di Giulio de MARTINO
A vent’anni dalla prematura scomparsa, l’Accademia di San Luca ha organizzato la presentazione del volume – curato da Fabio Bellone – che raccoglie scritti, immagini, lettere e documenti di Maurizio Fagiolo dell’Arco (Roma, 22 novembre 1939 – Roma, 11 maggio 2002).
Bellone ordina, pubblica e commenta un’ampia silloge di testi del periodo 1964-1980, raccogliendoli sotto il titolo di: Maurizio Fagiolo dell’Arco critico militante 1964-1980[1].
Figlio del poeta e architetto Mario Fagiolo (Mario dell’Arco come autore) e fratello dello storico dell’architettura Marcello, Maurizio Fagiolo dell’Arco fu allievo alla Sapienza di Giulio Carlo Argan (Torino, 17 maggio 1909 – Roma, 12 novembre 1992). Divenne professore all’Accademia di Belle Arti di Roma e fu collaboratore de “L’Avanti”, “Il Messaggero” e “Il Giornale dell’Arte”. Fu critico, storico dell’arte e collezionista, ma anche curatore di mostre e autore e «redattore» di importanti libri e cataloghi d’arte.
Il libro curato da Fabio Bellone, come il dibattito di presentazione all’Accademia di San Luca, hanno messo in luce la «versatilità» intellettuale – Argan pare la abbia definita: «eclettismo» – e l’attivismo di Fagiolo dell’Arco che si occupò tanto di studi sull’arte del Cinquecento e del Seicento (Bernini, Caravaggio, Parmigianino) quanto di ricerche e curatele sulle avanguardie del Novecento italiano e internazionale (Donghi, De Chirico, Man Ray).
Ciò che ha impegnato relatrici e relatori è stato il mettere in risalto la significativa scansione cronologica della produzione storica e critica di Fagiolo dell’Arco. È stata evocata la figura irripetibile di uno studioso e appassionato d’arte che alla duttilità culturale – che lo allontanò dalle posizioni accademiche, tanto da rinunciare, nel 1977, alla cattedra di Professore Straordinario di Storia dell’arte moderna a Roma – unì una visione della pittura vicina alla contemporaneità.
Fagiolo dell’Arco iniziò la sua formidabile attività come «critico militante» – tra gli anni Sessanta e Settanta – osservando e analizzando «da vicino» il lavoro di artisti come Franco Angeli, Giovanni Anselmo, Mario Ceroli, Pino Pascali, Giulio Paolini e Mario Schifano.
Attraversò così il paradosso degli anni ’60 italiani, sospesi fra la tradizione universitaria – improntata ad un rigoroso storicismo che poneva l’arte italiana sotto la tutela della filologia e della musealità – e la rottura culturale introdotta dall’arte americana degli anni Sessanta, come scrisse Germano Celant in New York 1962-1964 (Skira 2022).
Opportunamente ci si è riferiti alle coeve esperienze del Gruppo ’63 che – come affermò Umberto Eco – credette di rinnovare la letteratura italiana e finì con lo svelare le antinomie della postmodernità.
Nel triplo fascicolo di “marcaTre” del 1965 (pp. 306-321) Maurizio Fagiolo dell’Arco scrisse – riferendosi a Mario Schifano e a Franco Angeli di quegli anni – che sarebbe stato bene definirli pittori «novissimi» per sganciarli da qualsiasi relazione con le correnti dell’«avanguardia storica» di primo Novecento.
In loro era assente l’intenzione di «rottura» rispetto all’arte ottocentesca. Quegli artisti operavano in tutt’altra epoca. Agivano sul terreno scivoloso e affollato da polarità divergenti della «contemporaneità». Pur essendo incamminati lungo un sentiero stretto e sconnesso – lacerati tra musei e pubblicità, accademie e telegiornali – elaborarono intuizioni e scoperte originali e sincere: estranei alle ideologie politiche come al nichilismo della Pop Art americana.
Nel 1966 – con il Rapporto 60. Le arti oggi in Italia – Fagiolo sistematizzò i risultati delle sue immersioni nelle tendenze più innovative della pittura e delle arti visive di quegli anni.
Nove anni dopo, Fagiolo ebbe un «ripensamento» e scrisse il provocatorio: Archeologia dell’avanguardia? in cui denunciò il carattere insieme mercantile e ideologico delle arti visive degli anni ’70. Avevano disperso – praticando un’arte indigesta: commerciale e politica, analoga a quella, «mutatis mutandis», del deprecato Guttuso[2] – il patrimonio di linguaggi e di ricerche che nel decennio precedente si era accumulato.
Si espresse con durezza: «sentiamo di averne abbastanza di queste invenzioni a catena di cui il mercato abbonda, di questi artisti che si corrono dietro la coda, oppure sperimentano esperimenti già sperimentati senza saperlo o facendo finta di ignorare il passato. In entrambi i casi, il personaggio di questo tipo può vincere, ma la sua fortuna dura il tempo del bluff e la sua figura sociale non è quella del giocatore ma quella del baro»[3].
Dall’ossimoro degli anni ’70 – mercato più ideologia – Fagiolo dell’Arco volle uscire tornando a studiare e a proporre le avanguardie storiche. Lo testimoniano le mostre su Picabia (Galleria d’Arte Moderna di Torino, 1974) e su Man Ray (Palazzo delle Esposizioni, Roma 1975).
L’impegno profuso in questa direzione – tra avanguardia internazionale e arte italiana di primo Novecento – è raccolto in numerosi testi e cataloghi: Realismo magico: pittura e scultura in Italia, 1919-1925, Milano, Mazzotta, 1988; Alberto Savinio, Milano, Fabbri, 1989; Mario Tozzi (pittore): Italiens de Paris, Bulzoni, 1990; Futur-Balla: la vita e le opere, Milano, Electa, 1992; Armando Spadini, 1883-1925: tra Ottocento e avanguardia, Milano, Electa, 1995.
Attraverso la collaborazione – dal 1964 – con il quotidiano socialista «Avanti!» nella pagina intitolata “Le Arti”, illustrate con disegni appositamente realizzati dagli artisti, poi con altri quotidiani e periodici, raccontò le tendenze del «contemporaneo». La sua combattiva produzione pubblicistica lo collocò fra gli intellettuali laici e controcorrente, non allineati con le ideologie egemoni della «chiesa di sinistra» italiana.
Nel dibattito alla San Luca e, soprattutto, nel volume curato da Fabio Belloni si è quindi esplorata la collocazione asimmetrica di Maurizio Fagiolo dell’Arco (allievo di Argan), impegnato e diviso fra «scrittura critica» e «scrittura storica». Lo si potrà annoverare tra gli storici/critici – al modo di Maurizio Calvesi e di Enrico Crispolti, allievi di Lionello Venturi (Modena, 25 aprile 1885 – Roma, 14 agosto 1961) – oppure tra i critici/critici – al modo di Germano Celant, Pierre Restany e Achille Bonito Oliva?
Oltre alle scelte teoriche di Fagiolo dell’Arco, nell’incontro di San Luca è stata ricordata la sua qualità di ideatore e redattore «gutenberghiano» di libri e cataloghi d’arte. Maurizio Fagiolo prestava attenzione minuziosa al testo così come alle immagini e al paratesto di note e didascalie. Disegnava il menabò di ogni pagina e seguiva il lavoro di riproduzione fino in tipografia.
Giulio de MARTINO Roma 23 Gennaio 2023
LA PRESENTAZIONE, mercoledì 11 gennaio 2023. Accademia Nazionale di San Luca. Palazzo Carpegna – Salone d’Onore, piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma
Maurizio Fagiolo dell’Arco critico militante 1964-1980
a cura di Fabio Belloni (Officina Libraria, Roma 2022)
Interventi: Claudio Strinati, Segretario Generale Accademia Nazionale di San Luca; Carolina Brook, Vice-Segretario Generale; Laura Cherubini, storica dell’arte; Maria Grazia Messina, storica dell’arte; Fabio Belloni, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi di Torino.
[1] Maurizio Fagiolo dell’Arco critico militante 1964-1980, a cura di Fabio Belloni, Officina Libraria, Roma, 2022. Pubblicato con il contributo di: Accademia Nazionale di San Luca, Roma; Dipartimento di Studi Storici, Università degli Studi di Torino; Galleria dello Scudo, Verona; Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini, Torino.
[2] Maurizio Fagiolo dell’Arco, “Un caffè lungo e superfluo”, «Il Messaggero», 14 ott. 1976.
[3] Maurizio fagiolo dell’Arco, “Archeologia dell’avanguardia?”, in: «Qui Arte Contemporanea», numero 15 del settembre del 1975.