di Patrizia NICOLOSI
La mostra comprende un nucleo di opere che trovano origine comune in un testo inedito di Zaffarano — Periodo ipotetico (centoventi più centoventi frasi quasi uguali) — il quale a sua volta si incentra sulla cruda ripetizione formale di un’unica matrice sintattica, estremamente semplice e destinata a generare sia il testo e sia la materia plastica che di quel testo espone i ribaltamenti e i riverberi sotto aspetti non più, o non solo, verbali.
Il periodo ipotetico di cui parla il titolo, è quello che in grammatica si definisce «della realtà», secondo uno spirito teorico che, accordando una facile fiducia alla retorica, assicura il nostro senso della realtà a un doppio ancoraggio: da un lato, la descrizione dei fatti, ossia il modo indicativo in cui si esprime la premessa; dall’altro, la scelta obbligata del da farsi, l’ubbidienza alle istruzioni, la ragionevolezza pratica di comportamenti logici poiché inevitabili, cioè il verbo all’imperativo, modo della conseguenza. È evidentemente implicita, in questa classica definizione da lezione scolastica, la totale linguisticità del dato reale, puro effetto di resoconti e connessioni verbali; al punto che ciò che di tangibile sfugge a tali coordinate, è anche detto ‘sublime’; e il sublime, come il niente, non è abbastanza per la realtà; oppure, lì dove l’esperienza supera il pensiero, il sublime sarà troppo per la realtà.
Fra il niente e il troppo delle cose, in un serraglio da cui è apertamente bandito ciò che non è lessicalizzabile, è costruito il testo-operazione di Zaffarano — l’operazione essendo quella di radicalizzare all’estremo la misura retorica di quel che si definisce reale. Partendo dalla frase «Se non ti piace (sostantivo), cambia (sostantivo)», Zaffarano ne declina duecentoquaranta versioni, ottenute per sostituzione del solo sostantivo con diversi attori lessicali, dei quali non si scorge un singolo criterio selettivo, ma che anzi mescolano caratteri astratti e concreti; ambiti tecnici e morali, politici e psicologici; e differenti pesi semantici, che in certi casi calcano il
tono della scontatezza pubblicitaria, e in altri raggiungono la gravità di una intuibile, ma mai provata, trama ideologica, svolta per tipi concettuali. Nell’espansione indefinita di questo specifico esemplare di realtà — le frasi sono centoventi più centoventi, ma il meccanismo generativo ne lascia presupporre un’infinità in potenza — troviamo: la diplomazia, la volontà, il resto, il minimalismo, lo scarto, la complicazione, il sindacato, l’economia, la struttura, la turbolenza, …, la forza, la figura, la mistica, l’ora, il collezionismo, la pagina, l’ideologia, la parola, il mistero, il paragone, …, il governo, l’ambiente, la locuzione, la trascendenza, il rimedio, il valore, il modo, la frusta, eccetera.
Fin qui il testo o, possiamo dire, la realtà per definizione. Poi, la lettura del testo, che in modo sorprendente oppone, alla dinamica retorica della realtà, la qualità muta e statica dell’installazione concepita da Zaffarano come medium di trasmissione del testo. Questa lettura ha assunto la natura composita delle opere che ora si situano nello spazio espositivo di Periodo ipotetico; le quali, di quel testo, costituiscono non tanto l’interpretazione o la messa in scena del senso, quanto il tentativo di smarrirne la credibilità verbale in favore di un costrutto plastico potentemente critico, al punto da pervenire a una totale trasparenza del testo e inservibilità del reale che in esso si definisce: una trasmissione che fa cadere il senso per disorientamento. L’incisione su vinile della voce dell’autore, intento a una enunciazione monocorde delle frasi che compongono il testo, si interseca infatti con un piano pittorico stabilito da un video e da un dittico fotografico. Nel video si assiste a una serie di studi lenti e molto ravvicinati del corpo nudo dell’autore, che per ore è rimasto seduto in pose statiche — ispirate all’immobilità straniante delle figure che compaiono in Bagnanti ad Asnières di Georges Seurat — ripreso rasente la pelle, e con una definizione che eccede quella dello sguardo umano, dalla telecamera di Angelo Marotta, che ha curato la cinematografia. La narratività esangue di queste inquadrature analitiche, contrasta con le due immagini fotografiche che inquadrano, in momenti successivi e dalla distanza imprecisata di un cannocchiale, due persone in barca su un lago.
La lettura del testo così spartita — tra la voce del disco, la figura umana ferma e muta, e le due foto che hanno l’aria di un avanzo di storia negata — si chiude con una dichiarazione teorica dell’autore in forma di asciutta parabola poetica, che immette nello spazio il dubbio di una questione filosofica, ispirata a Platone e a Diogene il Cinico, e alla dialettica tra discorso e gesto, e tra sistema e rivolta. Il risultato di una tale lettura non è il potenziamento di un eventuale carattere magnetico della parola, né una chiarificazione materiale dei contenuti del testo, per altro chiarissimi di per sé, ma invece la desiderata sottomissione di quel testo a una logica che gli è aliena — la logica degli sguardi soggettivi e delle apparenze quasi inespressive — capace di scoprire, del testo, potere e insufficienza.
Roma 8 Gennaio 2023
AOCF58 – Galleria BRUNO LISI, via Flaminia 58 – Roma (metro A fermata Flaminio)
Michele Zaffarano
Periodo ipotetico
A cura di Pasquale Polidori
Inaugurazione, lunedì 23 gennaio dalle 16.00 alle 20.00
dal 23 gennaio all’11 febbraio 2023, mercoledì e giovedì dalle 17.00 alle 19.00
Altri giorni su appuntamento scrivendo a depositosolventi@gmail.com – aocf58@virgilio.it
Opere esposte