di Silvana LAZZARINO
Uemon Ikeda è l’artista internazionale che con la sua opera fatta di installazioni, prospettive aeree e dipinti, entra nello spazio per aprire a nuove rappresentazioni dove ritrovare quel respiro interiore per un nuovo ascolto di sé e del mondo
In costante trasformazione, nel passaggio in questo mondo dove sempre più si tende a giudicare, controllare e dove manca quell’ascolto di sé per aprirsi e essere anche in ascolto dell’altro, si perde di vista il senso più profondo di ciò che l’individuo rappresenta e porta con sé. La ricerca di senso porta ad una vita in evoluzione e la felicità dipende dal senso che viene dato alla propria vita, vista in una prospettiva di consapevolezza, dando voce ai valori e alle conoscenze, tenendo sempre presente l’altro dal cui incontro può nascere confronto, arricchimento e cooperazione. Secondo il cognitivista Martin Seligman vi è una disciplina volta ad una costruzione di sé per essere persone felici indipendentemente dalle predisposizioni di ciascuno e pertanto è importante valorizzare le proprie potenzialità per costruire il proprio benessere arginando gli inconvenienti e allo stesso tempo guardare all’autenticità della propria vita. Ma secondo il Dalai-Lama la felicità richiede una disciplina e un metodo interiore per combattere gli stati mentali negativi e pertanto la felicità dipende dall’atteggiamento che si assume innanzi ad una situazione.
Verso questo percorso che accompagna ad un nuovo riconoscimento delle emozioni tra passato e situazioni del presente, conduce l’arte di Uemon Ikeda, capace come pochi di cogliere il ritmo di quell’energia invisibile tra materia e spirito che, pur non pienamente compresa, appartiene anche a questa esistenza dove sempre più difficile diventa ritrovare quell’armonia dei contrari insita in ogni piccola parte dell’universo e presente fin dall’origine.
Riconosciuto quale il più noto e apprezzato artista giapponese in Italia, Uemon Ikeda nome d’arte di Tatsuo Ikeda (Kōbe, 1952) dopo gli studi d’arte in Giappone con il Maestro Yoshino decide su suo suggerimento di andare in Italia, scegliendo Roma quale città per approfondire i propri studi frequentando l’Accademia di Belle Arti dove si diploma nel 1977 con Venanzo Crocetti.
Con la sua arte che spazia dalla pittura alla scultura all’installazione, compresa la performance, egli ha saputo creare un perfetto equilibrio tra la disposizione delle forme e la gestione degli spazi a suggerire un nuovo modo di guardare quanto è intorno a partire dagli ambienti interni ed esterni, compresi i rapporti esistenziali partendo dal recupero di un’inattesa autenticità con cui si viene al mondo e che spesso poi nel trascorrere degli anni viene come dimenticata e messa da parte, ma necessaria per ritrovare quella parte più libera e spontanea con cui relazionarsi.
Volgendo lo sguardo alla natura e ai suoi aspetti e manifestazioni, compresi gli stati d’animo, utilizzando diverse declinazioni linguistiche che procedono dalla pittura all’installazione, dal disegno all’architettura, fino alla scrittura e al “teatro impossibile” in cui avviene uno stravolgimento, egli si è soffermato sul concetto di spazio tra luogo interiore ed esteriore considerando come i due siano inevitabilmente collegati proprio come il visibile e l’invisibile, il giorno e la notte, la luce e l’oscurità. Tra essi inoltre vi è una sorta di continuità come circolarità che permette il rinnovarsi dei fenomeni che accadono in ogni angolo del cosmo come ad esempio qui sulla Terra avviene con il ciclo delle stagioni nel loro ripetersi.
La sua arte permette di cogliere nostalgie lontane e il presente come momento da vivere e da ascoltare nel profondo, passando poi ad immaginare un ipotetico futuro nella possibilità che tutto si ripeta con altra sfumatura e altro modo, lasciando che rimanga quella percezione del già accaduto e già percepito, del già visto e ascoltato. Il suo stile, se da un lato si inserisce entro parametri concettuali, dall’altro esplora le dinamiche riferite all’astrazione immettendo talora in proiezioni oniriche dove lasciare libera l’immaginazione.
Dalla chiusura dello spazio si passa alla sua apertura che per Ikeda prepara all’ideazione di progetti fatti di scritti, pensieri e azioni finalizzate a rompere gli automatismi della vita che risuonano come chiusure e talora limitazioni. Di questi ambienti da aprire per vivere un’altra esperienza egli parla anche nel libro “Acrobazia” scritto insieme a Simonetta Lux a partire dall’idea di Giardino perduto.
In questa manifestazione di un pensiero aperto al divenire e al cambiamento, pur nella circolarità di un tempo che va oltre, Uemon Ikeda nel definire immagini legate ai ritmi pittorici impressi su tela o lungo progetti e installazioni, prende le mosse dalle atmosfere legate alla natura dove il sole, le nuvole, la neve, il fuoco acquistano forme geometriche allungate, indefinite entro uno spazio che non finisce, ma apre a possibili processi in cui il presente si ancora al passato nei ritmi del ricordo e della memoria nostalgica e sognante.
Le realtà urbane da lui definite sono come smaterializzate, sintetizzate entro il concetto di vuoto, distanti dall’idea occidentale di spazio cittadino: il vuoto diventa spazio. In questo senso le sue “architetture aeree” che prendono vita attraverso un filo di lana e seta sono espressioni effimere di “forme ideali di architetture sospese all’interno di luoghi pubblici e di interesse culturale”. Un esempio è dato dalla Performance ‘Avere o non avere ‘tenutasi nel 2013 nella Piazza del Campidoglio di Roma in occasione della Giornata della Terra e da ‘Architetture aeree: linee, fili, web net’ realizzata nella piazza del MAXXI in occasione della Giornata del Contemporaneo sempre nel 2013.
Tra le sue opere citiamo anche Stanze che immettono in uno spazio senza tempo per respirare le atmosfere della terra umida o asciutta, del mare profondo, della Primavera dai colori vivi e ancora delle stelle nella loro infinita molteplicità.
Noto a livello internazionale Uemon Ikeda che vive e lavora a Roma, ha realizzato mostre in Italia e in Giappone, collaborando anche con l’università La Sapienza di Roma, e di grande respiro sono le sue installazioni che ben si sposano con il tessuto urbanistico di piazze e paesaggi. Dal 1987 ad oggi è presente in importanti rassegne internazionali di arte contemporanea. Determinante alla fine degli anni ’80 è stato l’incontro con Simonetta Lux che lo ha invitato ad esporre a Palazzo Braschi e con la quale ha realizzato altre importanti esposizioni.
Oltre ad aver partecipato nel 2017 alla 102esima edizione della NIKA Exibition al National Art Centre di Tokyo, una delle tre esposizioni d’arte più importanti in Giappone e nel 1991 alla collettiva “Simultaneità – Nuove Direzioni dell’Arte Contemporanea Giapponese” a Palazzo Braschi a Roma, ha esposto sempre a Roma al Museo laboratorio di arte contemporanea dell’Università La Sapienza nel 2000 con la personale “Acrobazia” e nel 2005 con la personale “Un ragazzo che voleva vivere nel rettangolo” a cura di Simonetta Lux.
Da citare inoltre l’installazione “Filo di Arianna” in piazza Trilussa a Roma e per la Giornata Europea della Cultura Ebraica la realizzazione di un’installazione con raffigurata la stella di Davide per i giardini della principale Sinagoga di Roma. Da ricordare accanto alla sua partecipazione alla collettiva “Io Klimt” al Palazzo dei Consoli di Gubbio nel 2013 curata da Francesco Gallo Mazzeo dove hanno preso parte più di quaranta artisti affermati e giovani, la sua esposizione a Palazzo Reale di Napoli e al MAXXI di Roma, e di recente lo scorso dicembre 2021 i suoi lavori tra disegni e acquarelli, compresa l’installazione del filo rosso sono stati protagonisti dell’esposizione a lui dedicata negli spazi della Galleria La Nuvola a Roma in Via Margutta diretta da Fabio Falsaperla insieme ad Alice Falsaperla storica dell’arte e curatrice.
La forza e l’eleganza del suo filo rosso ha portato una ventata di energia anche in occasione del Consiglio Direttivo Nazionale del Gruppo Donne Imprenditrici di FIPE-Confcommercio svoltosi il 25 ottobre 2021 nell’ambito della Fiera a Host Milano Fiera Milano Rho, proprio a sottolineare il coraggio e la volontà di affermarsi delle donne anche nel settore dell’imprenditoria.
Ikeda è autore di diversi racconti tra l’onirico e il reale come quelli del volume “Racconti paralleli” edito da Bordeaux (2021) e curato da Marta Bianchi esperta di comunicazione ed eventi, oltre che addetto stampa e assistente dell’artista da più di 15 anni. Si tratta di un’opera di grande forza evocativa per la capacità dell’artista e scrittore di ripercorrere oltre a ricordi e sogni legati alla sua infanzia a Kobe e a Tokio, anche il suo incontro con Roma dove si trasferisce per approfondire i suoi studi e dove gli si spalanca il mondo dell’arte. E sarà poi Roma a diventare città d’adozione. Non manca di sottolineare le differenze tra i due paesi (Giappone e Italia) sul lato culturale e sociale a cominciare da come viene visto il ruolo della donna e ancora i suoi incontri e le conoscenze proprio a Via Margutta e piazza del Popolo.
Per alcune sue opere si parla di scenari di un teatro impossibile come se gli spazi divenissero luoghi di rappresentazione dove l’arte giunge a definire un possibile risultato in cui però l’azione dell’uomo non può compiersi. A questi scenari di un teatro impossibile si fa riferimento nel libro “Acrobazia” (Lithos editrice 2001) scritto insieme a Simonetta Lux professore ordinario di Storia dell’arte contemporanea presso la Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e direttore del MLAC (Museo Laboratorio di Arte contemporanea dell’Ateneo).
Silvana LAZZARINO
Intervista a Uemon Ikeda a cura di Silvana Lazzarino
Come ti sei avvicinato all’arte e come nasce questo interesse con cui unisci rigore, dinamismo, logica e intuizione?
–Anni 68 in Giappone. Negli anni di piombo giapponesI ho deciso di dipingere. Nel doposcuola andavo a dipingere da un Professore d’arte. Chiudevo l’aula con le chiavi. La maggior parte erano ragazze, uscivo sempre insieme ad una ragazza, figlia del Poeta famoso. L’accompagnavo fino alla prima fermata del bus. In una calda estate un giorno lei mi disse che si doveva sposare. Suo padre era amico di un grande scrittore, così mi disse che lei aveva deciso di diventare artista e come per magia anch’io pensai la stessa cosa….. Incantesimo.
Il mio professore Yoshino dal bell’aspetto era originario di Kyushu, isola situata a sud-ovest dell’isola principale dell’arcipelago nipponico. Lo conobbi quando ero ancora studente all’Università dell’arte, lui era il mio tutor. E’ stato assistente di uno scultore famoso con cui realizzò una statua di Mishima Yukio noto scrittore, drammaturgo e saggista giapponese morto suicida. Un giorno Yoshino mi chiamò nel suo ufficio e mi disse: ho studiato tutto con le diapositive: le sculture italiane contemporanee che insegnano a Roma. Proprio sapendo l’importanza di formarsi osservando dal vero le grandi opere d’arte, appena ebbi compiuto 21 anni e ottenuto il passaporto, mi suggerì di partire. Così ho preso una valigia di duro alluminio e sono partito per Roma.
Chi sono stati i tuoi Maestri in Giappone e quali valori ti hanno trasmesso?
–Come prima accennato ho conosciuto il Professor Yoshino e ho frequentato il suo studio per approfondire la mia formazione. Mi disse che tutti lasciano la strada per proiettarsi nel mondo del lavoro e qualora avessi trovato un lavoro fisso sarebbe stato opportuno accettarlo. Comunque mi suggerì di andare a New York o a Roma per diventare artista e che lui mi avrebbe aiutato. Infatti a Roma ebbi la possibilità di conoscere lo scultore giapponese Yamaguchi grazie proprio al mio maestro che mi disse: “In Italia e a Roma avrai modo di vedere e studiare i capolavori mentre in Giappone tutto avviene attraverso le diapositive”.
Dal Giappone sei giunto a Roma agli inizi degli anni Settanta, città da te molto amata che ti ha offerto diversi stimoli grazie ad incontri importanti. Quale atmosfera hai trovato nella capitale e quali tra i diversi artisti, quelli con cui hai lavorato e o dai quali hai preso spunto per la tua arte?
–Ho avuto fortuna: dopo l’Accademia sono stato inserito dalla Professoressa Simonetta Lux al Festival di Bomarzo a cui partecipavano gli artisti più famosi. Nell’ambiente della Sapienza grazie a lei ho avuto la fortuna di incontrare i maggiori artisti italiani e stranieri e proprio in quell’atmosfera dell’arte concettuale si respirava un senso di libertà, una sensazione che ti permetteva di essere libero da qualsiasi concetto esistente.
Accanto a nomi di artisti come Achille Perilli, Fabio Mauri, Hidetoshi Nagasawa, hai incontrato Renato Mambor artista di spicco e di grande spessore tra i più rappresentativi del secondo Novecento, scomparso nel 2014. Superando il senso del concettuale egli ha costruito un rapporto metalinguistico tra immagini, parole, cose e persone cogliendo con stile innovativo il senso dirompente della realtà contemporanea sempre più sofisticata in cui l’uomo agisce sempre più per automatismi e condizionamenti, oltre ad aver portato avanti una sperimentazione sul rapporto tra arte e vita, sul cambiamento dello sguardo e dei punti di vista, sulle relazioni interne ed esterne. Cosa ti è rimasto maggiormente impresso del lavoro di Mambor anche attraverso il teatro e i suoi laboratori e cosa ti ha trasmesso come persona? Raccontami però prima come vi siete conosciuti.
–Quando ho partecipato alla mostra ”Incantesimi” Renato aveva un suo spazio accanto a me. Ha iniziato a chiedermi tutti gli arnesi ed io non ero al corrente che lui fosse un artista così famoso. Ritengo che sia uno degli artisti più rappresentativi della scuola romana a livello internazionale. Ricordo con grande tenerezza e dolcezza il suo modo di essere. Poi a distanza di anni scoprii che anche Marta era legata a Patrizia Speciale, moglie di Renato Mambor.
La tua arte prendendo vita da ricordi, emozioni presenti, stati d’animo di sospensione e ascolto profondo permette di cogliere quel ritmo di un’energia invisibile tra materia e spirito con cui ridefinire pensieri, azioni, scelte quotidiane in piena autenticità. Senti di comunicare questo?
-In pratica i ricordi esistono nel presente come la memoria di passport di 500 gb, nel cervello. Il nostro cervello concepisce varie cose che noi definiamo per facilitare – le emozioni ecc.
Leggerezza ed equilibrio, intuizione e armonia ti accompagnano nel tuo essere artista giapponese, ma anche romano di adozione che unisce due nature quella giapponese e quella italiana: due temperamenti che si completano integrandosi come si evince in diversi tuoi dipinti. Mi puoi parlare di come vivi e come si completano queste due indoli a partire dalle loro differenze? Mi fai due esempi di opere che sintetizzano questi due nodi di essere e che ti hanno aiutato ad essere in armonia con te e gli altri, al credere ai sogni, al rinascere dall’oscurità e a guardare anche gli aspetti più semplici e banali con stupore e meraviglia?
-Cito la Professoressa Lux per rispondere alla tua domanda:
“In Ikeda convivono una cultura e una filosofia elevata con il dramma di un nomadismo tra Giappone e Italia, suo paese di adozione, che non ha trovato uno scoglio di ancoraggio”.
In Giappone fondamentalmente la cultura si basa sulla cultura della coltivazione del riso, della risaia, un’agricoltura collettiva. Invece in Europa c’è una cultura di caccia – sono cacciatori.
Attraverso segni che vibrano come note di uno spartito musicale, intrecci di linee e colori intensi, suggerisci i luoghi di una natura intatta e libera della quale si desidera fare parte, ma anche i diversi contesti di città e quartieri in cui sei vissuto, vivi o sei stato di passaggio. Cosa mi puoi dire a riguardo?
–Abbronzato alla fermata di autobus aspettando il bus-l’atac. Lo scrittore giapponese Abe Kobo qualche tempo fa ha pubblicato “L’uomo-scatola”, la storia di un uomo della metropoli che finisce per vivere dentro una scatola di cartone attrezzata con tutto il necessario per passarvi del tempo, lasciando solo una piccola feritoia per osservare il mondo fuori. (Kobo era un cosmopolita. Si disinteressa della decadenza della cultura tradizionale giapponese, ma fu importante per lui vivere a pieno nella decadenza).
Attraverso i diversi linguaggi dalla pittura all’installazione, dal disegno all’architettura, fino alla scrittura e al “teatro impossibile” ti sei soffermato sul concetto di spazio tra luogo interiore ed esteriore considerando come i due siano inevitabilmente collegati proprio come il visibile e l’invisibile, la luce e l’oscurità. Cosa rappresenta questo spazio visto anche in rapporto alle installazioni e al pubblico che è spettatore?
–Uno spazio espositivo è un vuoto. Probabilmente è bianco e ha quattro pareti, ma necessita di una porta d’entrata. Quindi restano a disposizione tre pareti. Il pavimento… dipende. Anch’esso è una parete condivisa con passanti, spettatori, pubblico. Il soffitto di solito contiene un sistema d’illuminazione perché senza luce nessuno può vedere i lavori esposti. Tutto questo vale per uno spazio chiuso, come un museo o una galleria. Ma se stessimo parlando di una piazza? Immaginiamo la piazza del Campidoglio di Michelangelo. Che cosa vi succede? L’installazione stessa è condivisa con chi attraversa quello spazio: americani, giapponesi, italiani, romani, politici, il sindaco, le vetture della nettezza urbana e di Zètema. Questo vuoto in realtà è pieno di regole sociali. Heritage: eredità sociale romana.
Quali le opere dove il concetto legato alla natura è maggiormente presente?
–Lo spazio è natura. Un esempio nel racconto “L’erba del signor Suzuki”. Il Signor Suzuki aveva un piccolo terreno accanto a casa mia. Doveva costruire una casa ma non ci era riuscito. Così lì iniziò a crescere l’erba. Venivano insetti, api, farfalle, formiche rosse, gatti randagi che portavano le loro prede. A un certo punto i vicini di casa si lamentavano perché insetti e uccellini si fermavano sui loro panni stesi. Avevano punto anche la vicina. Era diventato territorio di insetti. Così il dipartimento di zona ordinò a Suzuki di falciare l’erba. Lui venne con un cappello di paglia. Tagliò tutto, rasò tutto completamente. Infine mi chiese di portargli due buste di plastica nera, ma me ne dimenticai. Allora lo chiese alla madre e lei gli portò tre buste, per tutta quell’erba. Dopo aver riempito i sacchi, iniziò a innaffiare l’erba all’interno. Gli chiesi: «Perché lo fa, Signor Suzuki?». Lui rispose: «Se no l’erba si secca. È riuscita a crescere fino ad ora…». Le immagini a volte si contraddicono, non tutte le parole hanno origine dalle immagini, anzi molte sono conseguenze delle stesse. In autunno stavamo spesso sotto un albero di ginkgo. Alto quasi trenta metri, lasciava cadere in terra delle foglie d’oro ogni dieci, venti secondi. Lo guardavamo. È un fossile vivente le cui origini risalgono a duecentocinquanta milioni di anni fa, nel Permiano. Alcuni esemplari sono sopravvissuti anche a Hiroshima. È l’unica specie ancora esistente della famiglia delle ginkgoacee, anche se appartiene alle gimnosperme: i semi non sono protetti dall’ovario e non sono frutti. Sono ricoperti da un involucro carnoso. È un albero antichissimo. Esso non proviene dal frutto, è un bastardo. Una specie di pistacchio giapponese ha dei particolari semi che, quando si staccano per cadere in terra, precipitano volteggiando come degli aeroplani. Cercavamo di prenderli prima che toccassero il suolo, per salvarli. Se riuscivamo a prendere quei semi con un cappello di paglia, non li mangiavamo, li facevamo seccare e poi li conservavamo accanto al modellino di plastica di un aereo da collezione.
Tra le prime esperienze di esposizioni cui hai preso parte in Italia citiamo quella vicino Roma a Bomarzo: si tratta del Festival di Arte e poesia a Bomarzo “Incantesimi. Scene d’arte e poesia. Vicinanze ” ideato da Simonetta Lux e Miriam Mirolla. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
–Una felice esperienza, ho potuto conoscere gli artisti e i poeti più importanti nella scena dell’arte contemporanea italiana e internazionale come Gianfranco Baruchello, Fabrizio Crisafulli, Giovanni Di Stefano, Draps Andrea, Stefano Fontana, Robert Gligorov, Jannis Kounellis, Renato Mambor, Fabio Mauri, Hidetoshi Nagasawa e Achille Perilli.
Le “architetture aeree” che prendono vita attraverso un filo di lana e seta, sono espressioni effimere di forme di architetture ideali inserite o meglio sospese all’interno di luoghi pubblici e di interesse culturale. Tra i diversi progetti da te realizzati mi fai degli esempi?
-In diverse occasioni sono state esposte le mie installazioni /architetture aeree come nel 2012 alla personale presso lo Studio di Carlo Severati e sempre nello steso anno “Filo di Arianna” in piazza Trilussa a Roma e Post strutture presso i giardini del Tempio Maggiore, principale Sinagoga di Roma. L’anno seguente nel 2013 “Avere o non Avere” in Piazza del Campidoglio a Roma, l’Installazione in piazza Farnese a Roma; e poi “Ritratto di una città #2 Arte a Roma 1960-2001”; e il 5 ottobre 2013 in occasione della Giornata del Contemporaneo è stata la volta dell’Installazione “Architetture aeree: linee, fili, web net” sulla piazza del MAXXI. Ho preso parte a “Senzatomica Roma 2015 – TRE ARTISTI PER LA PACE Renato Mambor, Giovanni Albanese, Tatsuo Uemon Ikeda” a cura di Guglielmo Gigliotti e Ada Lombardi presso il MACRO La Pelanda – Spazio Factory.
–In occasione della riapertura del Giardino pensile di Palazzo Reale di Napoli nel novembre 2018 a conclusione del lungo e complesso restauro è stato inaugurato un percorso “disegnato” dalla mia installazione site specific dal titolo “Il Giardino ‘incantato’ di Palazzo Reale. A Levante del sole“. Il progetto curato da Anna Imponente ha visto la collaborazione di numerosi studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli provenienti da varie scuole di specializzazione entusiasti di poter collaborare alla realizzazione della gigante ragnatela/stella che ha percorso l’interno del Palazzo Reale fino al restaurato Giardino pensile. Un’installazione di ampio respiro che fin da subito ha catturato lo sguardo affascinato dei visitatori, collaboratori e studenti. La manifestazione, patrocinata dalla Fondazione Italia Giappone e dall’Istituto Giapponese di Cultura, è stata organizzata dal Polo museale della Campania, diretto da Anna Imponente, con la collaborazione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli diretta da Giuseppe Gaeta.
Fra le diverse declinazioni dei rapporti fra l’Italia e il Giappone in occasione del Japan Week in Venice il 6 settembre 2019 ho partecipato con una suggestiva installazione “Fragility” a cura di Olimpia de Sanctis: un volteggio di filo rosso ispirato a Venezia e alla sua intrinseca fragilità; città precaria eppure eterna e soprattutto radicata nel substrato emozionale a livello planetario. Il progetto è stato coordinato dallo Studio Marta Bianchi. Organizzata dalla Fondazione Italia Giappone, la manifestazione. presieduta dall’ambasciatore Umberto Vattani, in collaborazione col Comune di Venezia, ha visto il supporto della Venice International University, il sostegno dell’Università Ca’ Foscari, ed i patrocini del Ministero degli Affari Esteri, dell’Ambasciata italiana in Giappone e dell’Ambasciata giapponese in Italia, nonché del Comune di Venezia e della metropolitana di Venezia sull’Isola di San Servolo, sede della Venice International University.
L’installazione del filo rosso è diventata anche il simbolo, in ottobre 2021 del Gruppo Donne Imprenditrici FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, a Milano. In occasione della 17ª Giornata del Contemporaneo a Roma presso la Galleria La Nuvola in Via Margutta, è stata esposta una mia personale: “Uemon Ikeda. Racconti paralleli” a cura di Alice Falsaperla e in quell’occasione è stata ospitata una mia installazione ambientale appositamente allestita secondo la struttura della Galleria.
“Avere o non avere” tenutasi nel 2013 nella Piazza del Campidoglio di Roma in occasione della Giornata della Terra e “‘Architetture aeree: linee, fili, web net’ realizzata nella piazza del MAXXI in occasione della Giornata del Contemporaneo (2013) hanno rappresentato due momenti molto importanti. Ti va di parlare di queste due esperienze?
–Quindi in teoria tu stai proponendo un Tuo valore artistico nel posto pubblico che ha un Suo valore, estetico, etico e ha una verità sociale. A suo tempo bisogna affrontare anche il valore economico. Il valore economico è una proposta recente che è stata inserita come nuova sfera di valore dopo la caduta dell’impero-colonizzatore britannico, gli inglesi l’hanno presentata come una “rendita-business”. Gli artisti esistono in relazione al “budget”; nei musei dicono «Sì, sei un artista valido, però al momento non abbiamo il budget per realizzare il tuo progetto». Per noi oggi l’arte contemporanea ha bisogno invece di affrontare tre sfere di valore: Bello, Etica e Verità. Abbiamo bisogno di realizzare un progetto nel pubblico di quattro sfere di valore: Bello, Etica, Verità e Business. Ma tu hai un budget per pagare l’affitto dell’atelier per lavorare? Una volta Pietro, noto organizzatore cacciatore di business di arte contemporanea, mi ha definito un artista alla canna del gas.
Vi è anche un’altra idea di spazio come quello cui fanno riferimento le “Stanze” (oli) che immettono in uno spazio senza tempo per respirare le atmosfere della terra umida o asciutta, del mare profondo, della Primavera dai colori vivi e ancora delle stelle nella loro infinita molteplicità. Quali sono state le esposizioni più significative dove queste Stanze hanno trovato una perfetta collocazione?
–Presso il MLAC alla Sapienza e presso il National Art Centre di Tokyo in occasione della 102esima edizione della NIKA Exhibition. NIKA Exhibition è una delle tre esposizioni d’arte più importanti in Giappone, in cui artisti di rilievo allora viventi hanno presentato le loro opere, tra questi: Ryusei Kishida, Yuzo Saeki, Narashige Koide, Shoji Sekine, Harue Koga, Hanjiro Sakamoto, Tsuguharu Foujita, Shunsuke Matsumoto e Seiji Togo, per non citare Henri Matisse, Pablo Picasso e molti altri Maestri europei.
La raccolta dei tuoi racconti inediti presenti nel libro edito da Bordeaux è stata curata da Marta Bianchi, organizzatrice di eventi e anche curatrice. Mi parli di come è nata questa opera di narrativa dove l’oriente incontra l’occidente e dove affiora l’uomo -artista Ikeda?
–Io appartenevo alla generazione del movimento studentesco giapponese che contestava il rinnovo del trattato di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti d’America. Eravamo sempre stati definiti scomodi perché contestavamo in pieno la gerarchia confuciana. Infatti molti giovani giapponesi hanno scelto di lasciare il Paese. Il compito estivo del maestro lo terminavo già a luglio. Ma mi piaceva lavorare, così andavo a via del Babuino e compravo tre chili di gesso. Dopo la testa, feci un corpo di donna con le gambe ma senza testa. Ci lavorai quasi per tre mesi, erano giorni felici, mi sentivo un artista, la mattina scendevo a prendere il caffè in un bar ad angolo di via Casilina. Il gesso pesava tantissimo. Per liberarmene dovetti farlo prima a pezzi! Mi accorsi così che è impossibile essere uno scultore e abitare al settimo piano senza ascensore. Per essere un poeta bastano invece dei quaderni. Oggi bastano invece sei euro per una pennetta USB da quattro Gigabyte. Adesso si può anche lavorare a una scultura con una stampante 3D. Ecco allora che oggi gli artisti possono abitare al settimo piano senza ascensore. Viva la bohème! Artista totale concetto d’arte contemporanea.
Hai preso parte ad un ciclo di appuntamenti di grande rilievo dedicati ai “Martedì critici” rivolti ad artisti contemporanei noti a livello nazionale e anche internazionale. Come è stato e quali sensazioni ti ha lasciato l’essere ospite di questo prestigioso format ideato dal critico d’arte Alberto Dambruoso svoltosi lo scorso 31 maggio 2022 a Roma presso il Tempio di Venere e Cupido, a Piazza Santa Croce in Gerusalemme dove sono intervenute Simonetta Lux professore ordinario di Storia dell’Arte contemporanea alla Sapienza e Alice Falsaperla curatrice e gallerista?
Alberto Dambruoso è riuscito a tirare fuori l’io-artista dal guscio duro di me misantropo. Tutto merito suo.
Silvana LAZZARINO 24 Settembre 2022