di Nica FIORI
Immaginate di attraversare il tempo e di viaggiare nell’Europa dei primi secoli d.C., da sud a nord, da est ad ovest; immaginate di poter entrare nel cuore di numerosi santuari sotterranei per incontrare i seguaci di Mitra, di partecipare ai loro banchetti rituali e di trovarvi faccia a faccia con il dio …
Il Museo di Saint-Raymond, a Tolosa (nel sud della Francia), invita a seguire le orme di Mitra, svelandone i misteri, nella grande mostra “Le mystère Mithra. Plongée au coeur d’un culte romain” (Il mistero Mitra. Un tuffo nel cuore di un culto romano).
Realizzata in collaborazione con il Museo reale di Mariemont (Belgio), che ha già ospitato la mostra dal 20 novembre 2021 al 17 aprile 2022, e con il Museo Archeologico di Francoforte (Germania), che l’ospiterà dal 19 novembre 2022 al 15 aprile 2023, l’esposizione tolosana, dal 14 maggio 2022 al 30 ottobre 2022, rientra nel programma di cooperazione internazionale Education, Audiovisual and Culture Executive Agency (EACEA) della Commissione Europea e presenta al pubblico, tra opere spettacolari già note e altre esposte per la prima volta, gli ultimi risultati della ricerca internazionale (come gli scavi di Angers effettuati a partire dal 2010) su un culto che ebbe una grande diffusione in tutto l’impero romano in contemporanea con l’affermarsi del cristianesimo, del quale fu il più diretto rivale. Forse, come scrisse Ernest Renan, “se il cristianesimo fosse stato fermato nel suo sviluppo da qualche malattia mortale, il mondo sarebbe diventato mitraico”.
Chi era Mitra prima di diventare un dio romano? I curatori della mostra (e del relativo catalogo) Laurent Bricault, Richard Veymiers e Nicolas Amoroso, rispondono a questa domanda presentandolo come originario del mondo iranico e indiano. La prima menzione scritta si trova in un trattato di alleanza del Vicino Oriente, datato al XIV secolo a.C., nel quale il suo nome appare a fianco di altre divinità del pantheon indo-ariano. Nel mondo indiano, Mitra è un dio conosciuto attraverso i testi sacri dei Veda (in particolare nel Rigveda), dove è menzionato accanto a un’altra divinità, Varuna. Nel mondo iraniano, Mitra è descritto nei testi dell’Avesta, in particolare nel Mihr-Yast, un inno che gli è specificatamente dedicato. La religione nella quale è inquadrato è il mazdeismo (detta anche zoroastrismo a partire dal VII sec. a.C.), che vede come divinità principale Ahura Mazda, il dio benefico creatore del cosmo, che si contrappone al demone distruttore Ahriman (o Angra Mainyu).
Per avvicinarci alla conoscenza di Mitra, va subito precisato che il suo nome iranico significa “contratto” o “alleanza”. Nel mondo indiano significa anche “amico”. Dunque Mitra è una divinità benefica, garante dei contratti, dell’alleanza tra gli uomini e dell’alleanza che unisce gli uomini agli dei, sancita da un sacrificio. È allo stesso tempo una divinità solare, associata alla corsa del sole nel corso della giornata e delle stagioni. La sua luce dà ordine al cosmo e alla vita sociale.
Rimasto in ombra per lungo tempo, Mitra fu elevato a grande splendore sotto il regno di Artaserse II (404-358 a.C.).
Era festeggiato nella festa detta Mitragan nel solstizio d’estate, cui prendeva parte anche il re adornato con una corona solare su un carro processionale. Era presentato anche come dio della guerra, funzione che sarebbe diventata preponderante in Occidente e che gli avrebbe conquistato l’animo dei legionari romani. Dalla Persia attraverso l’Asia Minore, il suo culto passò all’Europa romanizzata. Furono le truppe di Pompeo a introdurlo già nel 67 a.C. dopo averlo conosciuto da pirati cilici, ma si affermò a partire dal II secolo, con Antonino Pio, ed ebbe il massimo successo nel III secolo.
Nelle rappresentazioni il dio appare vestito in abiti persiani: una tunica lunga con le maniche, un pantalone stretto alle caviglie, un mantello e un copricapo frigio tradizionalmente associato ai personaggi mediorientali e ai cavalieri d’Asia e d’Iran. Il suo viso è giovanile, imberbe e con i capelli ricci con ciocche lunghe che lo fanno assimilare alle rappresentazioni di Apollo, dio del sole.
Due assistenti di Mitra, anche loro in abiti persiani, portano la torcia e sono detti Cautes (quello con la torcia alzata a simboleggiare il giorno) e Cautopates (quello con la torcia abbassata a simboleggiare la notte). Spettacolari sono le due grandi statue in arenaria esposte in mostra, (provenienti dal Museo archeologico di Francoforte), ritrovate a Nida (nella provincia Germania Superior) e databili all’inizio del III secolo d.C.
Mitra, secondo il mito, sarebbe nato invincibile (Sol Invictus era uno dei suoi appellativi nel mondo romano) con un pugnale in mano da una roccia generatrice il 25 dicembre (solstizio d’inverno), giorno che diventerà poi il Natale di Cristo, e sarebbe stato assunto in cielo dopo aver ucciso un toro, simbolo di vita, per allontanarlo dal Male e rendere possibile col suo sangue la rigenerazione del creato. Agli adepti venivano prescritte abluzioni simili al battesimo e vi era una cerimonia in cui la fronte veniva segnata per divenire “soldati di Mitra”.
Il mitreo, evocato in mostra da un ambiente a volta con il cielo stellato, è il luogo dove si riunivano i fedeli (diverso dal classico tempio nel quale l’ara per le cerimonie era sempre esterna), o meglio gli adepti che attraverso le iniziazioni ai vari misteri cercavano di entrare in comunione con il dio, liberandosi via via dei loro peccati.
All’entrata dell’ambiente principale c’era di norma un pozzetto per l’acqua, elemento che non doveva mai mancare, in ricordo della sorgente del primitivo antro persiano dedicato a Mitra. Si racconta che Mitra aveva fatto scaturire l’acqua da una roccia, come Mosè nella Bibbia.
Ai lati vi erano i due podi (o banconi) per il banchetto mistico, sui quali gli iniziati mangiavano sdraiati, secondo l’usanza romana. Con un po’ di fantasia possiamo immaginare i fedeli che, alla luce di fioche lampade, volgevano lo sguardo verso la sacra immagine, quando il Pater officiava l’antico rito. Probabilmente essi indossavano delle maschere, relative al grado iniziatico di appartenenza, e forse facevano uso di sostanze allucinogene per ottenere uno stato di coscienza alterato (il rito iranico prevedeva una comunione con l’haoma, bevanda di immortalità).
I gradi erano sette e tutti associati a un corpo celeste: ne conosciamo il nome da un’epistola di San Girolamo del 403, mentre la loro raffigurazione più nota, riproposta in mostra, è quella del mosaico pavimentale del Mitreo di Felicissimo a Ostia antica. In ordine sono il Corvo (Corax), lo Sposo (Nimphus), il Soldato (Miles), il Leone (Leo), il Persiano (Perses), il Corriere del Sole (Heliodromus), il Padre (Pater).
Nella raffigurazione ostiense nel primo grado troviamo sulla destra il caduceo, perché si trova sotto la tutela del pianeta Mercurio. Nella religione mitraica il corvo era considerato l’araldo del Sole, il profetico messaggero che suggerisce a Mitra l’uccisione del toro, e quindi ben si presta l’accostamento con Mercurio, messaggero degli dei. Fra il caduceo e il corvo compare un vasetto rituale, che dovrebbe riferirsi alle abluzioni cui era sottoposto il fedele alla sua prima iniziazione.
Il secondo grado, quello di nymphus (sposo) è associato a Venere, cui allude la raffigurazione del diadema semilunato.
Nel terzo riquadro l’elmo con paranuca e pennacchio è un chiaro simbolo del pianeta Marte, mentre la lancia ci indica il terzo grado, quello del miles (soldato).
Nel quarto riquadro Il fulmine indica inequivocabilmente Giove. È un attributo del leo (leone). Questo grado prevedeva la prova del fuoco, di cui il leone, animale delle sabbie ardenti, è il simbolo, come il fulmine lo è di Giove. Nel passaggio a questo grado era vietata l’acqua, poiché nemica del fuoco, di conseguenza si adoperava il miele per le unzioni sacre delle mani e della bocca dell’iniziando. Compare infine il sistro, oggetto rituale da collegare anche con la Magna Mater, Cibele. Il leone, infatti, oltre ad essere sotto la tutela di Giove, è un animale strettamente connesso alla dea, il cui culto aveva molti punti di contatto con il mitraismo.
Nel quinto riquadro la Luna è ben caratterizzata dalla mezzaluna, accompagnata da Hesperos, la stella della sera. Compaiono pure una falce e un’arma, detta harpe o spada falcata, simbolo di alcuni popoli barbari, che si trova di solito in mano ad Ercole in lotta con l’Idra, o a Perseo che uccide Medusa. In questo caso è l’arma di Perseo, eroe eponimo dei Persiani, quindi indica il grado del Perses (persiano).
La corona radiata con sette raggi, legata con nastri, chiaro simbolo del Sole, è rappresentata a tutela del grado dell’Heliodromus, cioè il corriere del Sole. L’attributo caratteristico è la frusta (raffigurata a destra del Sole) per i cavalli della quadriga, mentre a sinistra è la fiaccola accesa, simbolo di Phosphoros, la stella del mattino che precede il Sole.
L’ultimo rettangolo, il settimo, ha il falcetto, attributo di Saturno, che ha la tutela del grado del Pater, simboleggiato dal ricco berretto frigio ricamato, lo stesso copricapo di Mitra, quello che il mystes indossava, una volta raggiunto l’ultimo grado. Il rabdos, cioè la bacchetta, e la patera umbilicata, che doveva servire per le libagioni sacre, erano i simboli dell’iniziato giunto all’ultimo grado della scala gerarchica. Il fedele, dopo aver superato le prove dei vari livelli, era finalmente giunto vicino alla divinità: solo ai più puri era consentito entrare nell’ottava sfera, quella della luce infinita di Mitra.
Il giorno del giudizio, Mitra sarebbe sceso sulla terra per separare i buoni dai malvagi.
Una rappresentazione immancabile nei mitrei era quella della tauroctonia, dove il bel dio col mantello al vento è raffigurato mentre uccide il toro, dalla cui ferita esce il sangue. Tutto il creato beneficia di questa infusione di vita, a cominciare dalla terra, e infatti dalla coda del toro morente spuntano le spighe. Il serpente e lo scorpione (raffigurato mentre attanaglia i testicoli del toro), mandati dal dio del male Ahriman, cercano con il loro veleno di contrastare l’azione vivificante del sangue, ma inutilmente.
C’è pure il cane che lecca la ferita del toro, per evitare che il sangue tocchi la terra, ma il suo ruolo non è così chiaro. Dopo essersi purificato, Mitra festeggia la vittoria insieme al Sole con un banchetto, quindi sale in cielo sulla quadriga solare.
Ai lati della scena sono raffigurati di norma i due dadofori Cautes e Cautopates e in alto a sinistra il Sole (a volte con il corvo) e a destra la Luna.
Un’altra raffigurazione frequente è quella del transitus, ovvero Mitra che trasporta il toro nella grotta prima di ucciderlo.
In mostra sono presenti alcuni rilievi particolarmente elaborati con la tauroctonia al centro e intorno le varie scene relative alla vita di Mitra (sullo stesso genere della raffigurazione pittorica del mitreo di Marino e di quello romano di Palazzo Barberini).
Proprio ispirandosi ai colori del mitreo di Marino, il Museo di Francoforte ha realizzato nel 1987 una copia colorata del rilievo a due facce ritrovato a Nida nel 1826.
Come vediamo in mostra, la particolarità di questo rilievo è data dalla scena centrale della seconda faccia, che raffigura il toro già ucciso, mentre Mitra e il Sole banchettano in cielo (il Sole porge a Mitra un grappolo, mentre con l’altra mano tiene una verga da auriga).
Particolare è anche la presenza in entrambe le facce di quattro venti (Borea, Noto, Euro e Zefiro, simboleggianti i quattro punti cardinali Nord, Sud, Est e Ovest), e delle quattro Stagioni.
In un’altra tauroctonia in marmo di Paro (IV secolo d.C.), ritrovata a Sidone (in Libano) e conservata al Louvre, sono raffigurati tutti i segni dello Zodiaco.
Il serpente è un animale spesso associato a Mitra. Le sue spire alludono alle circumvoluzioni dei pianeti e del corso del sole sull’eclittica; scrive Macrobio a questo proposito:
“E al sole stesso viene attribuito l’aspetto di serpente, perché il sole sempre ritorna dal massimo abbassamento, che è per così dire la vecchiaia, al suo punto culminante, come al vigore della giovinezza”.
I serpenti, comunque, essendo animali legati alla terra (non è un caso che fossero sacri alle varie dee madri dell’antichità), potrebbero anche riferirsi alla grotta di Mitra e alla roccia da cui nasce e oltretutto il serpente compare nell’iconografia della tauroctonia, nell’atto di leccare la ferita dalla quale sgorga il sangue del toro. Nel complesso sistema astrologico del mitraismo, grande importanza assumeva pure il Tempo (Cronos), simboleggiato da un mostro avvolto dalle spire di un serpente e con la testa leonina, chiamato a determinare con la sua forza divoratrice ogni azione.
Il toro viene sacrificato perché è dalla morte che nasce la vita (ciclo della natura, a primavera sotto la costellazione del Toro, la vegetazione rinasce dopo il gelo invernale). Lo stesso sole muore al tramonto per rinascere il giorno dopo all’alba. La luce esiste perché illumina il buio: per questo Mitra viene adorato in una grotta (lo speleum), grotta che simboleggia anche la volta celeste.
Molti dei materiali esposti (statue, rilievi, altari votivi, bronzi, monete, gemme, terrecotte), provengono dalle città di confine (lungo il limes), dove vi erano accampamenti militari, a dimostrazione che il culto di Mitra era particolarmente diffuso tra i soldati o in quegli ambiti in cui la vita era a rischio e si sentiva la necessità di rivolgersi a un dio forte in grado di proteggere la vita. Per lo stesso motivo si trovano mitrei nelle città romane dotate di anfiteatro, perché i gladiatori erano equiparati ai soldati.
Tra i mitrei trattati nella mostra troviamo, tra gli altri, quelli di Bordeaux, Tienen, Septeuil e Angers nelle province galliche, di Mérida nella penisola iberica, di Nida e di Güglingen in Germania, di Kempraten (in Svizzera), di Carnuntum in Pannonia, di Apulum in Dacia, di Dura Europos in Siria.
Nei reperti in mostra si notano delle particolarità legate all’arte provinciale. In una tauroctonia proveniente dal museo della civiltà dacica di Deva (in Romania), per esempio, compare il leone, posizionato ai piedi di Cautes. Una presenza, questa, che non appare mai nei mitrei italiani, anche se il leone lo si ritrova nella figura del Leontocefalo, e nel grado Leo legato al pianeta Giove. L’artista dacico ha anche inserito nella stessa scena a destra la figura di Mitra petrogenito e a sinistra quella del transitus.
In alcuni mitrei sono state anche raffigurate divinità vicine a Mitra, come per esempio Mercurio (in quanto divinità planetaria e trasportatore di anime), una cui grande statua in marmo è stata trovata nel mitreo di Mérida.
È ovvio che, trattandosi di una religione misterica, molte cose rimangono oscure, ma la mostra ci informa con un buon apparato didattico sul pensiero degli autori antichi e dei massimi studiosi moderni, a partire dal belga Franz Cumont, l’autore del celebre saggio “Le religioni orientali nel paganesimo romano” (1907).
Anche la letteratura (ricordiamo in particolare la poesia di Rudyard Kipling intitolata “A song to Mithras”), i fumetti, la filmografia e l’arte contemporanea (tra cui un disegno raffigurante Picasso-Mitra) sono prese in considerazione.
Oltre alla bellezza dei materiali esposti secondo una concezione di mostra classica, la presenza di audiovisivi e di diverse postazioni interattive permette di immergersi in questo culto per secoli dimenticato, e di rimanerne profondamente affascinati. In particolare i visitatori sono stimolati dallo stesso Mitra ad andare avanti nel percorso iniziatico, mediante il contatto con alcuni oggetti, fino a raggiungere il grado più alto di iniziazione, avvalendosi della loro capacità di osservazione e del loro spirito di deduzione.
Nica FIORI 11 Settembre 2022