di Nica FIORI
Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello dell’evangelista Giovanni, fu il primo tra gli apostoli di Gesù Cristo a essere martirizzato.
Era il 44 d.C. quando, catturato dai soldati di Erode Agrippa, venne decapitato a Gerusalemme e il suo corpo, caricato su un’imbarcazione a Jaffa, fu abbandonato al mare. Racconta una leggenda che il natante con i suoi resti approdò sulle coste atlantiche della Spagna e si arenò a circa 30 km dal sito attualmente noto come Santiago di Compostela, ma passarono molti secoli prima che la tomba di San Giacomo venisse riconosciuta come tale. Incominciò allora il pellegrinaggio, il celebre Cammino di Santiago, costellato di innumerevoli memorie e simboli di spiritualità.
In realtà anche l’Italia ha la sua “Compostela”, nella città di Pistoia, a partire da quando nel 1145 il vescovo Atto fece portare una reliquia ossea dell’apostolo, l’unica donata dall’arcivescovo di Santiago a un’altra sede. Per custodirla venne costruito nella cattedrale di San Zeno l’altare argenteo, un’opera d’arte orafa unica nel suo genere e punto di riferimento dei pellegrini che percorrevano dall’Italia il Cammino Iacopeo.
L’altare d’argento di San Iacopo è oggetto di una mostra fotografica itinerante che, dopo il successo avuto a Santiago (oltre 15.000 visitatori in poche settimane) e a Pistoia, è attualmente in visione a Roma, fino al 9 ottobre 2022. Emblematicamente la mostra è ospitata in un luogo di reliquie, quale è il Santuario pontificio della Scala Santa, e più precisamente al primo piano, all’uscita del Sancta Sanctorum, la cappella privata dei Papi del Patriarchio lateranense.
Praticamente accanto alla Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano, viene evocata la figura di San Giacomo, fratello di Giovanni e patrono dei pellegrini, grazie alle straordinarie immagini fotografiche di tutte le formelle in argento sbalzato e parzialmente dorato che compongono il suo altare pistoiese e della ricostruzione in scala 1 a 1 dello stesso altare (con illuminazione interna). Le foto sono di Nicolò Begliomini, i testi di Lucia Gai e l’allestimento di Simone Martini. Il titolo completo della mostra è “Pistoia Compostela d’Italia. L’altare argenteo di San Iacopo. Avvicinatevi alla bellezza”.
Immergersi nei dettagli più sorprendenti di quello che è considerato il più grande capolavoro dell’arte orafa medioevale, cui hanno lavorato cinque generazioni di maestri dal Duecento al Quattrocento, permette in effetti di scoprire la spirituale bellezza dell’arte sacra: un tipo di arte che fa rivivere le emozioni di una storia religiosa che si ripete innumerevoli volte, senza esaurirsi nella ripetizione. Sappiamo bene che scene e personaggi risultano dai testi sacri, ma l’artista, che non li ha mai visti, li crea, ispirato dalla sua fede. Ed ecco che queste immagini appaiono come se fossero reali davanti ai nostri occhi e noi non possiamo che pensare: questo è Cristo, questa è la Madonna, questi sono i Santi, questi gli Angeli, questi i Profeti, ecc., perché riconosciamo i loro volti, i loro atteggiamenti, i loro simboli.
Le grandi foto in mostra ci colpiscono per la raffinatezza dell’esecuzione da parte dei maestri orafi, in grado di esprimere nell’argento la grande cultura figurativa della loro epoca. Le scene raffigurate sono quelle fondanti dell’Antico Testamento (quali la Creazione di Adamo ed Eva, Caino e Abele, la Costruzione dell’Arca di Noè, il Sacrificio di Isacco, Mosè che riceve la Legge), quelle cristologiche comprendenti tutti i Misteri, con al centro la Crocifissione, e ovviamente anche le scene relative alla vita di San Giacomo, tra cui la Missione apostolica di San Giacomo, il Santo davanti ad Erode, la sua morte per decapitazione e la nave con il suo corpo che arriva in Galizia.
Qualche incongruenza nella narrazione (per esempio la Nascita di Maria, che è inserita in un contesto improprio) può essere spiegata con il fatto che ci sono stati alcuni spostamenti delle scene nel corso della lunga storia del prezioso manufatto.
Come viene raccontato in un testo esplicativo, all’inizio l’altare di San lacopo custodiva la reliquia dell’apostolo, ma già prima della metà del Duecento essa era stata spostata dall’originario alloggiamento e riproposta nella Sagrestia, insieme ai tesori d’arte liturgica eseguiti in onore del santo Patrono della città, che dal XII secolo è proprio l’apostolo Giacomo (Iacopo nel nome locale).
L’altare veniva a perdere così il suo ruolo di “reliquiario” dedicato al santo, accentuandone invece quello di mensa liturgica, sulla quale si celebrava l’Eucaristia.
A imitazione di quanto era stato fatto nella cattedrale di Santiago dal suo primo arcivescovo Diego Gelmirez (nominato nel 1120), l’altare pistoiese venne ornato da preziosi pannelli di rivestimento, inizialmente rimovibili, e poi, dalla metà circa del secolo XIV, riuniti in una struttura fissa che compone l’attuale manufatto artistico.
Una prima “tavola sopra l’altare” fu eseguita in seguito a una decisione presa nel 1287 dal governo comunale di Pistoia, per sottolineare l’appartenenza politica della città al partito della Chiesa, durante le lotte fra Papato e Impero. Tale arredo liturgico raffigurava allegoricamente la Chiesa come Madre dei fedeli, con la Madonna in trono e con il Bambino in braccio, affiancata dal collegio degli apostoli. Buona parte di queste figure, inserite nell’attuale dossale tardo-trecentesco, si sono salvate e sono identificabili.
Anche il prezioso “paliotto” frontale dell’altare, eseguito nel 1316 dall’orafo pistoiese Andrea di lacopo d’Ognabene, celebra il ritorno di Pistoia alla fedeltà alla Chiesa di Roma, dopo un periodo di guerre sanguinose in cui era momentaneamente prevalso il partito imperiale.
Nell’attuale configurazione la struttura dell’altare argenteo (elaborata dal 1287 al 1456) è costituita da due parti. La parte superiore, poggiante sulla mensa liturgica, ha la foggia di una grande pala architettonica contenente diversi personaggi entro edicole. La figura di Cristo lux mundi è inserita in una mandorla tra cherubini e cori angelici, e proprio in cima alla composizione all’estremità sinistra c’è l’Angelo Annunziante e all’estremità destra l’Annunziata, a ricordare che da quell’episodio del Nuovo Testamento prende senso il tutto. Sotto la figura di Cristo vi è San Iacopo in trono e alla sua destra e alla sua sinistra apostoli e santi.
I due lati sono caratterizzati da due contrafforti angolari sporgenti, a forma di torricelle a base quadrata, con edicole includenti statuette di santi.
La parte inferiore dell’altare è formata da tre pannelli in argento istoriato, che ricoprivano un tempo la mensa liturgica della Cappella sui tre lati in vista. Ricordiamo che questi pannelli, fissati a un supporto ligneo, vengono chiamati “paliotti” dal latino pallium, il mantello che veniva usato inizialmente come rivestimento. Il paliotto frontale è rettangolare e i due laterali sono pressoché quadrati. Il primo è composto da 15 formelle e da un’aggiunta sui lati, risalente agli anni Quaranta del Trecento, formata da tre edicolette per lato contenenti figure di profeti. Il soggetto del paliotto frontale è cristologico, ma contiene anche tre Storie di San lacopo.
Il paliotto laterale collocato sul lato destro (di Francesco Niccolai e Leonardo di Ser Giovanni) è composto da nove formelle dedicate a episodi dell’Antico Testamento. Il paliotto laterale sinistro (del solo Leonardo di Ser Giovanni, 1346 – 1371), sempre composto da nove formelle, è interamente dedicato alle Storie di San lacopo ed è completato da un’iscrizione smaltata in blu che corre alla sua base con il nome dell’autore e la data di esecuzione.
A questa magnifica opera di arte orafa ha lavorato anche il giovane Filippo Brunelleschi, quando non doveva avere più di 22 anni. Venne ingaggiato, insieme a Domenico da Imola, l’ultimo giorno del 1399, con un contratto stipulato a Pistoia per il completamento dei due lati del grande dossale dell’altare argenteo.
Il programma figurativo prevedeva, per i due lati del dossale, due figure di Profeti a mezzo busto per ogni lato, i quattro padri della Chiesa Gerolamo, Ambrogio, Gregorio e Agostino, a figura intera e i quattro evangelisti Giovanni, Matteo, Luca e Marco.
Il giovane “Pippo da Firenze”, non ancora celebre per i suoi capolavori architettonici, si cimentò con due busti di profeti, con la figura intera di un personaggio in piedi, vestito “all’apostolica”, in atto di guardare ispirato verso l’alto e di accingersi a scrivere su un libro (identificato in San Matteo) e con un solenne evangelista seduto in trono (San Giovanni). Poi Filippo si allontanò per affrontare a Firenze l’impegno di modellare la formella col Sacrificio di Isacco per il “concorso del 1401”, indetto per la porta nord del battistero di Firenze.
Anche se la presenza dell’astro nascente del Rinascimento fiorentino fu breve, le figure da lui realizzate a Pistoia dovettero lasciare un’impressione indelebile tra i contemporanei, tanto da tramandarne la memoria ancora nel pieno Cinquecento, quando la raccolse Giorgio Vasari, che menzionò in particolare i due “mezzi profeti”.
Scrive nel suo testo Lucia Gai
“Le quattro figure brunelleschiane, violentemente animate dall’ispirazione divina, creano intorno a sé uno spazio dinamico e profondo, vera e propria metafora della loro grandezza morale: tanto da risultare incommensurabili rispetto al reale formato. Un confronto con altre statuette coeve, di cui si incaricarono Domenico da Imola e gli altri orafi all’opera dal 31 dicembre 1399, caratterizzate da un elegante stile tardo – gotico puramente ornamentale, rende conto della profonda differenza di concezione rispetto agli eroici personaggi evocati da Brunelleschi”.
Nica FIORI Roma 2 Ottobre 2022
“Pistoia Compostela d’Italia. L’altare argenteo di San Iacopo. Avvicinatevi alla bellezza”
Santuario Pontificio della Scala Santa, piazza di Porta San Giovanni 10, Roma
Fino al 9 ottobre 2022 (ingresso libero)