di Sergio ROSSI
Alfio Mongelli: Oxigen
Presso la sede della Società Dante Alighieri, in occasione dell’anno della cultura e del turismo Italia-Cina è stato presentato il libro del volume Oxigen, dedicato all’omonima opera di Alfio Mongelli allestita all’ingresso del Wuhan Planning & Design Institute di Wuhan, polo di ricerca d’eccellenza per la creatività contemporanea [fig.1]: e nell’occasione rimarrà esposto fino al 4 novembre, presso il cortile di Palazzo Firenze, il bozzetto preparatorio della scultura.
Con questa iniziativa la Società Dante Alighieri, anche grazie all’attività instancabile del suo segretario generale Alessandro Masi, conferma di non provvedere solo ad assolvere alle sue attività istituzionali, cioè di tutelare e diffondere la lingua italiana nel mondo, ma si qualifica anche come una delle più importanti nostre istituzioni culturali a livello internazionale.
Seguo da sempre con interesse, grazie anche al tramite della comune amicizia con un grande pittore come Ennio Calabria, l’attività di Alfio Mongelli, anche se non avevo finora avuto l’occasione di scrivere nulla sull’artista, cosa cui questo evento mi consente di rimediare. Come ho notato di recente:
«Dipingere o scolpire una figura umana, è attuale tanto quanto esporre una installazione piena di sassi o carta straccia. Così come un dipinto (o una scultura) completamente astratti possono esprimere una profonda ribellione contro la società contemporanea almeno quanto se non più di un’opera di forma e contenuto realistici. Si pensi ad esempio a Pollock e alla sua critica radicale nei confronti dell’alienazione capitalistica del suo tempo, arte dunque anch’essa a suo modo ‘impegnata’, almeno quanto i murales di Diego Rivera. E non sarebbe poi molto parziale ricondurre questi ultimi, così pieni di simboli ancestrali, fermenti magici, allucinazioni poetiche, richiami alla tradizione Maya, entro la troppo semplicistica etichetta di “figurativi”? L’arte vive del resto del suo indissolubile rapporto tra mente e mano, tra lavoro e intelletto».
Pertanto la vera distinzione non può più porsi tra artisti figurativi e artisti astratti o concettuali, ma tra coloro che sanno usare insieme la mente e la mano, qualsiasi tipo di arte facciano e coloro che non sanno farlo. E indubbiamente un artista come Alfio Mongelli, questo sa farlo molto bene. Del resto il nostro scultore un esordio a suo modo “figurativo” lo ha avuto anche lui, come testimonia una delicata (e forse oggi dimenticata) opera del 1963 assai bene descritta da Domenico Guzzi nel 2002:
«L’attuale esperienza di Alfio Mongelli, vòlta ad una resa dinamica di forme geometricamente ideali ed autosufficienti nello spazio (scultura, che pur si serve di materiali diversi e anch’essi tesi ad una formulazione plastica che inerisca ad un sotteso ideologico) non ne farebbe supporre l’esordio negli anni Sessanta con il nudo Estasi. Tempo d’esordio non privo di richiami e di riferimenti. Si dice, ad esempio, di certa evocazione simbolica che si scorge fin dal titolo e che, nell’oggettività, trova conferma nell’essere immagine acefala e senza braccia. Quasi un frammento. Inarcato, il corpo, a determinare una forma, ed una tensione di volumi»
e che rivela una vocazione alla sintesi ed alla ricerca degli archetipi che ritroveremo nel Mongelli più maturo.
Per comprendere appieno la sua arte dobbiamo comunque andare molto indietro nel tempo e affidarci ad un grande artista e teorico del Rinascimento da Mongelli molto amato, cioè Leonardo da Vinci ed in particolare a quanto egli sostiene a proposito del rapporto tra arte e scienza. Leonardo, infatti, non si accontenta di porre la pittura (e la scultura) allo stesso livello delle scienze sperimentali, ma considera le prime nettamente superiori alle seconde in virtù del fatto che esse sono un dono innato, quasi una “similitudine di scienza divina”, mentre tutte le altre scienze, comprese le matematiche, possono essere apprese da chiunque voglia farlo:
«Fra le scienze inimitabili la pittura è la prima; questa non si insegna a chi natura nol concede, come fan le matematiche… E se il geometra riduce ogni superficie circondata da linee alla figura del quadrato et ogni corpo alla figura del cubo, e l’Aritmetica fa il simile co’ le sue radici cube e quadrate, queste due scientie non si estendono se non alla notizia della quantità continua e discontinua; ma della qualità non si travaglia, la quale è bellezza delle opere di natura et ornamento del mondo».
E come notava più di recente Giulio Carlo Argan la differenza tra arte e scienza consiste nel fatto che per quest’ultima 2+2 deve necessariamente fare 4, mentre per la prima può fare 4, un cavallo essere blu e un tavolo reggersi anche senza gambe, dal momento che l’arte è (e in ogni caso dovrebbe essere) il terreno assoluto della libertà.
Queste considerazioni, a mio avviso, si adattano molto bene all’arte di Mongelli, come, per altri versi e con perfetta sintesi, ha già osservato Rita Levi Montalcini:
«Il rigore fisico-matematico che caratterizza le importanti opere di Alfio Mongelli è esaltato dalla libertà espressiva che rifiuta ogni schematismo scientifico. L’unità e la sintesi raggiunte nelle sue creazioni, siano queste grandi sculture realizzate in acciaio inox o espresse in una grafica di forme geometriche, mettono in evidenza l’eccezionale personalità dell’artista, tra le più rappresentative dell’arte contemporanea».
Epifanie lisce o cromate, le sue, contro forme geometriche primarie, cerchi, semicerchi, cubi, rettangoli o tagli di piramidi assemblati come in un incastro imperfetto in cui il vuoto occupa lo stesso spazio (mi si perdoni il gioco di parole) del pieno; forme che si sarebbero espanse con gli anni, a formare la base di una ricerca fondata sui concetti di proliferazione, esplosione, rigenerazione e ascensione della materia e che ci riportano nuovamente al rapporto tra “quantità” e “qualità”, arte e scienza, sacro e profano. Perché tra la vitalità della natura e quella dell’artista non vi è alcuna sostanziale differenza; e perché tra la fede laica che induce a creare e la pulsione interna che spinge la natura a riprodursi incessantemente il confine è solo formale, incarnato appunto nell’opera d’arte.
Mi riferisco in particolare alle opere del periodo 1970-80 in cui è più evidente il richiamo al cubismo, specialmente nella versione personalissima che ne dà Léger. Ed ecco allora Cerchio iscritto nel quadrato in acciaio smaltato a fuoco o Intersezione di due circonferenze in acciaio inox, entrambe del 1970, come Il teorema di Pitagora, ancora in acciaio smaltato a fuoco che ci riporta alla bellezza assoluta delle pure forme geometriche [fig.2], così come il poco posteriore Tronco di cono in acciaio al carbonio [fig.3], pura ascesi mistica che a me ricorda il Brunelleschi della Cappella de’ Pazzi o il Beato Angelico del Convento di San Marco.
Siamo così tornati al tema del rapporto tra arte, scienza e fede, da Mongelli trattati esplicitamente in una scultura come Dio, del 1978, una delle più felici di questi anni, in cui le lettere D I O si srotolano come un enorme nastro d’acciaio[fig.4], perdendo ogni riferimento materiale al loro significato esplicito ma mantenendo una loro profonda valenza spirituale, come osserva anche un critico d’arte apparentemente lontano da ogni tentazione “idealistica” quale è Pierre Restany che riconosce che l’opera di Mongelli non debba essere vista attraverso il puro riferimento formale:
«Esiste come un subconscio collettivo, attaccato in profondità alla struttura razionale: e questo al di là della ragione che crea il vero discorso: quello che può parlare a tutti noi è quello che ci dà anche la possibilità di adoperare una dimensione di distacco nei confronti delle apparenze immediate della scultura e dei suoi componenti logici. La formula diventa spazio e fra il segno e la formula tutti i sogni e le speranze, tutti gli impulsi poetici sono possibili. Trovo in queste formule-spazio che sono in realtà degli spazi-formulati, un’umanità forte, diretta e spontanea che è la caratteristica essenziale dell’artista».
Poco prima di Dio, nel 1974, in Enea, in acciaio inox, è sempre una lettera, questa volta una E disposta al contrario, a fare da base ad un incastro ascensionale che culmina in una aguzza piramide e prelude ad una serie di opere come Il volo, inox colorato del 1978 in cui Mongelli introduce un dinamismo che sembra quasi proteso a sfidare le leggi di gravità in una riproposizione futurista della materia in movimento.
Ma attenzione a non confondere queste ricerche con le poetiche dell’Informale. Infatti, come ricorda G.C. Argan ne L’Arte moderna. 1770-1950,
«esse, che tra il 1950 e il ‘60 prevalgono in tutta l’area europea e in Giappone, sono indubbiamente poetiche dell’incomunicabilità. Non è una libera scelta; è la condizione di necessità in cui l’arte, che tutta una tradizione culturale aveva posta come forma, viene a trovarsi in una società che svaluta la forma e non riconosce più nel linguaggio il modo essenziale della comunicazione».
Ed allora l’arte di Mongelli, così intrinsecamente “comunicativa”, alla luce del passo arganiano, assume il valore preciso di una radicale opposizione rispetto alle poetiche informali e all’ideologia del negativo che ne è la logica conseguenza. In lui, d’altro canto, l’elemento razionale e quello fattuale procedono di pari passo, essendo sempre la scultura, fin dai tempi di Michelangelo, sublimazione intellettuale della fatica artigianale o della tecnologia, come nel caso del nostro artista, le cui opere, a partire dagli Ottanta, si orientano sempre di più verso un dinamismo sfrenato eppur sempre avvolgente.
E mi riferisco ad Ossigeno, in acciaio inox [fig.5], del 1980-87 dove questa volta sono i numeri a creare forme infinite, mentre le lettere tornano protagonista in DNA del periodo1986-88 [fig.6]. In Pax del 1980-85 in acciaio inox speculare, si ritorna alle origini di forme geometriche pure, cerchio, quadrato, triangolo, che sembrano voler lacerare lo spazio circostante più che avvolgerlo, mentre I valori dell’uomo, del 1990 è come un enorme nastro mosso dal vento [fig. 7] e Uomo 2000 del 1994 sembra voler sfidare le leggi di gravità.
Punto interrogativo, del 1988 e sempre in acciaio inox speculare, è una sorta di semicerchio proteso nel nulla, che racchiude lo spazio più che lacerarlo e inaugura una serie di opere dalle forme avvolgenti e sinuose, quasi ripetute all’infinito, che caratterizzano la sua produzione più recente. In esse il rapporto tra scultura e spazio circostante diventa un elemento fondamentale, tanto che per Mongelli conierei il termine di “arredatore di esterni”, nel senso di uno scultore-architetto che abita letteralmente i luoghi dove inserisce le sue opere.
Più di recente, come osserva Angela Grazia Arcuri:
«L’occhio lungo della Cina si è letteralmente appropriato di questa eccellenza della cultura italiana quando, nel 2008, ha voluto una sua opera nel Villaggio dei Giochi olimpici di Pechino. Il suo spettacolare “H2O”, formula dell’acqua (in acciaio inox, 20 metri di lunghezza per 6 di altezza e 5 di profondità), resta a carattere permanente nell’area antistante l’ingresso della piscina olimpica quale simbolo della creatività italiana nel mondo [fig.8]. Qui la materia, l’acciaio appunto, riesce a dispiegare la fluidità dell’elemento acqua con la reiterazione dei moduli che si moltiplicano in un infinito immaginario, significando l’impossibile marginalità di quel liquido che dà vita ad ogni cosa sulla terra e nel contempo ogni cosa devasta con la sua energia distruttrice».
Veniamo così ora a ribadire lo speciale rapporto che Alfio Mongelli ha con la Cina: nel 2007 ha esposto preso l’Università di Tsinghua, Academy of Art and Design, nella seconda edizione della rassegna internazionale “Arte e Scienza”; nel 2008 è stato selezionato tra i venti artisti di livello mondiale in rappresentanza dell’arte italiana alle Olimpiadi di Pechino, come ho appena ricordato; nel 2010 ha partecipato, nell’ambito dell’Expo di Shangai, alla “Sculpture for riverside landscaping belt and the site of word”. E infine, nel novembre del 2019, poco prima dell’inizio della pandemia egli ha inaugurato a Wuhan, proprio Oxigen, ora esposta in permanenza all’ingresso del Wuhan Planning & Design Institute. Si tratta di una grande composizione mobile in acciaio, una scultura vivente che interagisce con lo spazio circostante, l’architettura, l’assetto urbanistico e la natura.
D’altra parte questo successo di un eminente artista italiano in Cina non deve stupire e si inserisce in quel fenomeno di enorme interesse che l’arte e la cultura italiana riscuotono presso i giovani cinesi, se è vero come è vero che dal 2004 ad oggi la presenza degli studenti cinesi in Italia è aumentata di venti volte e si è orientata, come è ovvio, soprattutto verso le nostre Accademie di Belle Arti dove, dal Salento a Roma, stando agli ultimi dati, circa uno studente su quattro proviene per l’appunto da quel grande Paese.
Mongelli comunque ha continuato imperterrito anche in questi ultimi anni nello sviluppare la sua ricerca dinamica e poetica con opere sempre più impegnative che non posso citare nel dettaglio per motivi di spazio ma che non fanno che confermare il suo inesauribile istinto creativo. Ma chi è in definitiva il nostro artista: un poeta, uno scienziato, un demiurgo, un intellettuale, un artigiano dell’acciaio? Direi tutte queste cose insieme perché «sicuramente la sua – come osserva ancora l’Arcuri – è una tensione cosmica che sopravviene da un’introspezione, derivante in qualche modo da quell’accezione espressionistica che anziché al passato si rivolge al presente-futuro e che si legge nella trascendenza materica della lega inox, rivelandone una poetica che va, al di là del razionale della formula, a calarsi in un territorio metafisico». Per chiudere proprio con Oxigen da cui siamo partiti, voglio ripetere le parole di Alessandro Masi e condividere la sua speranza
«Oxigen è un manifesto alla vita e alla libertà: è la speranza incarnata di un pianeta che possa tornare ad essere finalmente vivibile e creativo».
Sergio ROSSI Roma 23 Ottobre 2022