di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
P O N T O R M O
Jacopo Carucci, conosciuto come Jacopo Pontormo, fu un protagonista della prima stagione del Manierismo a Firenze. Nacque nel maggio del 1494 ma rimase orfano a soli dieci anni; rimase a Firenze tutta la vita.
Benché l’attribuzione di alcune opere minori sia piuttosto discussa, si stima che nel corso della sua attività abbia realizzato tra gli ottanta e novanta dipinti: quadri da cavalletto, pale e cicli di affreschi di soggetto religioso e profano. Allievo di Andrea del Sarto insieme a Rosso Fiorentino fu egli stesso un maestro di artisti; fra questi il più importante fra tutti fu certamente il Bronzino.
Secondo il Vasari Pontormo frequentò le botteghe di Piero di Cosimo, Andrea del Sarto, Fra Bartolomeo. Nella bottega di Andrea del Sarto lavorò dal 1512; lo descrisse il Vasari:
“Un Cristo morto con due Angioletti che fanno luce e lo piangono e ai lati due profeti ben lavorati che sembrano il frutto di un pratico maestro.”
Il debutto ufficiale fu alla Santissima Annunziata; gli importanti lavori di decorazione legati alla visita di Leone X Medici a Firenze gli procurarono il lavoro. Il diciannovenne Jacopo realizzò le figure della Fede e della Carità, oggi molto danneggiate; l’opera ebbe un notevole successo scatenando – secondo il Vasari – l’invidia del maestro Andrea del Sarto. Andrea dovette affidare ai suoi allievi più promettenti, il Rosso e Pontormo, le due lunette con Storie della Vergine nel Chiostrino dei Voti. L’opera ebbe un notevole successo; Pontormo realizzò la Deposizione di Cristo con importante impianto monumentale (fig.1).
Il rapporto di emulazione di Andrea del Sarto durò circa alla fine del secondo decennio del secolo. Nel 1515 viene ipotizzato un primo soggiorno a Roma, basato solo sui dati stilistici delle sue opere; si leggono riferimenti alla volta della Cappella Sistina e alle prime due stanze di Raffaello. Forte e crescente è l’ascendenza sul Pontormo da parte del Buonarroti, riscontrabile in opere come La sacra rappresentazione di San Ruffillo e, soprattutto, La Veronica, in cui si individuano stilemi di derivazione michelangiolesca, le pose a contrapposto di figure simmetriche, la colorazione accesa e cangiante. Vasari darà un ritratto entusiasta del giovane Pontormo, quale giovane molto promettente:
“Non avendo fermezza nel cervello andava sempre con nuove cose ghiribizzando; andava sempre investigando nuovi concetti e stravaganti modi di fare, non si contentando e non si fermando in alcuno. La bizzarra stravaganza di quel cervello di niuna cosa si contentava giammai”.
La febbrile e insaziabile irrequietezza sperimentale, della quale il maestro toscano gli sembrava come pervaso; la stupefacente sequenza di opere, ricche di scarti, ripensamenti, deviazioni, impennate – pur nella costante, alta tensione stilistica – tratto caratteristico dell’arte di Jacopo, ci confermano la testimonianza della nota dominante del suo temperamento: l’ombrosa introversione di una stile di vita solitario oltre ogni credenza.
Bisogno di solitudine e smania sperimentale si alimentano a vicenda innescando una spirale la cui stravaganza pare “come di chi vuole strafare e quasi sforzare la natura”. La stessa bizzarria di un’abitazione provvista di una scala d’accesso retrattile; il non usare mai di farsi aiutare dai suoi giovani, fino a vivere segregato nel coro di San Lorenzo “sempre pensando cose nuove”, caratterizzò il giovane pittore.
Vasari forzò qua e là; ma non si discostò di molto dalla realtà umana del Pontormo. Contraddittorio è il suo giudizio sul maestro toscano, come si può desumere dallo scritto vasariano; da esso si trae un sostanziale ridimensionamento della statura artistica del Pontormo in forte contrasto con l’immagine di Jacopo come grande protagonista del Cinquecento toscano (fig.2.).
La celebre stroncatura degli affreschi del coro di San Lorenzo, ultima fatica del maestro, o la sconcertante freddezza per la Deposizione di Santa Felicita, contrastano con un opera che oggi consideriamo uno dei massimi vertici della pittura del Cinquecento. Nelle Vite l’assenza di Pontormo lascia perplessi. E’ raro un giudizio così drastico ed è duro constatare una tale critica per un’opera che consideriamo oggi come uno dei massimi vertici della pittura del Cinquecento (fig.3).
Il contrasto fra l’opera di Pontormo ed il parere vasariano fornirono l’avallo che portarono nel ‘700 alla perdita degli affreschi in San Lorenzo. L’autore delle Vite insinuò il sospetto della follia nei riguardi del Pontormo; in realtà lo sperimentalismo anticlassico ha proprio nel Pontormo il suo interprete più alto, il fondatore della Maniera Italiana.
Jacopo nacque il 24 maggio 1494 a Pontorme, un piccolo borgo nei pressi di Empoli; visse sessantadue anni, sette mesi e sei giorni. La Vita vasariana racconta che dopo il suo arrivo a Firenze Jacopo fu messo a bottega presso Leonardo; uscito dalla bottega di Leonardo Jacopo passò per la bottega di Piero di Cosimo, quella di Mariotto Albertinelli e infine per quella di Andrea del Sarto. Mariotto Albertinelli fondò la Scuola di San Marco di cui anche Pontormo fu allievo. All’epoca della scuola di San Marco Pontormo doveva avere ultimato la sua formazione; Jacopo dipinse una Cena in Emmaus (fig.4) ma l’opera rimase presso Mariotto che “la mostrava come cosa rara a chiunque gli capitava a bottega”.
Uscito dalla Scuola di San Marco Pontormo passò presso Andrea del Sarto. Fu impegnato a dipingere un ciclo di con le Storie di San Filippo Benizzi nel chiostro dei Voti alla Santissima Annunziata, assolvendo così un incarico di grande prestigio. Si suppone che la formazione di Jacopo abbia contemplato un giovanile viaggio a Roma nel 1511, dove avrebbe avuto modo di vedere i primi affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e la volta della Cappella Sistina.
Secondo Vasari pare che l’attività autonoma del Pontormo fosse cominciata all’insegna della rottura con Andrea del Sarto ma sembra di dovere escludere che fra i due si sia verificata una rottura di tale gravità; Pontormo lavorerà spesso a fianco del maestro, dipingendo una splendida Sacra conversazione e per diversi anni mostrerà di continuare ad adeguarsi alla sua maniera.
I primi anni dell’attività di Pontormo furono segnati da importanti avvenimenti nella vita politica fiorentina; le opere del periodo giovanile sembrano confermare che ricevesse commissioni “subordinate agli artisti della sua cerchia”.
La Pala Pucci fu considerata la prima opera manierista del Pontormo; in seguito l’artista dipinse uno dei suoi quadri più noti, il Ritratto di Cosimo il Vecchio (fig.6).
La sua attività proseguì con la commissione per gli affreschi della Villa di Poggio a Caiano, la residenza di campagna voluta da Lorenzo il Magnifico ed edificata da Giuliano da Sangallo. Il tema fu affidato a Pontormo; verteva su Vertumno e Pomona, due divinità agresti citate nelle Metamorfosi di Ovidio (fig.7). Purtroppo l’impresa della decorazione di Poggio a Caiano fu interrotta dalla morte di Leone X nel 1521.
Nel 1523 Firenze fu colpita da una epidemia di peste: per sfuggire alla malattia Pontormo si trasferì fuori città, stabilendosi alla Certosa del Galluzzo; qui il priore gli affidò la decorazione del chiostro su cui si affacciavano le celle. Gli affreschi previsti erano sei ma ne furono realizzati solamente cinque (fig.8).
Vasari dà una valutazione negativa del ciclo, che pure descrive dettagliatamente; secondo lui con questi affreschi Pontormo, sempre mosso dal costante desiderio di far bene e di superare se stesso, finì per alterare la sua maniera, “la quale gli era stata data dalla natura tutta piena di dolcezza e di grazia”.
Fu sua l’idea di ispirarsi alle stampe di Albrecht Durer che circolavano per Firenze; i dipinti della Certosa apparivano troppo caricati, anche se per i contemporanei dovevano risultare strani sia il gusto tedesco che l’allungamento delle figure, frutto in questo caso della sola ispirazione del pittore toscano.
Il ciclo del chiostro della Certosa di Galluzzo è solo il primo di una serie di episodi che stimolano a riflettere sulla religiosità dell’artista (fig.9).
Infine il centro della sua attività fu riportato a Firenze, dove nel 1525 ebbe l’incarico da Ludovico Capponi di eseguire le pitture che avrebbero decorato la cappella funeraria di Santa Felicita. Ispirandosi alle ricerche romane di Raffaello, Pontormo creò evidenti vincoli narrativi ed espressivi tra i personaggi dei suoi dipinti. Il fulcro del racconto venne costituito dalla pala con la Pietà, capolavoro di poesia ed eleganza.
L’iconografia della pala dipinta per la Cappella Capponi è stata variamente identificata dagli studiosi che vi hanno visto ora una Deposizione, ora un trasporto di Cristo al sepolcro, ora una Pietà. In Santa Felicita due dei quattro tondi dei pennacchi furono eseguiti da Agnolo Bronzino, che a quel tempo aveva circa ventidue anni. Pontormo impedì a chiunque di accedervi per tutta la durata del cantiere; solo quando tutto fu finito la cappella fu “con meraviglia di tutta Firenze scoperta e veduta”.
Pontormo ebbe commesse importanti da Alessandro, figlio naturale del pontefice, che gli chiese due ritratti e lo incaricò di riprendere la decorazione del salone di Poggio a Caiano; successivamente il duca gli chiese di affrescare le logge della Villa di Careggi e questa volta, per evitare che andasse “ghiribbizzando e stillandosi il cervello”, come disse il Vasari, dispose che avesse sempre compagnia, in modo che questo lo stimolasse a lavorare.
All’impresa partecipò anche il Bronzino e i due artisti lavorarono fianco a fianco. Affrescò la loggia della Villa Privata di Castello; la decorazione era completata da riquadri con scene storiche e delle arti liberali, particolarmente fiorenti sotto il governo di Cosimo. La loggia rimase chiusa alla vista dei curiosi per cinque anni; l’artista stesso progettò un sistema di tendaggi che sarebbe servito a proteggere le pitture dalle intemperie.
Nel 1546 Pontormo si aggiudicò la più importante commissione di metà Cinquecento, la decorazione del coro della chiesa medicea di San Lorenzo, San Lorenzo era per tradizione il tempio dei Medici; a Pontormo fu richiesto di affrescare tutto il coro, con la parete di fondo e le due laterali. I lavori si protrassero a lungo fino a quando l’artista morì.
Nel 1557 gli affreschi furono ultimati dal Bronzino e rimasero in opera fino al 1738 quando si rese necessario intervenire sulla struttura pericolante della chiesa, demolendo e ricostruendo le pareti del coro. Così l’ultima opera di Pontormo andò distrutta.
Pontormo morì il 31 dicembre 1556 quando aveva sessantadue anni. Fu sepolto nel chiostro della Santissima Annunziata, sotto la Visitazione che egli stesso aveva dipinto. Alle sue esequie parteciparono tutti i pittori, scultori e architetti della città.
Pier Paolo Pasolini prenderà ispirazione dalla deposizione nel film “la Ricotta” (fig.11).
Francesco MONTUORI Roma 24 Luglio 2022