di Claudio LISTANTI
È partita il 2 settembre la 76^ edizione della Stagione Lirica del Teatro Sperimentale di Spoleto rispettando la tradizione di aprire con uno spettacolo dedicato alla musica contemporanea. Per questa occasione è stata scelta un’opera dalla gestazione travagliata che ha attraversato molti anni della storia del teatro lirico nazionale: La porta divisoria. Atto unico in cinque quadri di Fiorenzo Carpi su un libretto di Giorgio Strehler tratto da La metamorfosi di Franz Kafka.
Per questa proposta musicale, fortemente voluta (ed a ragione) da Enrico Girardi, il musicologo milanese al quale, assieme a Michelangelo Spinelli, è stata affidata la direzione artistica del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, è necessario partire dalle vicissitudini che hanno impedito a quest’opera, per più di sessantacinque anni, di essere rappresenta in teatro, che lo stesso Girardi ha spiegato in modo chiaro nel programma di sala della serata.
La porta divisoria fu commissionata nel 1957 dall’allora direttore artistico della Scala Victor De Sabata a Giorgio Strehler che ne scrisse il libretto prendendo ispirazione da La metamorfosi di Franz Kafka e a Fiorenzo Carpi che iniziò ad approntarne la partitura. L’opera fu commissionata per essere rappresentata alla Piccola Scala, sala da poco inaugurata (1955) per ampliare la programmazione del massimo teatro milanese che ospitò al suo interno diverse prime assolute in quel fervido periodo per la musica contemporanea italiana che annoverava tra i suoi musicisti artisti di grande fama come, solo per fare qualche esempio, Malipiero, Mortari, Manzoni e Chailly.
Quella di De Sabata fu una scelta di straordinario spessore artistico, non solo per la scelta del soggetto ma, anche, per il coinvolgimento di uno dei sodalizi artistici più importanti e fruttuosi per la cultura italiana del ‘900, quello tra Giorgio Strehler, allora alla guida di un’altra importantissima istituzione culturale nazionale come il Piccolo Teatro di Milano e Fiorenzo Carpi musicista che collaborò strettamente con Strehler per diverse produzioni per ll teatro di prosa durate un periodo che durò circa mezzo secolo, dal 1947 al 1997, quando entrambi conclusero a pochi mesi di distanza la loro vita terrena: assieme furono protagonisti dell’innovazione che caratterizzò il teatro di prosa italiano in quel periodo. Averli insieme per una nuova proposta di teatro d’opera aveva tutte le carte in regola per un’affermazione senza precedenti e, inoltre, avrebbe consentito a dare a Fiorenzo Carpi una maggiore e meritata visibilità in quanto il musicista, pur riscuotendo alta considerazione dal mondo musicale italiano, non aveva ruoli di primissimo piano per la sua costante partecipazione, oltre che nel teatro di prosa, anche nel cinema, nella televisione e nella musica leggera.
L’opera fu concepita come atto unico in cinque quadri, preceduta da una introduzione. Narra la storia di una famiglia borghese. Una mattina madre, padre, figlia e domestica sono intorno a un tavolo per colazione. Il figlio Gregorio dorme ma al suono della sveglia non si palesa. Tutti si agitano mentre arriva anche il Gerente ditta presso la quale lavora Gregorio. Tutti lo chiamano. Finalmente si sente qualche urlo provenire dalla stanza. La porta si apre e si nota che Gregorio ha assunto le sembianze mostruose di uno scarafaggio trovando difficoltà ad interferire con gli altri nel mentre tutti sono inorriditi. La Madre è sconfortata, il Padre lo accusa di aver sovvertito il ménage domestico, la Sorella gli porge del cibo.
Passa un po’ di tempo e lo stipendio di Gregorio viene a mancare penalizzando così il tenore di vita della famiglia. C’è così un ridimensionamento che passa attraverso il licenziamento della domestica per prenderne una a minor costo. La Sorella deve rinunciare alle lezioni di violino e per aumentare le entrate saranno affittate stanze a Pensionanti.
Dopo un po’ arriva Natale. Gregorio è sempre nella sua stanza e i famigliari lasciano credere ai Pensionanti che il figlio è già morto e che nella sua stanza viva un vecchio inquilino. La Sorella assume un comportamento distensivo iniziando a suonare il suo violino. Gregorio esce dalla sua stanza. I pensionanti rimangono impressionati e abbandonano l’abitazione. Il Padre si scaglia contro Gregorio e lo ferisce gravemente lanciandogli delle mele. Gregorio si ritira nella sua stanza ma comprendendo il suo isolamento si lascia morire. La Domestica rinviene il suo corpo esanime mentre la famiglia accoglie la morte come una liberazione che le possa consentire un futuro migliore e più prospero.
Delle cinque scene previste Carpi ne completò tre. La quarta rimase semi incompiuta mentre la quinta non fu completata e La porta divisoria non andò in scena per il periodo previsto. Questa sua incompletezza non riuscì ad essere colmata, elemento che costituisce un vero e proprio mistero ad oggi ancora senza soluzione. In alcune delle successive stagioni, addirittura fino al 1971, il Teatro alla Scala mise in programma la prima assoluta ma l’opera non riuscì mai ad andare in scena.
È nata così un’altra ‘incompiuta’ della storia della musica. I veri motivi non sono ancora ben noti ed il fatto meriterebbe degli approfondimenti. Si può ipotizzare che le difficoltà incontrate da Fiorenzo Carpi fossero di tipo strettamente personale conseguenza di alcune esperienze della propria vita che non gli hanno consentito quella concentrazione assoluta necessaria agli artisti per la ‘creazione’ come ventilato dalla figlia Martina Carpi intervenuta alla presentazione programmata poco prima dell’inizio della recita. La situazione fu comunque favorita anche dalla frenetica attività professionale dello stesso Carpi impegnato nella sua eterogena attività musicale.
Ma un’altra ipotesi è possibile, quella di una oggettiva difficoltà a concludere l’opera soprattutto in presenza dell’inconsueto finale come appare nella sintesi dell’azione. Un caso analogo a quello più famoso della Turandot pucciniana con il quale ci sono molte assonanze anche se c’è la diversità di fondo, che nel caso di Puccini intervenne repentina la morte, in Carpi invece il passare del tempo ha creato anche delle difficoltà dovute al cambiamento del suo stile compositivo che, a detta del musicista, impediva un puro e semplice completamento della parte mancante in quanto poteva al momento rendersi necessaria anche una revisione di quanto composto in precedenza.
Siamo giunti al 2022 ed il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto ha provveduto a promuovere la necessaria operazione di completamento che ha colmato questa lacuna ed ha permesso a La porta divisoria di essere rappresentata (finalmente) in prima assoluta.
Per il completamento della partitura è stato scelto il musicista Alessandro Solbiati nella cui cospicua produzione sono presenti anche partiture per teatro in musica, artista del tutto idoneo per questa importante operazione. Ha musicato l’intero Quinto Quadro utilizzando un organico di 13 strumentisti soluzione dettata dal fatto che l’opera è stata eseguita presso il Teatro Caio Melisso la cui ‘buca’ non può ospitare organici più numerosi.
Tale aspetto ha reso necessaria un’altra operazione di adeguamento in quanto l’originale di Fiorenzo Carpi era stato scritto per una orchestra di poco meno di sessanta elementi e quindi occorreva una trascrizione di quanto già musicato. Per tale scopo è stato chiamato il giovane musicista Matteo Giuliani che ha provveduto al non facile compito, ruolo che ha svolto a stretto contato con Solbiati, completando anche la piccola parte mancante del Quarto Quadro.
Anche qui, come nel già citato completamento della Turandot il musicista incaricato per l’operazione si è trovato di fronte le difficoltà dovute al cambio di stile con il compositore originario. Solbiati ha comunque agito per superare queste difficoltà ricercando la massima omogeneità tra i due stili anche se la differenza più evidente è stata nella linea di canto per la quale Carpi concepì una vocalità più affine allo Sprechgesang (canto parlato) del primo novecento, molto usata anche negli anni centrali del secolo, che ne consentiva un orientamento rivolto più al declamato ed al parlato mentre Solbiati ha prodotto una linea vocale indirizzata maggiormente alla cantabilità ed all’espressione melodica. L’intervento musicale di Solbiati oltre ad avere il merito di aver dato completezza all’azione ha anche il pregio di essere considerato un pezzo indipendente grazie alla sua esaustiva drammaturgia, al quale il compositore ha dato il titolo di Quell’ultimo buio, per essere seguito autonomamente al di fuori dell’opera alla quale è destinato.
Nel complesso ci è sembrato che questa operazione di carattere musicale sia del tutto valida ed abbia consentito a La porta divisoria di prendere la via del palcoscenico dimostrando di avere tutte le qualità per un felice proseguo nell’ambito del teatro lirico di oggi soprattutto per la sua azione stringata ed incisiva dove musica e gesti si fondono con energia e forza drammatica.
Per riferire dell’esecuzione ascoltata il 2 settembre iniziamo dalla realizzazione scenica. Affidata al regista Giorgio Bongiovanni che ha immaginato una soluzione scenica imperniata su quella porta evocata dal titolo che ha assunto ruolo centrale in palcoscenico con il pubblico immaginato all’interno della camera di Gregorio, dove pure è stato collocato in un palco il personaggio, potendo così osservare quanto avveniva al di fuori di essa, nell’azione che si svolgeva sul palcoscenico. Questa soluzione ha consentito di marcare quella sponda evocata dal testo che tende ad isolare il diverso per giungere ad una separazione netta tra umanità e disumanità, portando tragicamente il principale personaggio, Gregorio, a rinchiudersi in se stesso per l’incomprensibilità del suo dramma da parte dei suoi famigliari ai quali chiede, senza essere esaudito, amore e comprensione. Una situazione che esce con forza tramite la reazione di tutti gli altri personaggi alla sua morte, considerata elemento fondamentale per riprendere la loro sconsiderata vita.
Questa idea registica, del tutto affine ai contenuti del testo, è stata realizzata grazie alla scenografia di Andrea Stanisci ed ai costumi di Clelia De Angelis ai quali si sono aggiunte le luci di Eva Bruno per presentare una ambientazione che evocava gli anni trenta dello scorso secolo, del tutto priva di stranezze ed eccentricità come si usa oggi nei teatri lirici di tutto il mondo, tanto semplice nell’insieme quanto efficace nell’unirsi ai movimenti scenici immaginati da Bongiovanni e dare così forza drammatica allo spettacolo.
Per quanto riguarda la parte musicale, affidata all’esperta bacchetta di Marco Angius, direttore di riferimento per la musica contemporanea, prevedeva la presenza di molti giovani cantanti usciti in diversi anni dal Concorso di Canto del Teatro Lirico Sperimentale. Innanzi tutto il baritono Davide Romeo, tra i vincitori del concorso 2022, che ha interpretato con sicurezza la parte del protagonista Gregorio al quale ha dato valido contributo anche quando, nella parte iniziale, la partitura prevede per la realizzazione del personaggio il contributo di tre cantanti quasi ad evocare una sorta di straniamento del personaggio per il quale c’è stato anche il contributo del soprano Elena Finelli e del tenore Oronzo D’Urso.
L’altra parte importante, quella Padre, è stata affidata al basso Giacomo Pieracci che ha sostenuto il ruolo con intensità mettendone in risalto anche i diversi e specifici episodi grotteschi che lo caratterizzano. Per il resto della famiglia c’era la Madre del mezzosoprano olandese Simone van Seumeren e il mezzosoprano Antonia Salzano del concorso 2022 efficace Sorella. Sempre dal concorso 2022 è la provenienza del baritono Davide Peroni che ha interpretato il Gerente. Le due domestiche erano il soprano Elena Salvatori Prima domestica ed una buona impressione ha destato la corposa voce del mezzosoprano Federica Tuccillo nella difficile parte, scenica e vocale, della Seconda domestica. I tre pensionanti erano i già citati Oronzo D’Urso e Davide Peroni e il basso Giordano Farina rispettivamente Primo, Secondo e Terzo pensionante.
L’esperienza di Marco Angius alla guida dell’Ensemble del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” è stata determinare per offrire una esecuzione del tutto omogenea che dato alla parte musicale il necessario impulso per una esecuzione curata nei particolari soprattutto nel rapporto, spesso difficile per la musica contemporanea, tra parte strumentale e parte vocale, riuscendo a fondere il tutto con la realizzazione della parte visiva.
Il pubblico che, finalmente, dopo le restrizioni pandemiche, ha potuto affollare al limite della capienza il Teatro Caio Melisso, ha salutato la fine dello spettacolo con lunghi e calorosi applausi indirizzati a tutti partecipanti alla realizzazione prova di un incondizionato gradimento di quanto visto ed ascoltato.
Per quanto ci riguarda, oltre ad associarci a tutti gli applausi, possiamo dire che questa nuova proposta, pur se affonda la radici in un’epoca distante da noi, è risultata del tutto valida nell’insieme e utile, senza dubbio, a proporre questa partitura per future rappresentazioni che ne consentano il proseguo della sua parabola. Inoltre ha tutte le carte in regola per una possibile nuova operazione che possa puntare sul ripristino della stesura orchestrale originale per la quale è forse indispensabile l’interessamento di istituzioni musicali in possesso di strutture numericamente più importanti che, almeno qui in Italia, non mancano certamente.
Claudio LISTANTI Spoleto 4 Settembre 2022