di Rita RANDOLFI
Un esempio di studio di una collezione: il “Cavallo turco” di Filippo Napoletano.
Nella biografia di Filippo di Liagno, più noto come Filippo Napoletano, edita nelle Considerazioni sulla pittura del 1621 circa, Giulio Mancini evidenziava l’abilità dell’artista nel ritrarre animali, in particolare, cavalli. Addirittura il celeberrimo medico papale affermava che il pittore aveva eseguito per il Granduca di Toscana una serie di “ritratti” di destrieri, quasi a grandezza naturale, sull’esempio di quelli affrescati da Giulio Romano in Palazzo del Te a Mantova[1]. Ma Filippo dedicò ai medesimi soggetti anche dipinti di dimensioni più piccole.
In questa sede si vuole illustrare la storia di uno di questi quadri, raffigurante, per l’appunto, un Cavallo.
L’opera, su ardesia, misura cm 17 x 22, ed è, ancora oggi, accompagnata, sul retro, da una tavoletta di chiusura, sulla quale è scritto:
«Cavallo turco donato dalla Maestà / dell’Imperat[o]re al Card[ina]le Alessandro Orsini, quando fu in Germania»,
più in basso si legge:
«Philippus Neap[oli]litanus pinxit»[2].
La preziosa tavoletta, oltre a rivelare il nome del suo autore, racconta, in parte, la storia del dipinto.
Alessandro Orsini possedeva una collezione ricordata dal Bellori e dal Roisecco [3]. Il cardinale si recò in Germania nel 1622. In questa occasione Rodolfo II, imperatore d’Austria, gli donò il quadro rappresentante un cavallo arabo, bianco pezzato, legato ad un tronco di un albero, visibile sulla sinistra, probabilmente il ritratto di un animale in suo possesso. Il dipinto venne poi ereditato da Lelio Orsini [4]. Questi, secondogenito di Ferdinando, e principe di Vicovaro, in gioventù prese i voti da cappuccino, ma in seguito abbandonò tale vita per lui troppo austera.
Lelio nutriva molteplici interessi per la poesia e per la pittura discipline in cui si dilettava, per le sculture antiche, considerate anche merce di scambio; famoso l’episodio in cui, nel 1659, eludendo astutamente le pur blande leggi sull’esportazione di opere d’arte, riuscì ad imbarcare a Civitavecchia delle statue destinate al cardinal Mazzarino [5]. In una biografia anonima Lelio è definito «principe amicissimo delle Arti liberali» [6]. Perseguitato dai creditori, fu costretto a vendere nel 1674 la sua proprietà di Cerveteri ai Ruspoli [7].
Lelio era il fratello minore di don Flavio Orsini duca di Bracciano [8] nato il 4 marzo del 1620. Nel 1660, dopo la morte del genitore, Flavio divenne anche duca del feudo di Sangemini. Non eccessivamente portato per la cura del proprio patrimonio, preferì dedicarsi alla poesia e, tra gli Arcadi, era conosciuto con il nome di Clearco Simbolico. Sposò in prime nozze Ippolita, figlia di Orazio Ludovisi, nipote di Gregorio XV e vedova di Giorgio Aldobrandini, spentasi nel 1674, senza prole. Nel 1675 Flavio si unì in matrimonio con Marie Anne figlia di Luigi de la Trémoille, vedova Talleyrand Périgord, nata tra il 1635 ed il 1642.
L’unione era stata combinata dai fratelli D’Estrée, Cèsar, cardinale, e Annibal ambasciatore di Luigi XIV, che intendevano avvicinarsi ad una famiglia romana e, di riflesso, al pontefice. Tuttavia la vita coniugale della coppia si presentò fin dall’inizio difficile a causa dall’incompatibilità di carattere tra i due sposi, tanto che nel 1676 Marie Anne decise di partire per Parigi, dove rimase fino al 1683. Nel 1692 Lelio ed il fratello Flavio intestarono i beni mobili, stabili, allodiali e feudali, ad eccezione del palazzo di piazza Pasquino e della giurisdizione di Bracciano, a Marie Anne de la Trémoille, la quale, in cambio, aveva promesso di accollarsi ed estinguere i debiti di casa Orsini [9].
La donna ereditò sia la collezione del marito, valutata per quanto riguardava i dipinti da Giuseppe Ghezzi [10] per un totale di scudi 8499,70, e per le sculture, che raggiungevano i 7007 scudi, da Pietro Papaleo [11], sia quella del cognato. Quest’ultimo morì il 20 maggio 1696, e nell’aprile di quell’anno, afflitto dal «mal di pietra», ossia da calcoli vescicali, decise, prima di affrontare un intervento chirurgico che si rivelò fatale, di rogare il suo testamento, in cui intestava il suo patrimonio all’Arciconfraternita delle Santissime Stimmate di San Francesco d’Assisi di cui era guardiano, scegliendo di venire sepolto nella chiesa di Largo Argentina [12]. Nonostante soltanto alcuni dipinti venissero destinati ai suoi familiari, in realtà la sua raccolta, che comprendeva circa duecentocinquanta quadri in tela, alcune miniature, dei disegni [13], stimati da Giuseppe Ghezzi, Giuseppe Passeri [14] e Giovan Battista Boncori [15], finì a Marie Anne, e da questa ai Lante, come dimostrano i numerosi documenti e inventari rintracciati da chi scrive nell’archivio di questa famiglia [16].
Marie Anne si stabilì nell’Urbe nel 1694, ma il 5 aprile di un anno dopo il marito venne a mancare. Lei, allora, fece ritorno in Francia dove fu nominata da Luigi XIV cameriera maggiore di Gabriella di Savoia, prima moglie di Filippo V di Spagna. Nel 1704, poiché si erano creati degli equivoci spiacevoli tra l’ambasciatore di Francia, D’Estrée, e la corona spagnola, Marie Anne ricevette l’ordine di tornare in patria, ma, durante il viaggio, venne invitata a rientrare a Madrid.
Nel 1714, morta la regina Gabriella, Marie Anne consigliò Filippo V di prendere in moglie Elisabetta Farnese, che la liquidò in tutta fretta. La vedova di Flavio cercò rifugio dapprima in Francia e, in seguito, a Genova. Da qui si trasferì, favorita dall’appoggio del nipote Luigi Lante, a Roma, dove giunse nel 1720, andando ad abitare in un palazzo situato di fronte a quello dei Colonna e accanto alla dimora degli Stuart in esilio[17]. Morì il 5 dicembre del 1722 a ottantacinque anni[18], lasciando al nipote prediletto, Luigi, figlio della sorella Luisa Angelica e di Antonio Lante, una fortuna.
Tra i beni provenienti dagli Orsini ereditati da Luigi vi era anche il quadro in questione, che si rintraccia agevolmente sia nell’inventario di Lelio che in quello di Marie Anne come:
«463) Altro dipinto in vetro per traverso di palmo uno e alto 9 rappresentante un cavallo bianco pezzato che sta legato ad un tronco di Filippo Napoletano con cornice d’ebano ondata con battente dipinto di valore scudi sei»[19].
Lelio si era appassionato agli animali e passava il tempo a dipingerne probabilmente seguendo l’esempio del pittore Carlo Borromäus Andres Ruthard detto Carlo Ruttardo di cui era mecenate. Di conseguenza l’aver ereditato il Cavallo turco dal cardinale Alessandro doveva rappresentare un’ottima acquisizione per il principe di Vicovaro, che si servì ulteriormente di Filippo Napoletano, il cui arrivo a Roma gli era stato segnalato dallo statuario di casa, Cristoforo Stati, che per caldeggiare altre commissioni, faceva riferimento ai notevoli dipinti del pittore già posseduti dagli Orsini [20].
Come già evidenziava Marco Chiarini né i compilatori dell’inventario di Lelio, né Domenico Muratori [21], perito per quello di Marie Anne, compresero che il supporto sul quale il Cavallo era stato eseguito era ardesia e non vetro. Ma ciò che sorprende è che tutti gli artisti chiamati successivamente dai Lante per valutare la loro collezione, ripeterono instancabilmente lo stesso errore, salvo due eccezioni[22].
Alla morte del primogenito di Luigi, Filippo, che aveva ereditato dalla madre Angela Vaini, anche il titolo di principe, Faustina Capranica del Grillo, sua seconda moglie, ed il figlio Vincenzo fecero redigere un inventario, in cui si distinguevano le opere provenienti dal lascito Orsini da quelle Lante. Tra le prime figurava
«Altro quadruccio dipinto in lavagna per traverso rappresentante un cavallo con cornicetta antica»[23].
Nonostante l’assenza del nome dell’autore e delle dimensioni il quadro era sicuramente quello oggetto di questo studio, come si intuisce dal soggetto, dalla cornice e dal supporto, per la prima volta chiaramente specificato. Il dipinto era appeso in un’anticamera del secondo piano del palazzo di piazza dei Caprettari, tra altre nature morte con uccelli, architetture e qualche ritratto. Nella stessa stanza si trovava ancora nel 1794, anno in cui Luigi II, figlio di Filippo e della sua prima moglie, Virginia Altieri, prossimo al tracollo finanziario, contattò Giuseppe Cades [24] e Vincenzo Pacetti, come riportò fedelmente quest’ultimo nel suo Diario [25], per far stimare la propria quadreria, al fine di piazzare sul mercato qualche opera per saldare alcuni dei numerosi debiti contratti.
Cades che ovviamente doveva occuparsi dei dipinti, compilò due diversi elenchi, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, il primo entro il dicembre del 1794, il secondo a gennaio dell’anno successivo. In ambedue l’artista ripropose la stessa frase e la medesima valutazione, e senza tener conto del suggerimento dell’anonimo esperto del 1771, replicò l’errore di Ghezzi, Passeri, Boncore e Muratori.[26] Ancora nel 1795, in un estratto dell’inventario di Cades, non firmato, ma probabilmente di mano dell’artista, compare al n. 46 la citazione del dipinto, e per la prima volta facendo riferimento alla tavoletta sul retro, il quadro veniva individuato come «Cavallo turco»[27].
Non compreso tra le opere affidate in prima istanza a Giovanni Maria Burri ed in seconda a Vincenzo Africani [28] per essere restaurate, secondo le volontà del duca Vincenzo II, figura di intellettuale di spicco nell’ambito della famiglia, nonché patriota italiano, il quale, servendosi dell’accademico Jean Baptiste Wicar [29], voleva allestire una pinacoteca di famiglia, il dipinto, in ottimo stato di conservazione, ricompare in un elenco del 1818.
In quell’anno, dopo un congresso di famiglia, il maestro di casa Pietro Ferrari, fidato braccio destro del cardinale Alessandro Lante, fratello dell’ormai defunto duca Vincenzo II, venne incaricato di redigere una lista di manufatti da inviare all’uditore di Rota monsignor Domenico Attanasio, al fine di ottenere la licenza di alienazione. La situazione patrimoniale della famiglia era infatti peggiorata notevolmente, ed il prelato, che poteva contare sulle sue conoscenze, in particolare sull’amicizia intrattenuta con il cardinal Bartolomeo Pacca e con lo scultore Antonio Canova, pensava di cedere le sculture al Vaticano, e di ottenere il permesso di vendita per le pitture a collezionisti anche stranieri, che intendevano arricchire le loro raccolte, emule di quelle italiane[30].
Ferrari rifacendosi alle perizie precedenti, riferì che il Cavallo era dipinto su cristallo. La valutazione del quadro, inoltre, era lievitata dai 6 scudi del 1795 a 10[31].
Per giungere nuovamente all’esatta identificazione del supporto del quadretto, occorrerà arrivare al 1825, anno in cui Filippo Agricola stilò la sua valutazione dei dipinti, in previsione della grande asta pubblica che finalmente Giulio Lante [32], nipote di Alessandro e primogenito di prime nozze di Vincenzo, riuscì ad organizzare. Questo elenco costituì il fondamento su cui si basò la sentenza definitiva del giudice e uditore di Rota Giuseppe Bofondi, con cui si stabilì la maniera nella quale andava suddiviso il patrimonio Lante tra i membri della famiglia ed i suoi creditori storici[33]. Tra questi ultimi figuravano anche Pietro e Filippo Ferrari, che furono saldati con quattro dipinti, fra i quali proprio il Cavallo Turco di Filippo Napoletano [34].
Il computista e suo figlio non tennero per sé le opere ricevute in cambio dei loro servigi. Al contrario un documento del 28 ottobre 1828 testimonia che Pietro riscosse del denaro per aver alienato il quadro con il Cavallo [35]. Purtroppo non sono riportati i nomi degli acquirenti, i cui eredi potrebbero essere gli attuali proprietari, o viceversa potrebbero, a loro volta, aver nuovamente alienato il quadro, che ora si trova, infatti, in una collezione privata [36].
Tuttavia la storia di quest’opera è rivelatrice di alcuni comportamenti sbagliati ripetuti nel tempo: Muratori concordò con il giudizio di Ghezzi, Passeri e Boncore, Cades si rifece a Muratori.
Gli unici a dimostrare la loro professionalità, perché videro direttamente il quadro, furono un anonimo del 1771 e Filippo Agricola. Stupisce soprattutto il giudizio di Cades, il quale ignorando completamente l’autore del 1771, preferì perpetrare la formula dei suoi più illustri colleghi.
Tale atteggiamento induce ad alcune riflessioni da tener presenti quando si studia una collezione.
Solitamente, infatti, per identificare con certezza un quadro, ci si basa sui documenti antichi, e se corrispondono il soggetto, il nome dell’autore, le misure, il materiale di esecuzione, il gioco è fatto. Tuttavia occorre lasciare un margine a possibili imprecisioni e sviste: talvolta i soggetti vengono scambiati con alcuni simili; si attribuisce l’opera ad un artista più famoso, piuttosto che ad uno meno noto, per aumentarne il prezzo; le misure variano in base a tutta una serie di costanti che includono il diverso modo di registrare le dimensioni, i restauri, che talvolta presuppongono decurtazioni o al contrario ingrandimenti in base al luogo in cui i dipinti dovevano essere collocati e a seconda dell’esposizione con pendant voluti in origine, o accoppiati al momento; il supporto, in mancanza di una pulitura poteva essere confuso con un altro, soprattutto se l’opera si trovava appesa alle pareti ad un’altezza che non poteva permetterne una visione ravvicinata. Dunque bisogna verificare tutta questa serie di elementi, e non fidarsi dell’opinione di chi ci ha preceduti. Inoltre sarebbe auspicabile seguire l’iter di un dipinto documentandone i diversi passaggi di proprietà, al fine di ricostruirne una storia completa che non passi dagli inventari più antichi all’ubicazione attuale, giungendo talvolta a conclusioni affrettate, che non tengono conto delle possibilità di restauro e di errore da parte dei compilatori degli inventari, e le mutazioni di gusto e di moda che spesso spingono ad attribuzioni più vantaggiose per l’epoca.
In ogni caso, dal momento in cui l’opera passò dagli Orsini ai Lante, non subì restauri di sorta, come dimostra sia la cornice originale d’ebano filettata d’oro, descritta negli inventari e visibile ancora oggi, sia le numerose liste di quedri da ritoccare rintracciate nelle carte Lante dalla sottoscritta, nelle quali il quadretto in questione non è mai menzionato[37].
Rita RANDOLFI Roma 4 Settembre 2022
NOTE
[1] M. Chiarini, Teodoro Filippo di Liagno detto Filippo Napoletano, 1589-1629, vita e opere, Firenze 2007, pp. 142-143, 491.
[2] Idem, p. 304, scheda 86; R. Randolfi, Un errore reiterato: il supporto de Il cavallo turco di Filippo Napoletano, già di Alessandro Orsini, in “Strenna dei Romanisti”, 2013, pp. 531-544. Torno oggi sullo stesso argomento con alcune aggiunte importanti.
[3] G.P. Bellori, Nota delli Musei, Librerie et ornamenti di statue e pitture ne Palazzi, ne Cortili e Giardini di Roma, (1664) a cura di E. Zocca, Roma 1976, pp. 36-37; G. Roisecco, Roma antica e moderna o sia Nuova descrizione di tutti gli Edifici antichi e moderni, tanto sagri quanto profani della città di Roma, Roma 1750, II, p. 13. Cfr. anche R. Randolfi, La collezione del cardinale Alessandro Lante tra Bologna e Roma, in R. Varese – F. Cazzola (a cura di), Cultura nell’età delle legazioni, Atti del Convegno, (Ferrara, Palazzo Bonacossi, 20-22 marzo 2003), Firenze 2005, pp. 649-684, in particolare p. 656; Ead., Palazzo Lante in piazza dei Caprettari, Roma 2010, pp. 72, 151, 221, 283.
[4] Nella raccolta di Lelio il quadro venne ricordato da Bellori e da Roisecco. Cfr. nota precedente e R. Randolfi, Un errore reiterato … cit., pp. 531-544; A. Amendola, La collezione del principe Lelio Orsini nel palazzo di piazza Navona, Roma 2013, p. 47.
[5]A. Amendola, La collezione del principe Lelio Orsini … cit., pp. 24-25.
[6] Idem, pp. 22; 158.
[7] Sui Ruspoli si veda: M.C. Cola, Francesco Maria Ruspoli mecenate e collezionista (1671-1731), in R. Varese, F. Cazzola (a cura di), Cultura nell’età delle legazioni, Atti del Convegno, (Ferrara, Palazzo Bonacossi, 20-22 marzo 2003), Firenze 2005, pp. 508; Ead., Gli inventari della collezione Ruspoli: la nascita della quadreria settecentesca e l’allestimento nel palazzo all’Aracoeli, in E. Debenedetti (a cura di), Collezionisti, disegnatori e teorici dal Barocco al Neoclassico I, (Studi sul Settecento Romano, 25), Roma 2009, pp. 23-54; Ead., Gli inventari della collezione Ruspoli: la quadreria settecentesca al suo vertice e l’allestimento nel palazzo al Corso, in E. Debenedetti (a cura di), Collezionisti, disegnatori e pittori dall’Arcadia al Purismo, (Studi sul Settecento Romano, 26), Roma 2010, pp. 9-52; Ead., I Ruspoli: l’ascesa di una famiglia a Roma e la creazione artistica tra Barocco e Neoclassico, Roma 2018.
[8] Sulla famiglia si veda: L. Guasco, L’archivio di casa Orsini, Siena 1921; G. Brigante Colonna, Gli Orsini, Milano 1955; V. Celletti, Gli Orsini di Bracciano, Roma 1963; R. Mariani, Come ho scoperto il “giallo” della scomparsa dell’Archivio Orsini, in “Rassegna del Lazio, 13, 1974, pp. 16-22; Ead., Congiure nel giallo dell’Archivio Orsini, in “Rassegna del Lazio”, 18, 1975, pp. 47-52; F. Allegrezza, Formazione, dispersione e conservazione di un fondo archivistico privato: il fondo diplomatico dell’Archivio Orsini tra Medioevo ed età moderna, in “Archivio Orsini tra Medioevo ed età moderna”, in “Archivio della società romana di Storia Patria”, 103, 1980, pp. 77-99; M.L. Capparella, Appunti sulle ultime vicende dell’Archivio Orsini, in “Archivio della Società Romana di Storia Patria”, 103, 1980, pp. 283-294; V. Eleonori, La collezione Orsini Lante della Rovere tra il XVII e il XIX secolo. Gli inventari, tesi di laurea, Università degli Studi Roma Tre, a.a. 1996-, relatore 97 prof.ssa F. Rangoni, pp. 20-25; R. Randolfi, Palazzo Lante in piazza dei Caprettari … cit., pp. 70-73.
[9] Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR), Archivio Lante (d’ora in poi A.L.), b. 808, 4. Cfr., R. Randolfi, Palazzo Lante … cit., pp. 70-73.
[10] Sul pittore, cfr. A. Lo Bianco, (a cura di), Pier Leone Ghezzi. Settecento alla moda, catal. della mostra (Roma, Palazzo Barberini, 18 settembre-8 dicembre 1999), Venezia 1999, con bibl. prec. Sui rapporti tra l’artista ed i Lante cfr. R. Randolfi, Da Cassiano del Pozzo a Piranesi: la vera storia del vaso Lante in “Bollettino Telematico dell’arte”, settembre 2005.
[11] C. Rubsamen, The Orsini Inventories, Malibu 1980, pp. 42-47. Nel 1682 Papaleo riscosse pagamenti da Ippolito e Antonio Lante anche per aver approntato un fastoso apparato per una carrozza di gala. Per i rapporti tra lo scultore e Flavio Orsini si rinvia a A. Marchionne Gunter, L’attività di due scultori nella Roma degli Albani: gli inventari di Pietro Papaleo e Francesco Moratti, in E. Debenedetti, (a cura di), Sculture romane del Settecento. La professione dello scultore, III, (Studi sul Settecento Romano, 19), Roma 2003, pp. 67-146; R. Randolfi, Albacini, Cades, Ceccarini, D’Este, Landi e Pacetti e la collezione di sculture dei Lante Vaini della Rovere nel palazzo di Piazza dei Caprettari, in E. Debenedetti, (a cura di), Sculture romane del Settecento. La professione dello scultore III, (Studi sul Settecento Romano, 19) Roma 2003, pp. 437-464; Ead., Dai Lante ai Borghese: la storia del mezzo busto di Giunone attraverso le perizie di Papaleo, Pacetti, D’Este e il restauro di Sibilla, in “Strenna dei Romanisti”, 2009, pp. 559-566; Ead., La Venere e fanciullo dei Lante: Papaleo, Sibilla, Pacetti, Winckelmann D’Este, Albacini, Benaglia, questioni di restauro, perizie e iconografia, in E. Debenedetti (a cura di), Collezionisti, disegnatori e teorici dal Barocco al Neoclassico I, in (Studi del Settecento Romano, 25), Roma 2009, pp. 261-270; Ead., Palazzo Lante … cit., p. 96.
[12] G. De Marchi, Mostre di quadri a S. Salvatore in Lauro (1682-1725). Stime di collezioni Romane. Note e Appunti di Giuseppe Ghezzi, in “Miscellanea della Società Romana di Storia Patria, XXVII, (1987), (numero intero), pp. 363-367; per quanto riguarda il testamento di Lelio si veda: A. Amendola, La collezione del principe Lelio Orsini … cit., pp. 143-145.
[13] C. Rubsamen, The Orsini Inventories … cit., pp. 17-25. Soltanto per un centinaio di opere i periti estimatori indicarono la paternità.
[14] M.B. Guerrieri Borsoi, Alcune opere di Giuseppe Passeri per i marchesi Patrizi, in E. Debenedetti, (a cura di), Carlo Marchionni, architettura, decorazione e scenografia, (Studi sul Settecento Romano, 4) , Roma 1988, pp. 381-397; E. Fumagalli, ad vocem «Passeri Giuseppe», in La Pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, II, p. 839.
[15] R. Carloni, Per Giovan Battista Boncori e la sua scuola, in “Bollettino d’Arte” 55, (1989), pp. 57-74.
[16] Sulle raccolte Lante si veda: R. Randolfi, Albacini, Cades, Canova, Ceccarini, D’Este, Landi e Pacetti, e la collezione di sculture dei Lante Vaini della Rovere nel palazzo di piazza dei Caprettari … cit., pp. 437-464; Ead., Villa Lante al tempo dei Lante, in T. Carunchio – S. Örma, Villa Lante al Gianicolo. Storia della fabbrica e cronaca dei suoi abitatori, Roma 2005, pp. 229-286; Ead., Dai Lante ai Borghese … cit., pp. 559-566; Ead., La Venere e fanciullo dei Lante … cit., pp. 261-270; Ead., Palazzo Lante …cit., pp. 70-73; Ead., La Calunnia di Federico Zuccari in Palazzo Caetani: questioni di priorità, in “Strenna dei Romanisti”, 2010, pp. 585-596; Ead., Altro “ Paradiso”del Tintoretto appartenuto ai Lante, in “Lazio Ieri e oggi”, Anno XLVIII, n. 7, (572), luglio 2012, pp. 204-207; Ead., Dai Lante a Mahon: il San Giovanni Battista in un paesaggio di Annibale Carracci, in “Storia dell’Arte”, 135, 2013, pp. 32-39; Ead., Note documentarie sulla vicenda del Diluvio dalla fine del Seicento a oggi, in M.G. Aurigemma, R. Vodret (a cura di) Carlo Saraceni, un veneziano a Roma, catalogo della mostra, (Roma, palazzo di Venezia, 28 dicembre 2013 – 2 marzo 2014), Roma 2013, pp. 124-126; Ead., L’epopea del “Sileno” già Orsini-Lante, in “Lazio ieri e oggi”, Anno 51, n. 10, 611 (ottobre 2015), pp. 294-296; Ead., Federico Zuccari e la Calunnia Orsini Lante Caetani, in “Studi di Storia dell’arte”, 29 (2018), pp. 119-122; Ead., Dai Lante ai Borghese, la vicenda del Busto di Giunone in rosso antico: una finestra aperta sulla Roma del ’700 , in Aboutartonline, 3 maggio 2020; Ead., Tintoretto tra arte e mercato, la strana vicenda del “bozzetto” del Paradiso, in Aboutartonline, 10 maggio 2020; Ead.,Il “Sileno” Orsini-Lante: storia di una statua e dei suoi possessori da Roma a San Pietroburgo, in Aboutartonline, 19 luglio 2020.
[17] R. Valeriani, La princesse des Ursins e l’eredità Orsini, in “Antologia di Belle Arti”, 59-62, 2000, pp. 5-29, in particolare pp. 6, 9-10. Il palazzo era stato locato alla Princesse des Ursins dalla marchesa Cybo-Altemps e dalla Santa Casa di Loreto. L’edificio, situato all’angolo della piazza dei Santi Apostoli, verso il convento e la chiesa di San Romualdo, non più esistenti, fu abbattuto per l’apertura di via Cesare Battisti. Parte di esso è però riconoscibile nello stabile, con prospetto ottocentesco, situato ad angolo tra la medesima via e la piazza.
[18] ASR., A.L., b. 434, 15. La principessa fu sepolta dapprima nel chiostro di San Giovanni in Laterano; il 17 giugno del 1816 la sua salma fu trasferita nella cappella Orsini, dedicata a san Barbato, nella medesima basilica.
[19] ASR., A.L., b. 663, 2 maggio 1723. Estratto dell’inventario di quadri ereditati dalla principessa Orsini della Trémoille fatto fare da Luigi Lante Seniore per atti del Simonetti.
[20]A. Amendola, La collezione del principe Lelio Orsini … cit., pp. 46-47.
[21] Sull’artista cfr. M.B. Guerrieri Borsoi Per la conoscenza di Domenico Maria Muratori, in “Annuario dell’Istituto di Storia dell’Arte”, 3, (1980), pp. 32-45; D. Bodart, Domenico Muratori’s last painting, in “Burlington Magazine”, 1163, (2000), pp. 106-111; A. Pampalone, La politica spirituale di Clemente XI in una decorazione perduta nel Palazzo Vaticano: Tommaso De Rossi, Domenico Muratori, Lorenzo Ottoni, Pietro Papaleo, in “Bollettino d’arte”, 122, (2002), pp. 19-30.
[22] Tutti gli inventari sono stati resi noti integralmente in R. Randolfi, Palazzo Lante …cit., pp. 223-328.
[23] ASR., A. L., b. 808/4 10 luglio 1771. Inventario de’ beni ereditarj delle ch. me. Ecc.mo Duca Don Filippo Lante fatta ad istanza dell’Ecc.ma D. Faustina Capranica vedova del suddetto, e dell’Eccmo D. Vincenzo Lante figlio del medesimo. Esiste una copia del medesimo inventario conservata nell’Archivio Segreto Vaticano, Archivio Ruspoli-Marescotti, Armadio T, Tomo 674, fasc. 412, parte 4 B.16/35. Cfr. R. Randolfi, Palazzo Lante … cit., pp. 237-253.
[24] M.T. Caracciolo, Giuseppe Cades 1750-1799 et la Rome de son temps, Paris 1992.
[25] Pacetti annotò come sempre diligentemente nel suo Giornale l’evento: «Adì 23 dicembre 1794. Il Sig. Duca Lante vole la stima da me di tutte le sculture esistenti nel suo Palazzo, a quest’effetto mi sono portato sulla faccia del luogo ed o’ stimato il tutto a prezzi riferibili a quello che si potrebbe presentemente vendere». E ancora: «Adì 23 gennaio 1795 ho fatto e sottoscritto una stima p. Ecc. Sig. Duca Luigi Lante di tutte le sculture esistenti nel di lui palazzo ascendenti alla somma di 2559 in data 7 del corrente mese». Si cfr. B.U.A., Ms. 321, V. Pacetti, Giornale riguardante li principali affari e negozi del suo studio di scultura … incominciato dall’anno 1773 fino all’anno 1803. Cfr. R. Randolfi, Albacini, Cades … cit., p. 449, nota 22.
[26] ASR., A.L., b. 663. 1794 Stima de’ quadri ereditarii di Mad.ma Orsini fatta dal pittore Giuseppe Cades accademico di S. Luca con note di altri quadri, n. 44; 1795, n. 345: «Altro per traverso in vetro di palmo 1 e alto once 9 rappresentante un cavallo bianco pezzato che sta legato ad un tronco di Filippo Napoletano s. 6».
[27] ASR., A.L., b. 663. Estratto della stima dei quadri spettanti all’Ecc.ma Casa Lante fatte da Giuseppe Cades nel 1795: «n. 46 Il cavallo turco di Filippo Napoletano».
[28] Vincenzo Africani sostituì Burri che, nel frattempo, si era ammalato. Cfr. ASR., A. L., b. 124 e R. Randolfi, Palazzo Lante … cit., pp. 160-161. Vincenzo Africani potrebbe essere parente del foderatore di quadri Felice, che nel 1801 era stato coinvolto nello scandalo riguardante il restauro delle opere del Cavalier d’Arpino e di Guercino appartenenti alla chiesa di San Crisogono. Felice, infatti, non voleva restituire i dipinti in questione, una Madonna con Bambino e un’Apoteosi di San Crisogono ai padri della chiesa, prima di aver ricevuto il giusto compenso, ritenuto troppo elevato dai committenti. Africani allora propose ai sacerdoti di vendere il San Crisogono a Pietro Camuccini, che si impegnava a farne eseguire una copia. Nonostante Carlo Fea tentasse di impedire il baratto, la Madonna del Cavalier d’Arpino tornò sul posto, mentre il San Crisogono di Guercino venne ceduto a Camuccini, che a sua volta lo fece partire per Londra, dove tutt’oggi si trova nella Stafford House. Cfr. O. Rossi Pinelli, Carlo Fea e il Chirografo del 1802: cronaca giudiziaria e non delle prime battaglie per la tutela delle Belle Arti, in “Ricerche di storia dell’arte” 8, (1978-79), p. 34. Felice Africani, inoltre, nel 1802, denunciò di possedere un dipinto, ma solo per restaurarlo. Cfr. D. Borghese, L’editto del cardinale Doria e le assegne dei collezionisti romani, in C. Strinati – M. Calvesi (a cura di) Caravaggio e la collezione Mattei, catal. della mostra, (Roma), Milano 1995, pp. 101-102.
[29] M.T. Caracciolo, Da Lille a Roma. Jean Baptiste Wicar e l’Italia, catalogo della mostra, (Perugia 2002), Milano 2002. Sui rapporti tra l’artista ed i Lante si rinvia a: R. Randolfi, Palazzo Lante …cit., pp. 157-166.
[30] Cfr. R. Randolfi, Albacini, Cades, Canova … cit., pp. 437-464; Ead., Un inedito carteggio tra il cardinale Alessandro Lante, i suoi familiari ed il computista Pietro Ferrari circa le sorti della Villa Lante sul Gianicolo ed i rapporti tra il prelato Giuseppe Valadier e Antonio Canova, in H. Economopoulos, (a cura di), I cardinali di Santa Romana Chiesa. Collezionisti e mecenati, Roma 2003, pp. 125-145; Ead., La collezione del cardinale Alessandro Lante tra Bologna e Roma, in F. Cazzola – R. Varese, (a cura di), Cultura nell’età delle legazioni, Atti del Convegno, (Ferrara, Palazzo Bonaccossi, marzo 2003), Firenze 2005, pp. 649-685; Ead. Villa Lante al tempo dei Lante … cit., pp. 214-219; Ead., La Venere e fanciullo dei Lante: da Papaleo a Sibilla e Pacetti, da Winckelmann e D’Este ad Albacini e Benaglia, questioni di restauro, perizie e iconografia, in E. Debenedetti (a cura di), Collezionisti, disegnatori e teorici dal Barocco al Neoclassico I, in (Studi sul Settecento Romano, 25), Roma 2009, pp. 201-207; Ead., Carlo Murena, Giovanni Filippo Baldi, Nicola Vinelli, e due camini per Palazzo Lante, in E. Debenedetti (a cura di), Collezionisti, disegnatori e pittori dall’Arcadia al Purismo, (Studi sul Settecento Romano, 26), Roma 2010, pp. 157-166; Ead., Palazzo Lante …cit., pp. 187-193.
[31] ASR., A.L., b. 663. A Monsignor Attanasio li 26 mag. 1818. Nota dei quadri esistenti nel Palazzo Lante a S. Eustachio:«Cavallo dipinto su cristallo un palmo circa di Filippo Napoletano s. 10».
[32] Su Giulio si veda: R. Randolfi, Pietro Tenerani e i monumenti Colonna-Lante in Santa Maria sopra Minerva: nuovi documenti, in “Neoclassico”, 29, 2006, pp. 72-81; Ead., La Calunnia di Federico Zuccari in Palazzo Caetani: questioni di priorità, in “Strenna dei Romanisti”, 2010, pp. 585-596; Ead., Palazzo Lante … cit., pp. 201-222; Ead., Un servizio da tavola di Pietro Belli come dono di nozze per Maria Colonna Lante, in Palazzi, chiese, arredi e scultura, I (Studi sul Settecento Romano, 27) Roma 2011, pp. 293-298; Ead.,Giulio Lante e lo scandalo della Madonna Colonna di Raffaello a Berlino in P. Di Loreto (a cura di), L’arte di vivere l’arte, scritti in onore di Claudio Strinati, Roma 2018, pp. 273-279; Ead.,La conservazione dei patrimoni familiari e l’intervento delle congregazioni pontificie. Il caso di Palazzo Lante in piazza dei Caprettari, in corso di stampa.
[33] ASR., A.L., b. 495, Istrumenti e contratti 1825-28. 18 lug. 1828 Sentenza definitiva di Monsig. Giuseppe Bofondi Uditore di Rota e Giudice deputato da Sua santità per il Patrim. Lante per gli atti dell’Aretucci Notaio: «Beni aggiudicati a Filippo e Pietro Ferrari. 27) Piccolo quadro dipinto sopra pietra rappresentante un cavallo bianco descritto nella perizia dell’ Illustrissimo Filippo Agricola sotto n. 12 e stimato s. 4.40».
[35] Archivio Privato, 1829: «Adì 19 ottobre 1828. 743 A Filippo e Pietro Ferrari s. due .20 che con altri 2.20 ricevuti nel passato mese fanno 4.40 p. costo di un piccolo quadro rappresentante un cavallo venduto».
[36] Cfr. M. Chiarini, Teodoro Filippo di Liagno … cit., pp. 14, 304, scheda 86.
[37] Si rinvia a: R. Randolfi, Palazzo Lante …cit.