di Natale MAFFIOLI
Filippo Comerio (Locate Varesino, 1747 – Milano, 1827), e presenze prestigiose a Lurano [1]
La vecchia[2] chiesa parrocchiale di Lurano non è mai stata menzionata nei documenti antichi sia locali che ecclesiastici ma successivamente è ricordata per i molteplici interventi di qualificazione per gli ampliamenti e accrescimenti di nuovi elementi strutturali e decorativi[3].
Certamente sono note, in modo particolare, a tutti gli abitanti di Lurano le date che hanno segnato i momenti salienti della sua storia, dalla sua fondazione fino a quando il titolo di San Lino papa e le sue funzioni liturgiche sono state trasferite in una nuova chiesa[4] e il vecchio edificio fu alienato a favore del comune di Lurano. La parrocchiale primitiva fu consacrata il 10 ottobre 1542 dal vescovo Giovan Antonio Melegnano suffraganeo di Ippolito II d’Este, cardinale arcivescovo di Milano[5], ma di certo la sua fondazione risale a diversi anni prima, in origine faceva, dunque, parte della diocesi di Milano e dal 1787 fu aggregata a quella di Bergamo. Negli anni che seguirono, l’edificio sacro fu sottoposto a sporadici interventi, anche importanti, ma che non ne hanno alterato l’impianto primitivo, fino al 1735 quando furono aggiunte le due navate laterali. Successivamente l’edificio mantenne integra la sua struttura architettonica; l’ultimo intervento significativo fu attuato agli inizi del Novecento quando si aggiunse il portico che ne ampliò la facciata (fig. 01).
Probabilmente fu tra la fine del Settecento e i primi anni del secolo successivo, che si assistette ad un arricchimento eccezionale dell’apparato decorativo dell’interno della chiesa grazie all’intervento di un pittore di qualità: Filippo Comerio[6]. Il Comerio aveva già operato nel vicino paese di Arcene[7], nel periodo che va dal 1797 al 1798 e forse, ancora verso il 1804, dove aveva lavorato di affresco realizzando i medaglioni del presbiterio, i riquadri laterali lungo la navata principale e approntò una tela il San Michele Arcangelo che sconfigge il maligno, per l’altare maggiore. Sul finire dello stesso secolo il pittore operò pure nella vicina parrocchiale di Spirano affrescando cinque medaglioni della volta con raffigurati i fatti dei santi patroni Gervasio e Protasio[8]. È’ proprio questo il momento in cui il pittore, terminato, o sospeso, il lavoro ad Arcene e concluso il ciclo di Spirano, probabilmente, si trasferì nella vicina località di Lurano[9] per decorare, come si diceva, le pareti della parrocchiale.
Filippo Comerio era nato a Locate Varesino, il primo maggio del 1747. Iniziò ad interessarsi di pittura a Bologna sotto la guida di Vittorio Maria Bigari, in seguito si trasferì a Roma dove completò la sua formazione artistica. Passò poi a Faenza, dove realizzò diverse tele. In questa città si dedicò alla decorazione di maioliche e realizzò scenette a punta di pennello in nero porpora o ruggine oppure con un colore singolare detto verde Comerio. Tornò in Lombardia dove frequentò soprattutto il bergamasco al servizio delle fabbricerie di campagna; come si accennava sopra, alla fine degli anni novanta del settecento dipinse affreschi per la chiesa di Arcene e fu in questo periodo che realizzò gli affreschi della chiesa parrocchiale di Spirano[10] e, con tutta probabilità, anche in quella di Lurano. Si trasferì successivamente a Milano dove morì il 2 settembre1827.
Focalizzeremo ora la nostra ricerca soprattutto sulle pitture della chiesa luranese. Gli affreschi dell’edificio sacro sono pressoché sconosciuti, non si sono trovati nell’archivio parrocchiale, e neppure in quello diocesano, documenti che attestino con certezza chi sia il loro autore, né tantomeno, la data della loro esecuzione, unico riferimento sono le pitture stesse e, per via di esclusione (anche se questo dato è molto labile) la vicinanza ai paesi di Arcene e Spirano, dove i documenti attestano che lì, certamente, il Comerio è stato attivo (1797-98) [11].
A questo punto ci si pone un’ulteriore domanda non meno importante delle precedenti: chi ha commissionato gli affreschi? La risposta dovrebbe essere la più ovvia: la comunità parrocchiale, ma la presenza in paese di una famiglia facoltosa come i Secco-Suardo, che aveva a cuore le sorti della chiesa, potrebbe orientare l’attenzione proprio verso costoro. La necessità di fondi consistenti per affidare ad un pittore di fama gli abbellimenti della chiesa lasciano spazio a considerazione sulla possibilità che gli abitanti di Lurano avessero realmente i denari per realizzare l’impresa. Forse si potrebbe pensare ad una sinergia tra i nobili con aiuti locali.
Le pitture descrivono episodi eterogenei dal punto di vista dei soggetti: vi sono rappresentate vicende desunte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, figure singolari di storia della Chiesa, ed essendo un edificio parrocchiale, si incontrano, in luoghi prioritari, i racconti delle storie della vita del santo patrono, San Lino, primo successore di San Pietro apostolo e troveremo numerose raffigurazioni in tal senso lungo tutta la navata centrale.
Due scene veterotestamentarie, Il sacrificio di Abele (fig. 02) (Gn. 4,4) e Il profeta Elia nutrito dall’angelo (fig. 03),
sono collocate in posizione preminente, sulle prime due arcate prossime al presbiterio, la loro presenza è soprattutto simbolica perché si riferiscono al Sacrificio Eucaristico, verità questa che è al centro di tutta l’azione liturgica.
La narrazione figurata del primo episodio ha una sua ragion d’essere nel sacrificio offerto a Dio da Abele, ma oltre al significato simbolico l’affresco è portatore di un valore aggiunto: le due figure, quella di Dio che si affaccia dalle nubi per gradire l’olocausto[12] e l’immagine del giovane Abele che è proteso nel gesto dell’offerente, hanno in sé tutta la freschezza e la potenza dei lavori del Comerio; il ragazzo è rivestito con i poveri panni dell’antesignano e, nella loro semplicità, palesano il corpo robusto del giovane, con degli improbabili e lunghi capelli biondi; particolari tutti che li diresti tratti da una figura cara allo stesso Comerio, come si evince da alcuni studi di vasi conservati a Milano nel Museo del Castello Sforzesco[13]. Di contro, la figura di Elia che pare attorcersi nella subitanea visione dell’angelo che gli reca il segno del sostegno di Dio sotto forma di una focaccia e di una brocca d’acqua. È’ evidente il contrasto tra la splendida figura angelica, luminosa, rivestita di un velo bianco, e, per contrasto, di uno svolazzante panno cremisi e l’immagine, greve, del profeta in abiti scuri che porta timoroso e rapido la mano a coprirsi il volto. La scena è rapida e coinvolgente, come d’altra parte lo era una teofania. Queste figure (Abele ed Elia) portano con sé tutta una poetica che deriva dalla cultura dell’autore, e recano ineccepibile l’impronta della mano del Comerio.
Quattro evangelisti
Dove c’è una cupola, grande o piccola che sia, sono predisposti quattro pennacchi che generalmente sono occupati dalle figure simboliche delle virtù o dei quattro evangelisti, e questa consuetudine iconografica è stata rispettata anche qui a Lurano[14]. Le immagini dei quattro evangelisti, obbediscono alla tradizione, e occupano i quattro pennacchi della piccola cupola del presbiterio: Luca (fig. 04) è accompagnato dal bue, Giovanni dall’aquila, Matteo dall’angelo e Marco (fig. 05) dal leone;
quest’ultima pittura la potremmo definire come un’immagine perfetta perché sia dal punto di vista della, struttura, della posa, del volto e del colorito partecipa in modo singolare al linguaggio del Comerio. Le quattro immagini sono efficacemente caratterizzate, dai panni consistenti, che evidenziano un corpo ben costruito, e i visi che li diresti usciti dal repertorio proprio del pittore; peccato che la figura dell’evangelista Matteo (fig. 06) sia quasi interamente guasta mentre quella dell’evangelista Giovanni (fig. 07), benché sia ridotta ad un lacerto, ha conservato integro e in modo mirabile il volto del santo.
Il Tabor
Sull’arcone che separa il presbiterio dalla navata centrale, il committente ha voluto che fosse dipinta la scena della Trasfigurazione (fig. 08), narrata nei tre vangeli sinottici.
L’affresco è notevole per la consumata abilità del pittore nel rappresentare una difficoltosa visione scorciata del Signore, del gruppo degli apostoli e delle figure coinvolte nell’episodio, è qui che si rivela la maestria del pittore nel rendere palpabile la tensione del momento. I personaggi sono presi da sbigottimento e lo manifestano nei gesti; ai tre personaggi nel registro superiore corrispondono i tre apostoli che, bloccati dal terrore portano le mani a coprirsi il volto, la manifestazione del sacro crea sempre un po’ di inquietudine. I visi dei due profeti (Mose ed Elia) sono descritti con un vigoroso realismo reso ancor più concreto dalle barbe fluenti. Sono comunque figure modellate con efficacia e i panneggi danno loro volume, qui siamo davanti non solo ad un esercizio virtuosistico ma ad una rara capacità di inverare una realtà che altrimenti sarebbe confinata nella leggenda[15].
Scene che descrivono momenti della vita di san Lino
Tre scene riportano i fatti salienti della vita del santo patrono, e sono distribuite in tutte la lunghezza della navata centrale; la più limitrofa alla contro facciata narra dell’elezione di Lino alla cattedra del principe degli apostoli (fig. 09), il Santo, sull’alto trono, è rivestito con un piviale e porta sul capo la tiara pontificia, la sua dignità è ulteriormente sottolineata dal baldacchino che lo sovrasta.
La scena successivo racconta di un esorcismo praticato da Lino nei confronti di una donna (fig. 10), il Santo in paramenti solenni, con la tiara la croce triplice che sottolinea la sua dignità di vescovo di Roma di patriarca d’Occidente e di successore di S. Pietro, scaccia con una benedizione il demonio che ha il sembiante di un mostriciattolo alato mentre le donne, alle spalle dell’ossessa, cercano di rianimarla. Per dare verosimiglianza alla scena il pittore l’ha ambientata in una architettura ricca di riferimenti all’antico: i rocchi di colonna fanno da quinta al gesto taumaturgico del Santo mentre il fondale è occupato da un arco di perfetto gusto romano.
Il tondo centrale, narra il momento del martirio di San Lino (fig. 11): il boia, tutto teso nello sforzo, vibra con forza la scure per decapitarlo. La scena è drammatica ed è descritta dal pittore con un senso di pathos: la rassegnazione sul viso di Lino, il boia e i soldati, muti testimoni dell’evento, è però rasserenata dal piccolo angelo che svolazza portando al martire il serto di alloro della vittoria.
San Giuseppe e San Lino in gloria.
Sull’intradosso dei due cupolini terminali delle navate laterali sono dipinte due scene raffinate, sia dal punto di vista rappresentativo che pittorico, e raffigurano la gloria di San Giuseppe (fig. 12) e di San Lino (fig. 13).
San Giuseppe si libra tra le nubi sostenuto dagli angeli ed è accompagnato dall’attributo iconografici della sua santità: un giglio fiorito, segno della sua onestà di vita, portato in mano da un angelo.
Il volto del Santo (barba incolta e capelli arruffati) è improntato a grande serenità, che fa tutt’uno con le braccia spalancate e rivolte verso l’alto il che resta una peculiarità della vita del Santo: la sua disponibilità ad accogliere l’aiuto del Signore. San Giuseppe, poi, è descritto con le vesti scomposte a causa della ascensione ed è sorretto di peso da due splendidi angeli, che lo abbracciano con grande confidenza, e il pittore evidenzia gli abiti spessi dalle profonde increspature, che li diresti di lana ruvida, di colore verde e bordò, da dove spuntano le gambe robuste con due piedi da camminatore; gli elementi che colpiscono l’attenzione sono le ali degli angeli che con il loro ritmo scompigliano tutto all’intorno e non solo le vesti; e poi, ultima finezza, l’angelotto paffuto, che si attacca ad un piede del Santo, mostrando tutto l’affetto di cui è capace.
San Lino, emerge dritto da una nuvola luminosa, ed è servito da un gruppo di angeli, due di questi reggono il triregno e la triplice croce papale che attestano la sua dignità, il terzo gli offre la palma del martirio. È’ interessante anche notare che la figura di questo Santo è rivestita con paramenti sacerdotali, una pianeta di colore rosso (simbolo del martirio), il suo sguardo è rivolto, estatico al cielo; mentre con la sinistra indica il suo petto come ad indicare una sua risposta positiva alla chiamata del Signore. La mano destra, invece, è tesa come segno della protezione accordata alla gente di Lurano.
Quest’ultima immagine ha un antesignano in una decorazione tutta laica, ‘Psiche incoronata di fiori da Amore’ di Palazzo Terzi di sant’Agata di Bergano[16]. In queste due figure si rivela tutto il virtuosismo del Comerio, abbiamo precedentemente notato nella ‘Trasfigurazione’ la capacità del pittore di realizzare le figure di scorcio, qui si aggiunge alla staticità della scena il movimento e pare che la figura di San Giuseppe stia scalciando nella ricerca di un punto di appoggio; sono due immagini (Giuseppe e Lino) cariche di verosimiglianza, le barbe ne fanno due personaggi vivi dove le figure angeliche godono di una presenza impressionante
Quattro figure di santi vescovi
Adagiati sopra gli arconi, che dividono la centrale dalle due navate laterali, quattro figure di santi che, dal corredo che li accompagna, potresti definirli come Padri della Chiesa: la figura più rilevante è San Girolamo (fig. 14) e i tre santi vescovi che lo accompagnano sono designati dalla tiara papale dalla mitra episcopale e dal pastorale.
È’ interessante la collocazione dei personaggi: san Girolamo è steso su un ruvido saccone mentre i tre vescovi sono coricati non su un morbido giaciglio ma su un duro gradino marmoreo bordato, forse sono sofferenti o segnati dai postumi della persecuzione oppure semplicemente adagiati; è un espediente questo che rimarca la fantasia del pittore, che ha approfittato della curvatura dell’arco per collocare i tre personaggi in una posizione inusitata, se li avesse posti, stanti il risultato avrebbero dato l’idea di un espediente stucchevole o trito ma così il Comerio non solo si affranca da luoghi comuni ma si conferma come un pittore dalla fantasia inesauribile.
L’artista nella sua produzione pittorica mette sovente in opera immagini adagiate, non sono di certo le figure dei santi che incontriamo a Lurano ma figure femminili allegoriche come a Villa d’Alme dove in una sala della villa Locatelli Milesi il pittore dipinge una scena dal carattere agreste: ‘Coloni offerenti alle divinità della Terra’[17], oppure la rappresentazione delle ‘Stagioni’ come sono raccontate nelle sale di Palazzo Daina De Valsecchi a Bergamo[18]e ancora un nuova serie di allegorie della ‘Stagioni’ come sono raffigurate nel ‘cabinet’ del palazzo Terzi di Sant’Agata sempre a Bergamo[19], figure queste che hanno in comune una medesima giacitura e godono tutte della stessa fantasia impressa dal pittore.
San Girolamo è il personaggio del gruppo meglio definito, è circondato da oggetti che tradizionalmente lo qualificano: l’abito, sgualcito, il teschio come ‘memento mori’ del penitente e un libro non solo quadernato ma con i segni della scrittura, certamente abbandona i canoni passatisti di un San Girolamo studioso, in abiti cardinalizi, chino sui suoi manoscritti ed ospitato in un elegante studiolo, qui è realisticamente descritto un santo penitente che ha sì una attenzione ai testi scritturistici, ma trascorre il tempo macerandosi nella penitenza e nella mortificazione.
Un’altra figura rilevante, tra quelle rappresentate, è l’immagine di San Gregorio Magno (fig. 15) identificato dalla colomba dello Spirito Santo che sempre lo accompagna.
Per i caratteri salienti del viso lo si potrebbe qualificare come un ritratto, non certo di un papa contemporaneo al Comerio (che per certe peculiarità somatiche lo si potrebbe associare a papa Clemente IX Rospigliosi). La figura è rivestita con gli abiti feriali pontifici: la testa è coperta dal camauro, una sorta di copricapo di velluto rosso bordato di ermellino, come la mozzetta, rossa, (altro abbigliamento papale) anche questa di velluto e sempre bordata di ermellino. È’ comunque una figura di grande impatto visivo. Si appoggia con noncuranza alla tiara pontificia e dietro lui si distinguono le braccia di una croce papale. Le gambe sono rannicchiate sotto una coperta verde e, come i personaggi vicini, è accovacciato su un freddo letto di marmo dal quale debordano le infule della tiara. L’aspetto dei personaggi che gli sono vicini (figg. 16 -17) mostra caratteristiche analoghe e la loro dignità di vescovi e padri della chiesa è ampliata dalle pesanti stole che indossano, e questi abbigliamenti liturgici sono singolari, tanto che i vescovi potrebbero essere definiti come membri della Chiesa orientale.
Le vesti sono di colore chiaro segnate da falcature ricercate, e qui è il caso di accennare ancora una volta (se mai ce ne fosse bisogno) alla naturalezza della loro postura ed è notevole la verosimiglianza dal panno che deborda con naturalezza dal gradino. Il loro sembiante è pensieroso come se avessero tra le mani affari importanti per la vita della Chiesa.
Presenze rilevanti a Lurano
La presenza a Lurano di artisti tra i più significativi di quanti lavorarono in terra bergamasca, non è notificata da documenti cartacei di sorta. Il loro intervento, è attestato unicamente dalle opere di scultura e di commesso presenti sul territorio, perché i membri delle famiglie dei Fantoni di Rovetta o dei Manni di Gazzaniga sono celebrati come valenti scultori e intarsiatori di marmi. Che Grazioso Fantoni il Vecchio abbia lavorato per Lurano è accertato dalla presenza di una Madonna con Bambino (una scultura in marmo bianco di Carrara) nel santuario della Madonna delle Quaglie[20].
Bartolomeo Manni è l’autore dell’altare maggiore in marmi commessi, nello stesso santuario. Nella ‘nuova’ chiesa parrocchiale una scultura, una Madonna con Bambino (fig. 18), certifica l’intervento di Grazioso Fantoni il Giovane del 1746[21], dice molto dell’attività di questa famiglia a favore della collettività luranese, mentre dell’intervento dei Manni si è certi per due pregevoli paliotti d’altare settecenteschi, il maggiore, lavoro di Andrea e dei fratelli Pietro Giacomo, Carlo Antonio, e Giovanni Giacomo e il basamento dell’altare della Madonna.
Per l’arredo liturgico e decorativo della nuova fabbrica si attinse con abbondanza all’esistente asportandolo dall’antico edificio: i dipinti furono tolti dalle pareti originarie e collocati sulla controfacciata e in diversi ambienti del nuovo fabbricato, per l’altare maggiore si utilizzò quello proveniente dal vecchio presbiterio[22]. Il luogo scelto dove situare l’importante simulacro della Madonna si trova nella prima cappella laterale a sinistra appena entrati in chiesa dove è stato sistemato anche il battistero e non fu collocata solo la statua, ma si trasferì pure il basamento e l’alzata della scultura (fig. 19).
Il paliotto e l’alzata hanno “intarsi policromi alla maniera dei Manni e dei Fantoni”[23]. Abbiamo già visto le famiglie Manni e Fantoni nel mio lavoro sul Santuario della Madonna delle quaglie a Lurano. L’incontrare nuovamente questi nomi, quasi un secolo dopo, vale ad evidenziare non solo l’intervento della bottega degli scultori-intarsiatori ma pure la conferma della loro perizia e, non è cosa da poco, dell’approvazione da parte della comunità luranese o di coloro che hanno sostenuto economicamente l’impresa, perché non è di scarso valore l’avere nella parrocchiale simili oggetti. Certo poteva essere la presenza di un parroco estimatore di cose d’arte e titolare di un pingue beneficio parrocchiale, oppure un nobile (e qui è il caso di ricordare i Secco Suardo, feudatari del luogo).
Affrontiamo ora la valutazione di questo capolavoro dell’arte del commesso. La formella centrale del frontespizio (fig. 20), ha una cornice mistilinea ed profilata in nero di Gazzaniga, giallo di Siena e bardiglio e presenta alcune caratteristiche che rimandano all’opera dei Manni, e qui è d’obbligo citare analoghi elementi negli altari maggiori delle parrocchiali di Chiuduno e Mornico al Serio[24], la scritta che sta alla base del bassorilievo è indicativa del soggetto: “PORTA COELI”, è questo uno dei titoli di cui si fregia la Madonna nelle cosiddette Litanie Lauretane. La cornice racchiude una porta, spalancata, centinata, con stipiti e architrave eleganti, ed è circondata da otto testine alate di cherubini, è certamente un bassorilievo che rimanda inequivocabilmente ala mano di un membro della famiglia Manni, ma non si può dire altrettanto delle due testine angeliche (fig. 21) che sorreggono la base su cui poggia la statua e si possono attribuire ad uno scultore vicino ai titolari dell’’azienda’ di Gazzaniga.
L’impianto decorativo, in commesso, del paliotto si sviluppa con una elegante simmetria (fig. 22), e gli elementi floreali sono tanto abbondanti da coprire la quasi totalità della superficie, e questo aspetto è inusuale nelle decorazioni dei Manni come pure i colori; il fondo non è nel consueto marmo nero di Gazzaniga, ma nell’insolito, per i Manni, in bianco di Carrara, forse ciò è dovuto al colore liturgico mariano, bianco per l’appunto, e sullo sfondo chiaro spiccano i colori accesi della ricca flora marmorea; prescindendo dal fondale, il colore dominante è il rosso realizzato con il marmo rosso di Francia (fig. 23), dello stesso colore sono i petali e le diverse forme di boccioli, la varietà dei fiori è superba con innesti in vari tipo di alabastro.
Le foglie di acacia, di verde chiaro, sono collegate con le tipiche catenelle in lapislazzuli e i risvolti delle ampie volute sono tutti realizzati in marmo giallo di Siena. Gli elementi di riempimento, come le cornici di base, e la mensa su cui poggia il simulacro della Vergine sono tutti in marmo carrarino, per le cornici di contorno del paliotto ritorna l’usuale nero di Gazzaniga, mentre i bordi sono stati realizzati con il consueto rosso di Francia.
In conclusione è proprio questa caratteristica della difformità con quanto si conosce che permette di avanzare con certezza dell’intervento dei Manni nella formella centrale, ma anche la collaborazione con altri artisti per quanto concerne la decorazione floreale.
Natale MAFFIOLI Torino 30 Ottobre 2022
NOTE
[1] Un grazie al sindaco di Lurano al parroco d. Mauro Vanoncini e ad Andrea Bugini per il sostegno offertomi nella mia ricerca.
[2] Lurano è un picco centro abitato nella bassa pianura bergamasca. La chiesa è detta ‘vecchia’ perché negli anni sessanta del 1900 è stata sostituita da una nuova chiesa parrocchiale,
[3] L. PAGNONI, Chiese parrocchiali bergamasche, Monumenta Bergomensia, Bergamo 1979, p.225-226.
[4] Fu edificata nel 1964 su progetto dell’ing. Carlo Merisio di Caravaggio, L. PAGNONI, Monumenta Bergomensia, Bergamo 1979, p.225-226.
[5] L. PAGNONI, Monumenta Bergomensia, Bergano 1979, p.225.
[6] R. MANGILI, Filippo Comerio: dipinti, disegni, maioliche, Monumenta Bergomensia – L, Bergamo 1978.
[7] L. PAGNONI, Chiese parrocchiali bergamasche, Monumenta Bergomensia, Bergamo 1979, p.42-43.
[8] N. MAFFIOLI, Spirano. Due millenni tra storia ed arte, Spirano 2007, pp.271-283; R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pag.143.
[9] Arcene, Spirano e Lurano sono località viciniori, nella stessa plaga della pianura bergamasca.
[11] Degli affreschi di Spirano si dice espressamente: “La Chiesa Parrocchiale (…) è di una sola navata (…) con la volta avente cinque medaglie a fresco del Comerio“A.C.B., vol.124, fg.48v; visita pastorale Speranza.
[12] È evidente la parentela tra questa figura e il ‘Dio Padre tra gli due angeli’ del Comerio nella parrocchiale di Ranica; vedi: R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pag.103, fig. 170.
[13] Cfr. R. MANGILI, Monumenta Bergomensia – L, Bergamo 1978, pag. 146-148
[14] Il Comerio aveva al suo attivo (1805) le pitture degli evangelisti nei pennacchi della cupola nella chiesa parrocchiale di Locate Vaesino, cfr. R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pag.127, figg. 192, 194, 196.
[15] IL Comerio altre volte si è cimentato con il soggetto della Trasfigurazione e sempre l’aveva fatto con le stesse modalità che incontriamo a Lurano: uno sguardo scorciato con un movimento eccitato dei personaggi; è interessante il raffronto con un medesimo soggetto dipinto per Gorlago (BG) cfr. R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pag. 92, fig. 87.
[16] Cfr. R. MANGILI, Monumenta Bergomensia – L, Bergamo 1978, pag. 18, fig. 21.
[17] R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pag. 62 fig. 99.
[18] R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pagg. 130-131 fig. 132, 133; 142,143.
[19] R. MANGILI, Monumenta Bergomensia L, Bergamo 1978, pag. 141, fig. 227-229-237.
[20] N. MAFFIOLI, Il santuario della Madonna delle quaglie a Lurano; miracoli e arte del ‘400nella bassa bergamasca, Roma 2022, p.
[21] Lidia Rigon, curatrice del museo Fantoni di Rovetta, conferma che la statua della Madonna attualmente nella chiesa parrocchiale di Lurano è della: “Bottega di Grazioso Fantoni il Giovane, 1746”. La scultura proviene dalla parrocchiale antica.
[22] N. MAFFIOLI, about art on line, Roma 2022.
[23] A. BERTASA, a. GHISETTI, L. RIGON. Scultori e intarsiatori del marmo nella bottega di Gazzaniga e di Desenzano al Serio (1625 -1830), Bergamo, 2017, p. 172.
[24] A. BERTASA, a. GHISETTI, L. RIGON. Op. cit, Bergamo, 2017, p. 172.