di Nica FIORI
Nell’Aula Ottagona delle Terme di Diocleziano (Museo Nazionale Romano) sono esposti, in attesa di essere trasferiti nei loro luoghi di provenienza, i reperti archeologici recuperati dai Carabinieri del TPC (Tutela Patrimonio Culturale), cui dobbiamo la restituzione di innumerevoli opere d’arte che erano state illegalmente trasportate e vendute all’estero, per lo più dopo scavi clandestini. Giustamente questo settore espositivo è stato chiamato “Museo dell’Arte salvata”, proprio perché nato con l’intento di raccontare le diverse vicissitudini dei capolavori che sono ritornati a far parte del patrimonio di un paese come il nostro, le cui ricchezze archeologiche hanno attirato e continuano ad attirare collezionisti di tutto il mondo, disposti a sborsare ingenti somme per averli.
A distanza di tre mesi dalla sua inaugurazione, il Museo ospita, fino al 15 ottobre 2022, un gruppo scultoreo di grande fascino e inestimabile valore, “Orfeo e le Sirene”, che negli anni Settanta del Novecento era stato sottratto clandestinamente in un luogo imprecisato dell’area tarantina e, dopo il passaggio nel porto franco della Svizzera, venduto al Paul Getty Museum di Malibu (Los Angeles). Il rimpatrio dell’opera è stato possibile, anche questa volta, grazie alla complessa attività investigativa condotta in Italia e all’estero dalla Sezione Archeologia del Reparto Operativo del TPC, coordinata dalla Procura della Repubblica di Taranto, in collaborazione con le forze di polizia americane.
Il gruppo in terracotta, comprendente il poeta-cantore seduto, a grandezza quasi naturale, e due Sirene, si impone alla nostra attenzione, riempiendoci di emozione, soprattutto per la rarità del tema trattato.
Siamo abituati, infatti, a vedere rappresentazioni di Orfeo intento ad ammaliare con la sua musica gli animali, oppure mentre compie l’impresa di scendere nell’Ade per cercare di riportare in vita l’amata moglie Euridice. Un altro motivo ricorrente è quello della sua morte, quando la sua testa è tagliata dalle Baccanti (inferocite contro di lui perché rifiuta l’amore delle donne) e gettata nel fiume Ebro, dove continua prodigiosamente a cantare, diventando simbolo dell’immortalità dell’arte.
Quanto alle Sirene, sono ben diverse dalle donne-pesce che si sono imposte a partire dall’VIII-IX secolo d.C. nei bestiari e trattati di mirabilia medievali, ma sono quelle della mitologia greca: donne-uccello che attiravano con il loro canto i naviganti, facendoli poi morire. In numero di tre o due, a seconda delle diverse versioni del mito, sono notissime per l’episodio narrato nell’Odissea, quando Ulisse tappa con la cera le orecchie dei compagni, mentre lui si fa legare all’albero della nave per non lasciarsi tentare dal canto delle ammaliatrici.
Meno noto è il loro legame con Orfeo, riferito da Apollonio Rodio nelle Argonautiche (III secolo a.C.), un raffinato poema ellenistico sul mito degli Argonauti.
Nel IV libro viene raccontato che, nel corso del ritorno a casa degli eroi imbarcati sulla nave Argo (dopo che Giasone si era impadronito del vello d’oro nella Colchide), Orfeo riesce a contrastare con la sua musica il pericolo delle Sirene, che si trovavano su un’isola nei pressi di Antemoessa (da situare nell’Italia meridionale).
Le due Sirene sono raffigurate stanti con la parte inferiore a pilastro terminante con artigli da rapace, mentre il corpo si sviluppa superiormente sul davanti come quello di una donna (vestita) e dietro come quello di un tozzo uccello. Una delle Sirene ha una gestualità da musicista, l’altra porta la mano al mento con l’atteggiamento pensoso che è tipico della musa Polimnia: gesti che sembrano avvicinarle alle Muse, come del resto risulta dalla tradizione che le vuole figlie di Acheloo e di una Musa, cui si rifà lo stesso Apollonio Rodio.
Ecco i suoi versi, nella traduzione di Sonja Caterina Calzascia:
“Le aveva generate, dopo essersi unita all’Acheloo, / la bella Tersicore, una delle Muse; un tempo esse si erano occupate / della potente figlia di Demetra, quando era ancora vergine, / e cantavano insieme a lei; tuttavia in quel momento apparivano in parte / simili a uccelli, e in parte fanciulle. / Sempre in attesa su un’altura che offriva un buon ormeggio, / certo spesso avevano portato via a molti il dolce ritorno, / logorandoli e facendoli deperire. Anche per gli eroi emisero / senza ritegno dalle bocche la loro voce cristallina, ed essi dalla nave / già stavano per gettare gli ormeggi sulla riva, / se il tracio Orfeo, figlio di Eagro, / non avesse teso con le mani le corde della sua cetra bistonia, / facendo risuonare la musica di una canzone allegra / affinché le loro orecchie rimbombassero nello stesso tempo del suono / movimentato prodotto da lui: la cetra fece violenza alla voce delle fanciulle. / La nave la portava Zefiro insieme alle onde sonore / che si sollevavano da poppa, e le Sirene riversavano un canto ormai indistinto” (Arg. IV, 895-911)
Secondo Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano,
“La vittoria di Orfeo sulle Sirene rappresenta simbolicamente il trionfo dell’armonia musicale, un concetto chiave del pensiero filosofico e politico pitagorico, particolarmente diffuso nelle città della Magna Grecia”.
Un’armonia che si contrappone alle forze del Caos, simboleggiato dalle Sirene.
Ma, allora, qualcosa forse non torna in questo mito. Perché le Sirene sembrano delle Muse? Non sono esse stesse dotate di una voce e di una musica altrettanto incantevoli? Ma i miti, si sa, sono pieni di misteri e ognuno li può interpretare a modo suo.
Del resto l’impresa degli Argonauti, che vede coinvolti personaggi quali Giasone e l’inquietante Medea, non porterà ai risultati di gloria e potere sperati e si concluderà alla fine in tragedia, quindi essi scampano al pericolo delle Sirene per andare incontro a un destino ancora più crudele.
Dal punto di vista artistico, le due Sirene del gruppo appaiono meno belle rispetto alla figura del giovane cantore-poeta, il cui sguardo ispirato sembra prefigurare l’eternità.
Il Direttore generale Musei Massimo Osanna ha dichiarato:
“Il gruppo era originariamente dipinto, e possiamo ipotizzare che, grazie alla pittura, vi fosse un intenso gioco di sguardi tra le sculture, che costituiscono davvero un esemplare unico perché raramente una scena mitica come questa veniva rappresentata in terracotta, non abbiamo paralleli nel mondo antico”.
Non sappiamo se il gruppo faceva parte di un monumento funerario o di un edificio sacro; dato il culto verso il mitico cantore ritenuto il fondatore dell’orfismo, una religione iniziatica vicina a quella dionisiaca e al pitagorismo, poteva trovarsi in entrambi i contesti.
L’opera, dopo l’esposizione romana nel Museo dell’Arte Salvata (dal 18 settembre al 15 ottobre 2022), sarà trasferita nel Museo Archeologico di Taranto (MarTa), dove farà parte della collezione permanente.
Nica FIORI Roma 25 Settembre 2022
Foto: Emanuele Antonio Minerva, Agnese Sbaffi – © Ministero della Cultura