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About Art presenta la 32^ Biennale dell’Antiquariato di Firenze che apre il prossimo 24 Settembre nelle sale di Palazzo Corsini (via del Parione, 11)dando la parola ad alcuni dei maggiori espositori.
Oggi intervistiamo la dott.ssa Monica Cardarelli, direttrice della LAOCOON GALLERY che si presenta alla XXXII EDIZIONE DELLA BIENNALE DELL’ANTIQUARIATO, illustrando alcune opere che faranno mostra di sé nello Stand 13 (Dal 24 settembre al 2 ottobre 2022).
Intervista a Monica Cardarelli.
La prima cosa che vorrei chiederti nasce da una considerazione; la 32^ Biennale torna finalmente senza restrizioni ma la possibilità di rituffarsi in un appuntamento fatto di cose meravigliose che danno piacere alle menti e agli occhi, sembra decisamente stridere con il periodo che stiamo vivendo, dove si avverte ogni giorno di più la preoccupazione per il futuro e dove si è aggiunta la campagna elettorale, con scontri e polemiche quotidiane, ad acuire ancor più un senso di smarrimento e di sfiducia. E’ possibile insomma contemperare bellezza e paura? E questo stato d’animo abbastanza diffuso, pensi influirà sul buon andamento commerciale dell’appuntamento?
-L’arte antica fino al secolo XX è sempre una derivazione dell’Umanesimo che può talvolta impedire il male o almeno consolarci dalle sue conseguenze. L’arte antica è davvero il migliore degli investimenti, mentre il contemporaneo è un’emissione di titoli tossici che prima o poi si riveleranno essere come le foglie secche di Fra’ Galdino nella favola raccontata da Manzoni, Alessandro, non Piero.
La Galleria che dirigi si presenta alla prossima 32^ Biennale Internazionale dell’Antiquariato con un pezzo da novanta, la scultura realizzata nel 1584 da Vincenzo de’ Rossi, valoroso allievo di Baccio Bandinelli che raffigura Il Laocoonte, copia del celeberrimo gruppo marmoreo oggi ai Musei Vaticani, che ormai a quanto pare è sulla bocca di tutti e si candida ad essere la vera guest star dell’evento. La storia dello splendido lavoro è stata ricostruita in modo davvero eccellente da Pierluigi Panza (Corriere Fiorentino, 6 settembre 2022), così pure come fu acquisita da parte di tuo marito, l’antiquario Marco Fabio Apolloni. Vorrei che chiarissi bene se possibile per i nostri lettori come arrivò Marco Fabio a scoprire dov’era allocata l’opera. Qualcuno glielo suggerì? E trattandosi di un pezzo tanto unico e straordinario dovette combattere con qualche altro collezionista o mercante interessato? E infine come è stato possibile far entrare in Italia il Laocoonte?
-Prima di tutto il nostro Laocoonte non è una copia, ma una variante, un’interpretazione del capolavoro antico in cui Vincenzo de’ Rossi drammatizza ulteriormente i gesti del protagonista della tragedia, facendo diventare il gruppo ancora più barocco.
Non è stato mio marito a comprare il Laocoonte, ma mio suocero, Fabrizio Apolloni, che per mia sfortuna non ho fatto in tempo a conoscere. Era il 1982, Marco Fabio era appena uscito dall’università. Padre e figlio insieme notarono che questa copia del Laocoonte era “diversa”. Non c’era internet per controllare, e tutti e due vagarono per un intero pomeriggio in cerca di una libreria dove si potesse trovare una qualche pubblicazione in cui il Laocoonte del Vaticano fosse riprodotto. Finalmente in una cartolibreria di Angoulême trovarono un tomo intitolato “Settemila anni di scultura”: la foto dell’originale dimostrava l’ardita libertà dello scultore manierista rispetto al glorioso prototipo. Certo in quell’asta ci furono altri concorrenti, la statua infatti fu pagata circa 150 milioni di lire. In Italia è entrata con una temporanea importazione, come tutte le cose che si acquistano all’estero.
Tanto tu che Marco Fabio avete chiarito che la Statua è in esposizione con l’idea che si possa vendere e avete anche espresso la speranza che fosse proprio una qualche istituzione fiorentina ad acquisirla, perché da lì proviene, posto che i committenti del de’ Rossi furono fiorentini, cioè la famiglia Della Sommaia. Ti chiedo: avete avuto già riscontri sotto questo aspetto?
C’è già stato un meraviglioso e generoso appello del sindaco della città di Firenze, Dario Nardella, che si è dichiarato pronto ad accoglierlo a Palazzo Vecchio, dove sono già le Fatiche d’Ercole dello stesso Vincenzo de’ Rossi, purché un mecenate o una cordata di mecenati innamorati di Firenze ne facciano l’acquisto per amore della città.
Alla Biennale oltre a quest’opera tanto importante ed unica naturalmente sarete presenti anche con altri lavori; considerato che le tue ricerche –come abbiamo anche noi di Abou Art spesso rimarcato- hanno portato in evidenza artisti ed opere –a volte anche poco o affatto noti- di un periodo preciso, a cavallo tra ‘800 e ‘900, mentre tuo marito Marco Fabio è noto anche come erede di una tradizione, quella del padre, Fabrizio, uno dei più noti e preparati antiquari esperti soprattutto di dipinti antichi, come vi siete organizzati ? Cosa troveranno nel vostro stand troveranno i visitatori della Biennale?
Con il nostro Laocoonte dialoga bene una serie di marmi di scavo degni di un cabinet d’antiquitès d’altri tempi.
Oltre ai marmi, tre meravigliosi astragali di bronzo romani di diversa grandezza. Riempiti di piombo, erano pesi per bilancia, forse ritrovati nel mare di Marsiglia. Sono un esempio mirabile di come gli antichi potessero far arte anche con gli oggetti di uso comune. Il collezionismo di pezzi archeologico è anche il soggetto dei dipinti più antichi da noi esposti: due trompe-l’oeil francesi di primo Settecento che riproducono scaffali di libreria con anche pezzi di antichità e curiosità naturalistiche e il ritratto di un collezionista parigino, Monsieur Dhermand, dipinto da Féréol Bonnemaison nel 1812.
Per noi che viviamo in questo millennio però, anche gli anni Cinquanta del secolo scorso sono reperti di una civiltà perduta: è per questo che abbiamo voluto portare anche, in stridente contrasto con il Laocoonte “La Trattoria di Via Flaminia”, 1949, un dipinto in cinemascope di Mario Mafai, e una serie di piatti in ceramica smaltata di Leoncillo, quattro figurativi con coloratissimi animali e un altro che sembra fatto di lava incandescente, del suo primo periodo informale. Li abbiamo piazzati sopra una console inglese di primo Ottocento di gusto neo-egizio come i famosi mobili di Thomas Hope.
Archeologica e moderna ad un tempo è anche “La Venere Latina”, (1930) di Achille Funi, già esposta alla XVII Biennale di Venezia. Un dipinto monumentale, dove il corpo della dea circondato da frammenti marmorei in un paesaggio mediterraneo non sai se si stia facendo carne da marmo che era, come la famosa statua di Pigmalione, oppure si stia impietrando per simpatia con i relitti di una civiltà perduta. Bello come un bronzo antico è anche la “Venere Fortuna” di Libero Andreotti, che fu già del grande bibliofilo Tammaro de’ Marinis.
Antichità si potrebbero credere anche, se non fosse lo spirito giocoso che le animano, due preziose sculture d’argento di Andrea Spadini, che personificano una il fiume Congo e l’altra il fiume Tevere che se ne va mollemente sdraiato in barchetta sopra le sue stesse bionde acque fangose.
Aconcludere questo discorso, che va dalla modernità dell’antico all’antichità del moderno, abbiamo messo “La Luce di Lessing”, una stupenda, grande tempera di Fabrizio Clerici, in cui il Laocoonte appare e scompare come una gran sagoma ritagliata nel legno alla maniera di quelle di Mario Ceroli. Abbiamo voluto esporre anche due opere di un grande artista contemporaneo, Luigi Pericle (1916 – 2001), il cui modernissimo tratto informale evoca però suggestioni di epoche lontanissime, cosicché una croce di china potrebbe essere una reliquia paleocristiana, dei veloci tratti su fondo nero, il calco di un graffito rupestre.
Infine una domanda personale; la statua del Laocoonte del de’ Rossi è stata a lungo la protagonista della tua Galleria a via Monterone, tanto che credo di poter dire che principalmente per te che la vedevi e la toccavi tutti i giorni, avesse ormai anche un preciso valore affettivo, al di là del valore artistico oltre che economico che comunque racchiude. Sarà un problema per te da adesso in poi, se la statua come voi auspicate dovesse partire per altri lidi, farne a meno? Hai pensato a cosa poterla sostituire? C’è qualcosa che potrà fartela dimenticare? Oppure pensi che sia meglio che l’atrio della tua Galleria resti libero ?
C’è un miliardario turco che ci sta alle costole perché vuole portare il nostro Laocoonte a Hissarlik, cioè dove il Laocoonte in carne ed ossa fu stritolato dai serpenti affinché Troia cadesse. Ce lo chiedono dalla Cina, però noi siamo orribilmente campanilisti. Se lo abbiamo portato in Italia è perché vorremmo che rimanesse in Italia. Il nostro è ormai un paese abbastanza ricco da potersi permettere di riacquistare i capolavori perduti al tempo della nostra miseria. Il querulo poveraccismo delle nostre istituzioni, che si dichiarano senza soldi è solo frutto di una scelta politica che spreca miliardi quando con pochi milioni potrebbe rendere i nostri musei competitivi nel mondo e mutare anche il nostro stesso mercato nazionale, facendo sì che vendere opere italiane in Italia diventi più lucrativo che venderle all’estero.
Certo non dimenticheremo mai il Laocoonte di Vincenzo de’ Rossi. Sempre chiudendo gli occhi lo sguardo della nostra memoria ce lo farà vedere dove da dieci anni ci ha fatto da eccezionale “insegna di bottega”. Del resto, c’è già pronto un rimpiazzo, il Laocoonte da noi fatto realizzare al nostro amatissimo artista Patrick Alò, capace di assemblare i rottami della nostra civiltà meccanica nelle forme della scultura classica. Rispetto ai grandi maestri della scuola di Rodi e di Alessandria ha anche il gran vantaggio di essere vivo e fare per noi, in maniera nuova, le grandi statue della classicità: proprio ora sta terminando un grande “Augusto di Prima Porta” che sicuramente desterà ammirazione e meraviglia come al cospetto di una grande scoperta archeologica.
P d L Roma 21 Settembre 2022
Ufficio Stampa Laocoon Gallery
Edoardo Caprino e.caprino@bovindo.it; Giulia Fabbri g.fabbri@bovindo.it 345 6156164; Maria Cira Vitiello mc.vitiello@bovindo.it 331 4193814