondo la narrazione apocrifa del Protovangelo di Giacomo del II sec., la Madre di Dio, allevata dai sacerdoti nel Tempio di Gerusalemme, e qui educata alla tessitura, collaborò con altre vergini della stirpe di Davide, alla filatura della lana per la nuova tenda o velo che doveva separare il luogo della presenza del Signore dal resto dell’edificio del culto.
La cucitura della tenda di colore scarlatto diventa per i Padri della Chiesa riferimento teologico alla purezza e alla virginità di Maria, per questo diventata tramite per l’incarnazione del figlio di Dio, ricevendo l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele. Nelle chiese cristiane d’Oriente e di Occidente, la tenda si trasforma simbolicamente nell’elemento architettonico definito iconostasi che separa l’area presbiteriale, luogo della consacrazione eucaristica, dal resto dell’edificio.
Il tabernacolo assume fisionomia a sé di tempio come Casa di Dio, proprio con il movimento francescano e a differenza del ciborio, il baldacchino architettonico che sovrastava l’altare maggiore, esso veniva inizialmente fissato in una parete del presbiterio, e dopo il Concilio di Trento al centro dell’altare maggiore, dove poteva essere esposta anche una pala dipinta. Il tabernacolo-tempietto, in legno, in marmo o in bronzo, agli inizi del cinquecento, diventa prevalentemente a pianta centrale sullo stile del Tempietto architettonico del Bramante di San Pietro in Montorio (1503), ma nel corso del secolo prende anche altre figure geometriche, con i fronti che simulano facciate di chiese, eseguiti con precisione e finezza, varietà di intarsi, virtuosismi e colonne con capitelli lavorati (9).
In questa fase cinquecentesca nasce l’interesse per i tabernacoli più specificatamente lignei ad opera di squadre di ebanisti appartenenti all’ordine dei cappuccini, i cosiddetti fratelli marangoni o anche maestri carpentieri che rimangono attivi fino alla seconda metà del settecento in tutta Italia e specie in Abruzzo, arricchendo le chiese di esemplari di tabernacoli lignei di inestimabile valore (10).
Quando il tabernacolo Veralli giunse nella mani del cardinale Spada si componeva solo del corpo superiore, anch’esso dall’andamento architettonico di un tempietto a due ordini e a pianta idealmente esagonale affine a tipologie di prospetti di chiese della seconda metà del sec. XVI, non realizzata per intero ma solo nella sezione visibile frontalmente e lateralmente, e reso piatto sul retro con tavole. La sua funzione pertanto doveva essere solo frontale, al di sopra di un altare, e con il duplice significato di arredo dello stesso, e di custodia del Sacramento all’interno della edicola munita di porticina della ricca cimasa con volute che lo sovrasta, con ai lati i simboli del sole e della luna. Gli altri simboli mariani sono disseminati sul resto della superficie:
la stella del mare, il tempio di Dio, i gigli, la palma, il cipresso, le rose, il giardino recinto, l’arca della salvezza, la casa d’oro, il serpente calpestato, il fiore di campo, il vaso della manna, il pozzo delle acque vive, la torre di Davide, la torre d’avorio, la fontana sigillata, la porta del cielo.
Bernardino Spada, eliminando lo stemma Veralli, lo adattò a studiolo, facendolo poggiare sul basamento costruito dal Battaglini, anch’esso di noce, che andava a sostituire l’altare e sul cui frontespizio fece applicare il suo di stemma. Tale mobile sagomato segue l’andamento angolare del corpo superiore e si completa sul retro, pure piatto, di due porticine di legno povero che racchiudono ripiani.
Per i diciotto cassettini segreti il Battaglini trovò posto all’interno dello stesso tabernacolo. Su ogni lato, in senso verticale, ve ne aggiunse otto, nascondendoli dietro ante girevoli, percorse da colonne scanalate corinzie che inquadrano il fronte, nella cui base in alto e in basso ne inserì orizzontalmente altri due.
Al centro del fronte, protetto da vetro, è incastonato il rilievo in marmo con la scena dell’Annunciazione, tema correlato all’incarnazione e quindi alla tenda-tabernacolo. In un ambientazione angusta che simula a sua volta la stanza di un tempietto leggermente prospettica, la Vergine già intenta in questo caso alla lettura delle sacre scritture poste su un leggio, si volta di soprassalto all’arrivo improvviso dell’Angelo che, dopo aver superato la tenda visibile sull’uscio, inizia a parlarle in atto di offrirle un ramo di giglio, in riferimento alla sua purezza. Sul fronte della volta a cupola, ripartita in fasce e definita con eleganti racemi, la colomba dello Spirito Santo sembra spiccare il volo dal bordo di un cerchio a raggiera, simbolo della perfezione divina.
Per l’esecuzione del rilievo, il nome di Jacopo del Duca che in maniera più esplicita è stato avanzato da Zeri, può trovare conferma attraverso il confronto con sue altre opere, tutte improntate sullo stile michelangiolesco. Scultore e architetto siciliano fu prima allievo e poi devoto assistente di Michelangelo nell’ultimo periodo della sua vita. Collaborò con lui alla Porta Pia, eseguendo nel 1562-65 il mascherone e lo stemma. Fra le sue opere a Roma vanno ricordate la tomba Savelli in San Giovanni in Laterano del 1570, la porta San Giovanni del 1673-74, la sistemazione e il completamento della cupola, del campanile e delle facciate basse laterali di S.Maria di Loreto del 1573-1577, il complesso di S. Maria in Trivio del 1573-75, il palazzo Cornaro del 1582, la cappella Mattei in S.Maria in Araceli del 1586-89.
Il confronto va effettuato soprattutto con le otto formelle con le storie della Passione di Cristo che decorano il ciborio di bronzo del Museo di Capodimonte realizzato dallo scultore su disegno di Michelangelo tra il 1565 e il 1570 per il cardinale Alessandro Farnese e trasportato a Napoli nel 1734 insieme alle altre opere d’arte delle collezioni farnesiane. Il richiamo è forte in particolare con la formella raffigurante la Flagellazione. Come nella formella, le linee architettoniche ben definite si schiacciano sulla parete di fondo per dare risalto alle vigorose figure, classicamente modellate, in cui è tangibile la morbidezza degli ondulati panneggi. La torsione della Vergine in avanti, ripresa dall’artista da un disegno di Michelangelo con lo studio della Vergine Annunziata, presso il British Museum di Londra, diventa, come la torsione di Cristo nella Flagellazione, il fulcro della composizione, resa con semplicità e naturalezza di gesti e di espressioni.
M. Lucrezia VICINI Roma 21 Agosto 2022
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