di Michele FRAZZI
Adam Elsheimer pittore dell’impossibile
Prima parte
Non si può certo dire che il nome di Elsheimer susciti all’interno del panorama pittorico del seicento il clamore di un Rubens, di un Rembrandt o di un Claude Lorrain, insomma non è fra quelli che vengono in mente per primi nell’elenco dei maestri di questo secolo, eppure le sue poche opere lasciarono un segno indelebile su tutti questi pittori e forse la loro arte non avrebbe avuto le caratteristiche che noi conosciamo se non ci fosse stato il giovane Adamo Tedesco.
I suoi inizi furono un po’ timidi, il francofortese non era nato con la penna in mano, per usare una espressione vasariana, ma il nostro Adamo era una persona paziente, molto paziente e la sua pittura ce lo dimostra. I suoi primi disegni attentamente lavorati ma forse un po’ accademici (n.1) mettono in evidenza le sue difficoltà soprattutto nella resa del movimento,
ma nonostante questo Elsheimer si appassionò fin da subito all’arte grafica dell’incisione e si mise a studiare con cura le opere di quello che è stato forse in questo campo il migliore, il suo conterraneo Albrecht Durer, il suo primo dipinto ad olio che conosciamo: la Strega (n.2), deriva proprio da un bulino del grande maestro di Norimberga.
Nato a Francoforte nel 1578 ebbe la sua prima formazione presso un pittore di quella città: Philipp Uffenbach che fu anche incisore e seppe trasmettere i suoi interessi per la precisione scientifica: per la matematica, la geografia e l’astronomia al suo talentuoso allievo. In questo periodo Elsheimer iniziò la sua collaborazione anche con Hans Vetter un noto pittore di vetrate e molto probabilmente si deve proprio alla familiarità con questa tecnica il suo perdurante interesse per gli effetti traslucidi di brillantezza che il supporto può conferire al pigmento, questo infatti consente ai colori di risultare più brillanti, questa conoscenza tecnica lo porterà a preferire la pittura su rame, che lui prepara con un fondo chiaro (grigio) (fig. 1) in modo da permettere il massimo grado di riflettanza (fig. 2), fu una ricerca che alla fine lo porterà a sperimentare la tecnica della pittura ad olio realizzata su una superficie di rame argentato. Sia l’attento studio dei materiali utilizzati per dipingere che la precisione scientifica nella descrizione dei particolari saranno caratteristiche costanti della sua pittura, a dimostrazione di quanto la sua giovanile formazione in Germania sia stata fondamentale nella costruzione della sua arte.
Di questo periodo rimangono poche testimonianze di cui la più significativa è certamente il Ciclo della vita della Vergine (fig. 3),
che già mostra l’inizio del suo interesse sia per la precisione nella resa dei dettagli, in questo caso domestici, come una brocca d’acqua, un vaso di fiori, una seggiole con il suo arcolaio ( fig. 4), e per la pittura di paesaggio.
Venezia
L’ opera che generalmente viene accettata come cronologicamente successiva è la Caduta di San Paolo (fig. 5) conservata a Francoforte che Andrews colloca ancora nella fase tedesca del pittore.
A ben vedere però questo dipinto mostra una organizzazione della scena molto più complessa rispetto alla canonica disposizione delle figure poste in primo piano utilizzata nella Vita della Vergine; in questo dipinto invece viene realizzata una attenta distribuzione in profondità dei personaggi che serve a definire e delimitare la ampiezza del campo. La sua abilità nella comprensione e nella gestione del fenomeno dello spazio qui si mostra decisamente più avanzata.
Il netto cambiamento si nota anche nella gestione del movimento, se nel caso dell’opera tedesca le figure erano tutte statiche qui invece l’azione si siluppa in molte diverse direzioni, è quasi come se si fosse passati da una concezione ed una idea di dipinto quasi bidimensionale ad una pienamente tridimensionale dove l’esplosione realizzata dalle fughe dei cavalli serve a mostrare la finalmente raggiunta la libertà di movimento. L’energia che intuitivamente l’osservatore percepisce quando si pone di fronte all’opera è diventata ora il vero fattore unificante degli elementi della rappresentazione.
Anche la maniera di concepire gli effetti della luce è sensibilmente cambiata, se nella fase tedesca questa è molto tenue e quasi impalpabile, qui invece il contrasto tra il chiaro e lo scuro è decisamente più marcato e serve a rafforzare la percezione delle differenti zone in cui è suddiviso lo spazio.
Energia, forte chiaroscuro e movimento sono non a caso le caratteristiche tipiche di un grande pittore veneziano: il Tintoretto, il cui influsso è probabilmente la chiave per comprendere questo radicale mutamento nell’arte del tedesco.
Andrews rifiuta però questo apparentamento chiamando in causa la figura di un suo disegno giovanile (fig.6) per spiegare la posizione prospettica del San Paolo e una stampa di Hans Baldung Grien (fig.7) per spiegare l’idea dei moti dei cavalli, negando così qualsiasi legame con l’Italia.
In realtà i cavalli del Grien appaiono un po’ legnosi rispetto alla rappresentazione realizzata dall’Elsheimer e la loro collocazione nello spazio un pò confusionaria, molto più vicina alla sua composizione è invece la giovanile Caduta di San Paolo del Tintoretto (fig. 8),
forse ispirata da una stampa di Enea Vico/Salviati edita a Venezia nel 1545 (fig.9).
Per quanto riguarda la figura del San Paolo invece, esiste in effetti una certa affinità con il soldato disegnato in età giovanile dal Tedesco, ma la figura dello schiavo miracolato dell’omonimo dipinto del Tintoretto a causa della sua maggior ripidità prospettica mi pare più comparabile (fig.10). Decisamente più inspiegabile ma del pari concreta è la vicinanza di questo dipinto con quella di un vero esperto nella rappresentazione dei cavalli e dei cavalieri, stiamo parlando di un pittore che come Adamo purtroppo avrà vita breve e la cui arte è ancora avvolta da alcuni punti oscuri e per certi versi da un alone di mistero, si tratta di Jacopo Zanguidi detto il Bertoja. Se esaminiamo il suo studio di cavalli imbizzarriti e con gli occhi spiritati (fig.11) potremo avvertire non soltanto la stessa energia furente che si vede nell’opera di Elsheimer, ma anche che vi sono raffigurate al centro le stesse due teste di cavallo che stanno in primo piano sulla sinistra nel suo dipinto.
Bertoja fu quasi uno specialista di queste animate rappresentazioni e anche il cavallo del suo Perseo e Andromeda (fig.12) potrebbe essere accostato al cavallo imbizzarrito sulla destra nel dipinto del tedesco.
Ulteriori apparentamenti si potrebbero fare con poi i cavalieri affrescati nelle battaglie delle gesta Rossiane (Battaglia di Rovereto) (fig.13), o con le lotte fra animali di Palazzo Borri, ma l’analogia più inspiegabile corre tra il San Paolo caduto dell’Elsheimer e la esatta postura anche delle braccia di questo disegno di un cavaliere anch’esso disarcionato del Bertoja (fig.14).
Rimane per il momento indecifrabile la causa tutte queste affinità, l’unico filo che lo lega alla corte Farnese di cui il Bertoja era il pittore, è il fatto che la sua opera Il Contento fu di proprietà Farnese e che secondo il Witte Cardinale Odoardo fu un suo patrono (n. 3), si può anche aggiungere che a Parma esisteva una solida tradizione per il collezionismo nordico sia a livello ducale che nelle collezioni private, come quella Sanvitale che possedeva un dipinto realizzato dal Bril e Rottenhammer nel 1600 (n. 4) ed infine che anche lo Zanguidi fu un incisore della cui attività purtroppo romangono tracce esigue, ma si tratta solo di indizi, di possibilità.
Insomma la Caduta di San Paolo dell’Elsheimer presenta troppi legami con l’arte italiana per pensare che non sia stata realizzata in Italia, probabilmente all’inizio del periodo veneziano dando così ragione in questo caso al Waddingham (n. 5). A questo dipinto viene usualmente associata un’altra opera dell’Elsheimer dalle stesse dimensioni ( probabilmente un pendant ) pure conservato al museo di Francoforte avente per soggetto il Sogno di Giacobbe (fig.15).
In questo caso l’influenza nordica sull’opera è fuor di dubbio (e per questo motivo probabilmente è stata realizzata prima dell’altra), infatti l’idea pare essere stata ripresa da un bulino del 1585 realizzato dal fiammingo Gerard de Jode (fig.16) (scuola), che le si avvicina sia per l’abbigliamento di Giacobbe che per la centralità e grandezza sua e dell’albero sotto cui dorme come si rileva anche nel dipinto.
Una delle radici di quest’opera dunque a quanto pare è fiamminga, a questa notazione si deve aggiungere che nel dipinto anche la finezza del del fogliame degli alberi e la resa delle montagne azzurre in lontananza mostra un idioma che trae origine anch’esso nei paesi bassi, appare molto probabile a questo punto che sia già avvenuto il contatto con Hans Rottenhammer.
Il tedesco aveva la bottega a Venezia e a Roma aveva collaborato con Jan Bruegel dei Velluti e Paul Bril, di cui vediamo qui per confronto un’opera realizzata a quattro mani (fig.17) conservata al Mauritshuis, non è improbabile dunque che proprio nella sua bottega Adam abbia potuto vedere gli esempi di Bril e Bruegel (vedi n. 4).
Già perché il nostro Adamo appena ventenne, nel 1598 circa, aveva deciso di compiere un viaggio di perfezionamento in Italia, un viaggio che però nel suo caso non terminerà più, infatti egli non fece mai ritorno in patria, Adam rimarrà per sempre in Italia. Come accadde al suo predecessore: Durer, egli raggiunse in un primo momento Venezia, dove rimase affascinato dalla pittura lagunare, soprattutto dal Tintoretto; in questo periodo per mantenersi lavorò con Hans Rottenhammer anch’egli specializzato nella pittura su rame e che talvolta eseguiva opere di collaborazione dipingendo le figure nei paesaggi realizzati a Roma da Paul Bril e Bruegel.
Non sappiamo se a questa collaborazione partecipò anche Adam, ma appare piuttosto probabile, esiste infatti una stampa di Hollar tratta da un perduto dipinto di Elsheimer: Mercurio ed Erse, dove le figure sono identiche a quelle realizzate in un dipinto di Bril dello stesso soggetto conservato nella Devonshire Collection (vedi n. 4), così come evidentemente devono esistere dei dipinti realizzati dal tedesco assieme a Rottenhammer, il Getty Provenance index segnala alcuni quadri a quattro mani fatti da Elsheimer assieme a Rottenhammer o al Bril.
Al periodo veneziano deve appartenere anche il giovanile Battesimo di Cristo (fig.18) che pare ideato, almeno nelle due figure centrali, sul modello dello stesso soggetto del Tintoretto conservato nella Chiesa di San Silvestro a Venezia (fig.19)
che fa leva sulla muscolare energia dei protagonisti, in quest’opera si evidenzia da parte di Elsheimer un’attenta gestione della luce che si realizza nel contrasto tra il primo piano (sovente più scuro) ed alcune zone di evidente chiarore che catturano l’attenzione dello spettatore conducendolo sulla strada dell’apertura spaziale verso il fondo. Questa tecnica di contrasto tra zone chiare chiare e scure viene usata dal Tintoretto soprattutto nella sua età più matura e nel battesimo la si può scorgere nella differente illuminazione delle due figure.
La gloria di angeli che fa il girotondo attorno alla luce che scende dal cielo sembra invece ispirata dalle analoghe glorie di angeli di Paolo Veronese come quella della sua Adorazione dei pastori ( fig.20)
o alle rielaborazioni del Rottenhammer.
La meditazione sulle opere del Caliari non si limita però a questo, è soprattutto la conquista del gusto del colore che in quest’opera di Elsheimer prende vita, il compiacimento per la brillantezza delle stoffe preziose e dei colori splendenti che caratterizza il Veronese qui si trasmette al giovane tedesco che la adotta anche nella contemporanea rappresentazione della Sacra famiglia con San Giovanni (fig. 21).
Entrambe queste opere oltre alla somiglianza dei colori hanno una organizzazione strutturale abbastanza simile e sono entrambe centinate e per questo probabilmente appartengono allo stesso periodo. Il paesaggio delle due composizioni è però sempre di ispirazione nordica sia nella modalità esecutiva che nella struttura a valli scoscese, cascate e montagne che si perdono in lontananza popolate da foreste di bellissimi pini.
Roma
Ancora al confronto con l’arte veneta appartiene invece il San Cristoforo (fig.22)
la cui gestualità riprende in controparte la elegante postura ideata per lo stesso soggetto dal Tintoretto (fig. 23) e per questo motivo potrebbe anche appartenere al momento veneziano o essere la prima realizzazione romana.
Del formidabile lagunare Elsheimer non adotterà solo i modelli visivi ma anche la tecnica per lo studio della composizione che anche lui come il Robusti realizzerà per mezzo dei modellini di cera (n. 6).
Pure intriso di influenza veneta è il Diluvio (fig.24) che nasce da una attenta riflessione sulle opere dei Bassano sicuramente sul Diluvio e sull’Entrata degli animali nell’ Arca (fig.25) dove si nota la curiosa presenza del tacchino che nel dipinto di Elsheimer è posizionato sulla destra, il tedesco pare qui però del tutto consapevole anche del Diluvio di Michelangelo (fig.26) sia nella impostazione a digradare del taglio della scena, sia nel posizionamento dell’albero a sinistra su cui salgono per cercare scampo i sopravissuti.
Se osserviamo attentamente possiamo notare altre analogie: nell’opera di Elsheimer la figura nuda posta più in alto seduta su un ramo dell’albero riprende quella che si trova seduta ai piedi dell’albero nell’affresco di Michelangelo, mentre quella più in basso che sta salendo sulla pianta la ritroviamo nella Sistina che invece sta salendo sull’isolotto (fig.27) su cui è stata innalzata una tenda improvvisata che nel dipinto dell’Elsheimer vediamo spostata in alto a sinistra.
Questo confronto con le opere dei Bassano rappresenta per Adam l’occasione più propizia per familiarizzare con le scene notturne, di cui questa famiglia di artisti sarà una dei più affermati divulgatori, innumerevoli sono i loro notturni dall’innegabile fascino che si impresse anche nella mente di el Greco ( ragazzo con tizzone), e che non mancò di toccare anche il tedesco.
Elsheimer sperimenta la suggestiva luce dalle fiaccole che illuminano l’oscurità nella Fuga da Troia ( fig.28), un dipinto che a ben vedere presenta la stessa organizzazione spaziale del Diluvio e che dimostra la conoscenza di un’altra opera romana: l’affresco vaticano dell’Incendio di Borgo di Raffaello, il che rende davvero probabile che questi due dipinti siano stati realizzate all’inizio del periodo romano (n. 6).
Simile per intonazione a questi dipinti è anche il bivacco del naufragio di San Paolo nell’isola di Malta (fig.29),
illuminato dal suggestivo fuoco acceso per riscaldarsi, quest’opera pare però più semplificata rispetto alle prime due e forse le precede, tutte le opere fin qui elencate hanno una caratteristica comune sono dominate dallo studio della luce notturna. Le indimenticate radici tedesche emergono ancora però prepotentemente nella descrizione della natura e fanno la loro comparsa con tutta la loro forza nelle Tre Marie al sepolcro ( fig 30),
decisamente in debito con i lunghi filamenti di foglie e muschi pendenti e i pini neri che popolano i paesaggi di Altdorfer, come avviene nel caso della sua Deposizione e della Resurrezione (fig.31).
La collaborazione con Rottenhammer, seppure non troppo lunga, non rimarrà però senza conseguenze sulla pittura del francofortese soprattutto per quanto riguarda la maniera di rappresentare il paesaggio che come abbiamo visto risente anche della tradizione pittorica fiamminga, nel caso del Rottenhammer in aggiunta vengono introdotti frequentemente elementi architettonici antichi probabilmente eredità delle vestigie classiche studiate durante il soggiorno a Roma. Forse spinto dai racconti di Rottenhammer sulle antichità romane o dai rapporti col Bril sul cui appoggio poteva sicuramente contare, alla fine Adam si risolse a fare il gran passo, il viaggio verso la città eterna dalla quale non si muoverà mai più, la prima notizia della sua permanenza risale all’aprile del 1600.
Il primo dipinto dove si fanno veramente evidenti i frutti del soggiorno romano è il Martirio di San Lorenzo (fig.32);
il paesaggio infatti ora assume un aspetto sensibilmente differente da quelli di tipo nordico realizzati fino a questo momento ed è completatamente disseminato di monumenti antichi, questo fatto mette allo scoperto tutta l’ansia di dimostrare che finalmente si è a contatto con questi resti. Nel dipinto, in primo piano a testimoniare questo cambiamento campeggia una statua di Ercole giovane, probabilmente ispirata alle statue che erano nelle proprietà del Marchese Vincenzo Giustiniani e che ora sono conservate alla Fondazione Torlonia (fig.33) e al Metropolitan, anche il Martirio di Santo Stefano (fig.34) risente di questa influenza infatti il carnefice che domina la parte destra del dipinto è ripreso da una statua antica di Marsia (vedi n. 6), in entrambi i casi poi la parte superiore del dipinto è dominata da un bellissimo angelo che nel caso di San Lorenzo è avvolto in morbide vesti già barocche. Rubens avrà modo di studiare attentamente il Martirio di santo Stefano di cui copierà in un disegno la parte sinistra.
Sia in questo ultimo caso come anche nel Martirio di San Lorenzo possiamo apprezzare quanto la maniera con cui Rottenhammer caratterizza il paesaggio influenzi ancora Elsheimer, confrontandolo con questo particolare tratto dalla sua Fuga in Egitto (fig. 35), per tutte le ragioni che abbiamo appena elencato i due dipinti molto probabilmente furono realizzati a distanza ravvicinata. Nel 1600 l’ambiente artistico romano sta raggiungendo l’apice della sua creatività, i fermenti della nuova epoca barocca sono attivamente presenti dappertutto, Annibale Carracci già soggiorna da qualche anno in città e le sue riflessioni sull’arte antica adornano palazzo Farnese, da lì a poco assieme alla sua scuola inizierà a mettere in cantiere un nuovo concetto di paesaggio di ispirazione classica. Anche il Caravaggio è già presente e la sua rumorosa e volitiva presenza si fa certamente sentire, ma non ha ancora espresso apertamente tutte le sue potenzialità, cosa che avverrà proprio in quel torno di tempo, nel 1600, quando verranno esposte al pubblico le tele della Cappella Contarelli; l’anno successivo poi farà la sua comparsa in città anche Pieter Paul Rubens.
Elsheimer dunque fin dall’inizio del suo soggiorno si trovò circondato dei migliori frutti di quell’epoca e subì per primo il fascino del tenebrismo caravaggesco che si avverte pienamente nella sua Giuditta e Oloferne (fig.36): la ambientazione notturna, il realismo della scena, come anche l’espediente della tenda che incornicia l’assassinio, dichiarano il legame esistente con il naturalismo del Merisi.
Possiamo però evidenziare una prima importante differenza rispetto a quest’ultimo: la estrema precisazione delle caratteristiche della camera in cui si sta svolgendo la violenza, una cosa che al contrario non avviene in Caravaggio, mentre una seconda differenza riguarda l’illuminazione la cui tipologia è palesata e realizzata con estrema attenzione dal lume di una candela che sfiora gli oggetti rivelandoli in penombra.
Insomma in sintesi a differenza del Caravaggio il contesto è perfettamente definito in tutti i suoi particolari, e non a caso la bellezza di questo dipinto stupì anche Rubens che lo fece suo e lo utilizzò per realizzare una sua versione del tema. Il ricordo di Rottenhammer è ancora presente per un ultima volta nell’altarolo di Francoforte con le Storie della vera croce ( fig.37),
dove le caratteristiche del paesaggio sono le stesse del S. Stefano e del San Lorenzo; il pannello centrale con l’Esaltazione della croce, mostra invece le caratteristiche strutturali dell’Incoronazione della Vergine conservata alla National Gallery di Londra (sempre del Rottenhammer), anche nella scelta dei personaggi in primo piano (vedi n.6). L’altarolo fu acquistato da Cosimo II de Medici per le collezioni Granducali, e le vicende relative alla vendita ci fanno capire quanto fosse stimato il pittore a quel tempo.
E’ Agostino Tassi il famoso pittore romano di paesaggi e fervente ammiratore del tedesco a sollecitarne nel 1612 l’acquisto dal collezionista spagnolo Juan de Perez che in prima battuta chiedeva la cifra astronomica di 3.000 scudi, così che data la richiesta alla fine la cosa si concluse con un nulla di fatto. Sette anni dopo l’ambasciatore fiorentino a Roma Guicciardini segnalò al Granduca che il Perez si trovava in difficoltà economiche e che quindi molto probabilmente avrebbe ridotto le pretese, ed infatti il quadro fu acquistato per mezzo dei buoni uffici del Cardinal del Monte che pure possedeva due suoi rami, per la cifra finale di 800 scudi (7), che comunque rappresenta una somma altissima, tenendo conto che la Madonna dei Palafrenieri del Caravaggio fu pagata dal Cardinal Borghese cento scudi, o per fare un altro esempio la Cena in Emmaus dei Mattei 150 scudi.
Dall’esame di tutte le opere fin qui elencate appare chiara l’attitudine dell’Elsheimer di definire ogni più piccolo particolare, una vocazione queste da vero miniaturista che si occupa di precisare ogni cosa con una esattezza inifinitesimale, in Adam è evidente l’aspirazione e la vocazione di ricostruire con la massima accuratezza l’ambiente in cui si svolge la scena anche se esso è il più delle volte immaginario ed è per questo motivo che ho usato il termine ricostruzione. Questa sua velleità fa si che i suoi dipinti siano completamente riempiti di dettagli, molto raramente si dà spazio a semplici campiture di colore, anche nel caso del cielo a cui viene generalmente riservato poco spazio, esso non è quasi mai uniforme ma sempre vibrato ed in movimento. Questa inclinazione potrebbe tradursi in una sorta di accumulo irrazionale di elementi ma questa è una cosa che in Elsheimer non accade mai perché la sua disposizione è sempre ben ordinata e predeterminata sia nel primo piano che nel successivo digradare degli elementi verso l’orizzonte, per cui non si ha mai la sensazione di confusione.
Elsheimer raggiunge in questo modo un traguardo unico, quello di mettere insieme la visione analitica della realtà, che caratterizza i dipinti del nord Europa, con la visione sintetica che è invece tipica dell’Italia; le sue opere quindi si possono apprezzare sia per la scioltezza della composizione nel suo insieme, che per la perfetta resa di ogni dettaglio quando ci si concentra sulle singole parti, egli dunque è in grado di raggiunere questo punto di equilibrio straordinario che a nessuno prima di allora era mai riuscito (salvo forse ad Antonello da Messina). Cosicchè i suoi dipinti possono essere ingranditi a piacimento senza nessun problema, senza nessuna perdita di coeranza e questa, come diceva Federico Zeri, è una prerogativa dei grandi pittori. In effetti se non si sapesse di essere in presenza di piccoli rami, per la loro complessità si avrebbe piuttosto l’impressione di essere a contatto di opere grandi, molto grandi, proprio per la capacità dell’artista di mantenere in uno spazio piccolo un ordine anche nella organizzazione di scene molto complesse, e questo è uno dei motivi forse per cui fu così apprezzato da Rubens.
Una volta calata l’eccitazione e euforia del primo contatto con questo mondo nuovo il nostro Adamo decise che Roma era il posto adatto a lui e pensò di sistemare la propria vita accasandosi con una sua connazionale di origini scozzesi Carla Antonia Stuarda, il matrimonio avvenne nel 1606 e la coppia andò ad abitare in via del Babuino, testimoni di nozze furono il pittore Paul Bril e Johann Faber. Quest’ultimo anche lui tedesco fu un personaggio di rilievo nel mondo scientifico romano, medico personale del Papa, professore di botanica e lettore di anatomia alla Sapienza, fu anche direttore dell’orto botanico, cancelliere della Accademia dei lincei, amico e attivo collaboratore del suo fondatore Federico Cesi (n. 8) oltre che amico di Galileo Galilei, fu agente dei potenti banchieri Fugger ed in rapporti con Scipione Borghese, Francesco Barberini, Fabio Colonna, Cassiano Dal Pozzo.
Oltre che collezionista d’arte, si interessò anche di scienze ottiche e fu lui a dare il nome di microscopio a quell’oggetto che fino ad allora Galileo aveva chiamato l’Occhialino; fu ancora lui poi ad essere incaricato da Johann Gottfried von Aschhausen, principe della sua città natale, Bamberga, di procuragli l’agognato telescopio in occasione del suo viaggio in Italia nel 1612. Nel 1608 si recò a Napoli per conto del papa Paolo V Borghese e vi rimase due mesi durante i quali ebbe modo di conoscere Tommaso Campanella, oltre a Giovan Battista della Porta, il naturalista Fabio Colonna, lo scienziato-astronomo Colantonio Stigliola, il medico Ferrante Imperato e cioè tutti i membri del futuro ramo napoletano della Accademia dei Lincei con cui Federico Cesi iniziò a tessere i rapporti a partire dal 1604 data del suo viaggio a Napoli (9).
Faber introdusse sicuramente Adam nella cerchia delle sue amicizie in campo scientifico e negli esclusivi ambienti romani, molto probabilmente si devono alle sue conoscenze ed ai suoi consigli le frequenti inclusioni delle diverse precise specie vegetali nei dipinti del Tedesco, Faber era un esperto anche in animali e piante esotoche infatti scrisse l’ Animalia Mexicana e il Mexicanarum plantarum imaginibus impressis libellum e collaborò assieme ad altri alla stesura del Tesoro messicano.
Michele FRAZZI Roma 23 Ottobre 2022
Note :