di Maria Barbara GUERRIERI BORSOI
Francesco Petrucci, Palazzo Chigi in Ariccia nel contesto del complesso berniniano e dell’antico feudo chigiano, Roma, Gangemi Editore International, 2022, pp. 543.
Quando, quaranta anni fa, Francesco Petrucci preparava i rilievi per la sua tesi di laurea dedicata al Palazzo Chigi di Ariccia (fig. 1), allora ancora della famiglia da cui prende nome, non poteva certo sapere che avrebbe continuato a studiarlo così a lungo con costante entusiasmo e che avrebbe diretto, con grande apprezzamento del pubblico, il museo che vi è stato creato.
Fa dunque un notevole effetto vedere quei rilievi riprodotti nel monumentale libro appena uscito, felice inizio di una proficua dedizione. Palazzo Chigi in Ariccia, edito molto accuratamente per i tipi di Gangemi, è il risultato di uno studio estremamente articolato e complesso, dedicato ad un arco cronologico onnicomprensivo, dall’antichità ad oggi.
I tantissimi scritti precedenti dell’autore sono stati usati come materiale costruttivo di questo volume che ambisce alla completezza per quanto attiene agli aspetti storici e architettonici, mentre già si preannunciano altri due libri dedicati allo straordinario patrimonio di opere d’arte e di arredi conservato nella dimora dei Chigi. I contributi pregressi sono stati rivisti e aggiornati alla luce delle ulteriori ricerche dell’autore e di altri studiosi, inserendo in questo testo anche molte novità.
Nella percezione comune Ariccia si lega in uno stretto binomio con l’età barocca e non c’è dubbio che in quel tempo si concentrino i fatti e le creazioni più significative, ma Petrucci non ha considerato nulla privo di interesse, né prima né dopo. Prende le mosse addirittura da Ariccia al tempo dei Latini e poi dei Romani ma, dopo un rapido excursus sulle vicende medioevali, l’analisi si approfondisce a partire dal periodo in cui i Savelli controllarono il paese.
Questa famiglia fu potentissima nel XV e XVI secolo, in particolare nella zona a Sud di Roma, dove ebbe in feudo altri paesi, ma già nella seconda metà del Cinquecento fu sopraffatta da gravi problemi economici, per cui dovette alienare parte dei suoi beni. Ciò nonostante il cardinale Silvio Savelli fece edificare, su strutture in parte preesistenti, il palazzo di Ariccia con la supervisione di Carlo Lambardi (fig. 2) e ancor oggi la parte a sinistra del portale risale a quell’intervento. Petrucci ha proposto di riferire a Lambardi la facciata con porticato del cortile perché vi compare l’ordine gigante che l’architetto usò anche nelle chiese da lui progettate.
I Savelli sono ancora ricordati nella grande residenza da opere decorative, come il monumentale camino della Sala Maestra, e arredi, tra i quali alcuni dei cartoni per mosaici del Cavalier d’Arpino eseguiti per S. Pietro.
L’età dell’oro per Ariccia fu quella del dominio dei Chigi che comprarono il feudo nel 1661, durante il pontificato di Alessandro VII, e attuarono una notevole trasformazione del palazzo. Petrucci afferma giustamente che tale cambiamento deve però essere inserito
“in un quadro più generale, quello della radicale revisione urbanistica, paesaggistica e architettonica del feudo chigiano”.
Per quanto riguarda il palazzo, sebbene i lavori siano stati sovrintesi soprattutto da Carlo Fontana, Petrucci argomenta che l’ideatore del progetto fu Giovan Lorenzo Bernini, architetto altresì della piazza antistante, del complesso dell’Assunta così come della facciata della vicina chiesa di Galloro, e ritiene che il bellissimo San Giuseppe dipinto dal maestro nella cappella sia “una sorta di imprimatur a firma di tutti i suoi lavori in Ariccia” (fig. 3).
L’analisi dell’autore non si ferma affatto al solo edificio residenziale dei feudatari, come la seconda parte del titolo enuncia con chiarezza, dilatandosi a tutto il contesto e addirittura all’intero feudo. Così, ogni significativa emergenza del paese e del territorio è analizzata, riprendendo l’impostazione della mostra L’Ariccia del Bernini del 1998, curata dall’autore e da Maurizio Fagiolo dell’Arco.
L’epoca di Alessandro VII e del cardinal nipote Flavio Chigi è minutamente scandagliata, quasi si volesse togliere al lettore l’onere di cercare altrove qualunque notizia in merito.
Ad esempio sono ripresentati i disegni progettuali di Bernini, collaboratori e seguaci relativi al palazzo, alle chiese, ad ogni edificio. Inoltre, si ripropone la trascrizione del diario papale che è straordinariamente illuminante sul fervore costruttivo di quegli anni, in cui Alessandro VII dialogava in modo serrato con Bernini, proponendo la sua personale visione e muovendosi con inarrestabile decisionismo.
Petrucci sottolinea la peculiarità di questo “Palazzo Ducale” che unisce elementi caratteristici della struttura delle ville con quelli delle residenze fortificate. Una particolarità che non fu messa in discussione neanche nel secolo successivo, quando fu effettivamente realizzato il quarto dei bastioni angolari che serrano la fabbrica, previsto però sin dall’inizio.
Il palazzo è sempre visto come contenitore e contenuto, così, ad esempio, dell’appartamento del raffinato Flavio Chigi si ricordano i preziosi rivestimenti parietali in cuoio o la serie pittorica celeberrima delle Belle (fig. 4) dipinte da Jacob Ferdinad Voet, pittore al quale Petrucci ha dedicato un altro volume.
Se il Seicento è l’acme di questo mondo, il XVIII secolo fu comunque tempo di ulteriori arricchimenti. Tra l’altro, nel palazzo fu realizzata la decorazione di un intero appartamento nel quale operarono molti pittori, anche di orientamenti assai diversi, in un clima culturale che ormai aveva virato in direzione neoclassica, come Nicola La Piccola, Giovan Battista Marchetti, Liborio Coccetti, Giovanni Campovecchio con Felice Giani e soprattutto Giuseppe Cades, che ha lasciato qui, nella stanza dell’Ariosto, un capolavoro estremamente originale (fig. 5).
Ci troviamo davanti ad un volume con molte sfaccettature, di storia dell’architettura e dell’arte, ma anche di storia in senso lato, come si riscontra nelle molte pagine dedicate alla famiglia Chigi. Le generazioni passano in una impressionante e a tratti anche commovente serie di fotografie, conservate nell’archivio del palazzo, che ci restituiscono l’idea della vita autentica di una grande casata, agitata da gioie e umani dolori, immagini spesso accompagnate da citazioni di diari e documenti personali, rare da rintracciare e molto evocative.
Al mutare dei tempi si accompagnano anche gli inevitabili cambiamenti che portano la famiglia a vendere e dividere ciò che per secoli era stato accumulato, nonché a usare in modo diverso le fastose dimore, ad esempio permettendo che ad Ariccia si girino dei film tra cui l’indimenticabile Gattopardo di Luchino Visconti (fig. 6) (abitudine che non è cessata neanche nei tempi recenti e, opportunamente, nel sito di Palazzo Chigi sono elencati i moltissimi film qui realizzati).
Gli eventi delle persone e le trasformazioni delle proprietà sono seguite sino all’epilogo straordinariamente positivo: nel 1988 il palazzo, con tutto ciò che conteneva, fu acquistato dal Comune di Ariccia che, dopo averne curato i restauri, di cui si dà conto nel testo, lo aprì al pubblico nel 2000. Fa piacere vedere in questa storia anche i volti di quegli ‘amici’ di Ariccia che hanno donato numerose opere importanti al museo, soprattutto Maurizio Fagiolo dell’Arco, Nando Peretti e Fabrizio Lemme.
L’inarrestabile lavoro che Petrucci ha portato avanti nell’edificio è testimoniato nel volume passo passo, ricordando i restauri, le migliorie, gli allestimenti, le donazioni, le mostre, le varie attività che hanno dato lustro a questo luogo.
Non manca nell’opera anche una sezione più tradizionale, il XIII capitolo, che descrive i singoli ambienti del palazzo con la loro straordinaria atmosfera di luoghi vissuti (fig. 7).
Il ricchissimo apparato iconografico, di oltre 850 fotografie, narrazione per immagini che comprende amplissime vedute paesaggistiche, riprese d’insieme degli ambienti, singoli oggetti e opere d’arte nonché tante persone, si fa anche racconto di come questo contesto fu recepito nei secoli dagli artisti, diventando un soggetto prediletto della pittura paesaggistica (fig. 8).
Infatti Petrucci, nel suo concreto lavoro e nel volume, è stato molto attento anche a valorizzare il contesto naturalistico in cui vive la grande dimora, con il parco che tanto suggestionò i viaggiatori del Grand Tour, e costituisce anche oggi un giardino pregevole dal punto di vista storico, botanico e artistico per le opere che vi sono dislocate.
Dunque, è con grande interesse e piena fiducia che si aspettano i due prossimi volumi di questa summa di Petrucci sui Chigi e Ariccia.
Maria Barbara GUERRIERI BORSOI Roma 22 Diembre 2022