redazione
GALLERIA DEL LAOCOONTE
ROMA\LONDRA
La Galleria del Laocoonte presenta un “nuovo” Augusto, il capolavoro di Partick Alò.
In questa seconda edizione della fiera romana “Arte in Nuvola” (17-20 novembre 2022) la Galleria del Laocoonte (Roma/Londra) ha il singolare privilegio di poter esporre un’opera monumentale, appena in tempo finita, dello scultore Patrick Alò. L’artista romano, talentuoso assemblatore di rottami metallici che ridanno un’altra vita alle statue classiche dell’antichità di uomini e dei, che assumono così l’aspetto di automi o organismi cibernetici, si è misurato da par suo con la trionfale scultura dell’Augusto “loricato” (cioè con corazza), o Agusto di Prima Porta, scoperto nel 1863 nel sito della Villa di Livia – Livia Drusilla, moglie e poi vedova del primo imperatore di Roma e madre di Tiberio – ora tra i massimi capolavori conservati ai Musei Vaticani.
Come quella antica in marmo pario, la scultura di Patrick Alò supera i due metri, quasi tre compreso il piedistallo, raggiungendo così la stessa superumana maestà dell’originale classico, volutamente ispirato al “Doriforo” (“Portatore di lancia”) del maestro del canone ideale e dell’equilibrio del “contrapposto”, il venerato maestro greco del V secolo, Policleto.
Al tempo della sua scoperta, l’Augusto di marmo stupì i contemporanei poiché essa recava ancora, ben visibili, le tracce della sua originaria policromia: rossi il mantello e la tunica, decorati d’azzurro le fasce di cuoio alle spalle sotto la vita, colorati gli occhi, le labbra e i capelli. Una palese contraddizione rispetto all’uniforme candore della scultura neoclassica.
Patrick Alò ha rimeditato la policromia antica, spruzzando d’un rosso di minio il panneggio del mantello militare dell’Imperatore, fatto di lamiera d’automobile contorta dal ragno dello sfasciacarrozze. Bianca come un elettrodomestico è la tunica sotto la corazza e sporcati d’oro i tondini di ferro nervato che costituiscono le frange delle spalle e quelle che cadono giù dalla cintola di Augusto.
La corazza è invece assemblata con rottami d’acciaio, come a sottolineare l’assoluta invulnerabilità del sommo comandante militare dell’Impero, privo delle figurazioni simboliche a rilievo che ornano la scultura antica originale, la cui minuziosità avrebbe inutilmente appesantito l’anatomia essenziale della lorica “musculata”, che nella creazione di Alò trasforma l’antico “imperator” in un futuribile guerriero spaziale. Il corpo tutto di spoglie meccaniche di ferro è esso stesso come un’armatura articolata, in cui la carne si fa macchina e le naturali articolazioni meccanismo, trasfondendo nel corpo umano del combattente romano all’arma bianca tutto lo stupefatto orrore della guerra moderna.
Patrick Alò non è partito da una riflessione ideologica sulla natura del potere assoluto, ma misurandosi con l’opera antica attraverso il suo metodo artistico, quello cioè di ricreare il modello classico usando le “disjecta membra” (parti disperse, in latino) della nostra civiltà tecnologica, ha ottenuto un “imperator” fatalmente mutato in “terminator”, macchina crudele che di umano ha solo l’aspetto esteriore, capace di coniugare la “summa auctoritas” che essa simboleggia, con la “summa iniuria” di cui solo il sommo potere è capace.
Tutto ciò è concentrato in quel sottile e rigido scettro d’acciaio che Agusto tiene con la sinistra leggermente appoggiato sulla spalla, che tanto rammenta quello che Foscolo cantò nei Sepolcri, spogliato nudo dagli allori della retorica cortigiana, grondante del sangue e delle lacrime dei sudditi soggetti. Un monito ben valido ancor oggi.
La verità del nudo di donna attraverso gli occhi degli artisti del Novecento italiano.
La verità è nuda ed è donna, l’ha detto per primo in greco il filosofo scettico Pirrone – che da giovane pare avesse fatto il pittore – e tale l’hanno rappresentata Botticelli e Bernini, tanto per nominare solo due grandi tra gli antichi italiani, o in tempi più recenti Gerôme e Klimt.
La Galleria del Laocoonte sta preparando per il 2023 una mostra sul nudo di donna nell’arte del Novecento italiano, che si intitolerà “Nude”, proprio per dimostrare in questi tempi di diffuso e confuso puritanesimo, che la nudità è verità, e che la verità è sempre bellezza. Che il corpo della donna è più bello senza veli, perché la bellezza della verità è sempre un disvelamento e non un coprire, e che la vergogna è paura della verità, come ben seppero i nostri primi progenitori Adamo ed Eva. Di questa mostra si è voluto ammannire un assaggio, anticipare una scelta, per i visitatori di “Arte in Nuvola”, appendendo su un’unica parete, uno accanto all’altro, tre capolavori del ‘900 italiano: l’audace “Nudo di donna con mantello nero” di Virgilio Guidi del 1914, il monumentale “Nudo di ballerina dormiente” di Primo Conti del 1926 e il poeticissimo “Sogno”, del 1936, di Nino Bertoletti.
Virgilio Guidi (Roma, 1891-Venezia, 1984) espose questo nudo alla mostra della Secessione Romana del 1915, mostrando un’audacia di soggetto e di espressione che mostrano una precoce aderenza alle più avanzate avanguardie artistiche dell’epoca.
Un’audacia che sembra personificata ai limiti della divertita impudenza dalla modella stessa, che si mostra senza alcun complesso agli occhi del pittore che la dipinge e del pubblico che la guarda nella piena verità del suo essere donna e non un nudo classico copiato da qualche gesso d’Accademia con aggiunta di un po’ di colore.
Primo Conti (Firenze, 1900-Fiesole, 1988), che oltre che pittore fu anche compositore, è stato il Mozart della pittura italiana del ‘900, nel senso che manifestò il suo grande talento già “in calzoni corti” esponendo e facendosi notare già all’età di 11 anni, anche se crudelmente si potrebbe dire che non ebbe in sorte, come Mozart, di lasciare al culmine della sua arte questo mondo.
Il “nudo di ballerina dormiente”, esposto con grande successo alla XVa Biennale di Venezia del 1926, rappresenta uno dei risulatati più alti della sua pittura per capacità d’impatto, bravura di composizione, preziosità di colore e di materia. Quella che potrebbe essere solo una foto “cochonne”, di qualche aspirante divetta del muto, con i capelli alla bebè e un neo dipinto, raggiunge le dimensioni di un nudo tizianesco destinato a un re di Spagna, quello di una Venere infantilmente imbronciata nel sonno, che le sonore sferzature delle pennellate che la circondano – il rosso fiammante di un copriletto, il blu cupo di una tenda – non sono ancora riuscite a svegliare.
Nino Bertoletti (Roma, 1889-1971), oggi più noto come marito della sua modella Pasquarosa che gli divenne moglie e pittrice di talento, è stato in realtà pittore delicatissimo e poetico, uomo colto e aggiornato, amico di De Chirico e Luigi Pirandello, la cui reputazione ingiustamente soffre per la scarsa presenza di opere sue nei musei pubblici. Con “Sogno” del 1936, esposto alla XXa Biennale di Venezia, egli avventura la sua fantasia in un realismo magico che sfiora l’effetto surreale.
Una giovinetta ancora acerba addormentata su una coltre stesa sul pavimento vola alta in un cielo fioccante di nuvole che potrebbe essere tanto d’alba che di crepuscolo, mentre sotto di lei rimpicciolito scorre un paesaggio deserto quasi metafisico. Potrebbe essere proprio lei una personificazione dell’alba che stenta svegliarsi, come in una allegoria del Seicento dipinta da Magritte.
Gli Artisti dell’Eur alla Galleria del Laocoonte.
Sono passati 80 anni dalla data in cui si sarebbe dovuta tenere l’Esposizione Universale di Roma del 1942, per la quale fu creata quell’utopia urbanistica che è l’Eur di cui la Nuvola è certo l’ultimo postumo omaggio d’architettura visionaria.
La Galleria del Laocoonte, per gusto, e un po’ per polemica antimodernistica, ma non per nostalgia politica, ha sempre preferito, nelle sue scelte artistiche, opere moderne che rammentino la tradizione artistica italiana legata all’antico esempio della classicità: da Sironi a Funi, da Cambellotti e Severini fino ad arrivare a Savinio, a Leoncillo, e ultimamente a Clerici ed Eugen Berman.
Perciò in omaggio agli 80 anni dell’Eur un’intera parete dello stand della Galleria sarà dedicata agli artisti che vi lavorarono esponendo i disegni preparatori per i mosaici della Fontana Luminosa presso il Palazzo degli Uffici: l’intera serie, dedicata alle allegorie del “Mare Nostrum”, di Giovanni Guerrini (Imola, 1887-Roma, 1972), pittore e geniale inventore, come architetto, del Colosseo Quadrato. Influenzati dai mosaici bianchi e neri scoperti negli scavi di Ostia sono anche alcuni bozzetti di Gino Severini per la stessa opera. Di Giorgio Quaroni è invece un primo disegno preparatorio per l’affresco della “Fondazione di Roma” per la sala delle Riunioni dello stesso Palazzo.
Oltre a questi saranno esposti disegni e bozzetti per il Foro Italico di Gino Severini e di Achille Capizzano (Rende, 1907-Roma, 1951) talentuoso e sfortunato artista calabrese.
Un ulteriore omaggio all’Eur sarà la presenza dei bozzetti, di Publio Morbiducci, di due dei quattro cavalli componenti la Quadriga di bronzo che avrebbe dovuto sormontare la mensola sulla facciata del Palazzo dei Congressi. La commissione fu scippata al timido ma elegante Morbiducci dal più giovane e impetuoso Francesco Messina, che arrivò a terminare i gessi finali dell’opera che però non fu mai gettata in bronzo per trover posto in facciata. I bronzi furono realizzati solo molti anni dopo per la villa Le Rughe del presidente della Repubblica Giovanni Leone. In mostra la Galleria del Laocoonte presenterà i modelletti in bronzo per la Quadrica di Francesco Messina, originali del 1941. A questi si uniscono due studi in bronzo, con Romolo e Remo ognuno accompagnato da un cavallo di Publio Morbiducci.
Anche Achille Funi lavorò all’EUR. Di questo grande artista e frescante instancabile viene presentata la grande tela Venere Latina, del 1930, oltre ad alcuni disegni di nudi maschili, ed altri di Publio Morbiducci che lavorò alla realizzazione delle colossali statue di atleti per il Foro Italico.
Per finire, come postumo controcanto ai cavalli per l’E42 si espone “Pro-Menade” di Fabrizio Clerici, grande dittico in due tele in una delle quali irrompe, rosso come se fosse arroventato, il cavallo di bronzo di Capo dell’Artemisio, ora al Museo Archeologico d’Atene.
Sono inoltre esposti disegni di Eugen Berman (S.Pietroburgo, 1899-Roma, 1972), ebreo russo che fu parigino, newyorkese, hollywoodiano, ma che volle finire la sua vita a Roma, a Palazzo Doria-Pamphilj, in mezzo alle sue collezioni d’archeologia da cui traeva ad un tempo conforto e ispirazione per i suoi fantasiosi e sognanti disegni.
Di Duilio Cambellotti (Roma, 1876-1960) – di cui la Galleria del Laocoonte possiede molte opere – sono esposte una grande tempera per il manifesto dell’Orestea, un’altra che raffigura la pena delle Danaidi ed infine un paesaggio innevato della Sila, realizzato per la ferrovia locale.
Ancora una scultura, scolpita nel peperino degli etruschi, che ritrae Esmeralda Ruspoli (Roma, 1928- Lipari, 1988), da bambina, come un’artista di circo del periodo rosa di Picasso con scimmiette al seguito, deliziosa e un po’ enigmatica opera di Andrea Spadini (Roma, 1912-1983), grande scultore e ceramista – a cui si deve tra l’altro l’orologio musicale allo zoo di Central Park e la decorazione del tetrino della villa di Alberto Sordi -della cui opera, con una grande mostra nel 2019, la Galleria del Laocoonte ha riproposto la funambolica e incantevole virtuosità artistica.
Roma 20 Novembre 2022
Galleria del Laocoonte
Via Monterone 13, 13 A ; 00\186 Roma
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