di Nica FIORI
Conosciuta come la “Regina Viarum”, secondo il felice appellativo che le fu dato nel I secolo d.C. dal poeta Stazio, la via Appia segnò con la sua costruzione nel 312 a.C., a opera del censore Appio Claudio il Cieco, la nascita di quell’articolato e organico sistema viario con il quale Roma abbracciò ogni lembo del suo vasto impero, rendendo possibile la straordinaria fusione di culture e di popoli, in origine diversissimi, che costituisce il suo maggior vanto.
Lo scavo attualmente in corso a Roma in Largo Cavalieri di Colombo, davanti alle Terme di Caracalla, nasce dal desiderio di individuare il primo tratto della via, obliterato dalle fasi successive dello sviluppo urbano. Via che doveva partire da Porta Capena, l’antica porta delle mura serviane, il cui nome ricorda il percorso iniziale fino a Capua, prima di essere esteso fino a Benevento e infine a Brindisi. Ben poco resta di questa porta, perché alcuni avanzi, rinvenuti nella seconda metà del secolo XIX, sono stati interrati e solo un’iscrizione, sistemata su una vecchia costruzione nell’omonimo piazzale, indica il luogo dove essa sorgeva. Gli studiosi hanno finora avanzato ipotesi diverse sul percorso del primo miglio dell’Appia antica, ma solo l’evidenza archeologica potrà confermare il tracciato iniziale e il suo rapporto con l’imponente via Nova severiana, costruita all’inizio del III secolo dopo Cristo, che probabilmente ricalcava con una maggiore larghezza la strada antica, ma poteva anche essere una via complanare all’Appia.
Lo scavo Appia Regina Viarum è un progetto di archeologia pubblica della Soprintendenza Speciale di Roma, finanziato con fondi europei, e ha portato alla luce murature, strutture e reperti a partire dal II secolo fino all’età moderna, utili per lo studio della topografia e dell’evoluzione di quest’area, legata alla storia di Roma fin dalle sue origini. Molto suggestiva appare la visione dello scavo a gradoni, che ricorda vagamente una piramide tronca rovesciata.
Nel corso della presentazione dello scorso 24 gennaio 2023 il Soprintendente Speciale di Roma Daniela Porro ha dichiarato:
«Lo scopo, coordinato con la candidatura dell’Appia come patrimonio dell’umanità, è acquisire più informazioni possibili sull’area dove sorgeva una delle strade più importanti dell’antica Roma in un programma di interventi e iniziative per valorizzare le Terme di Caracalla e il loro contesto. Fondamentale è che la Soprintendenza continui a svolgere attività scientifica, come in questo caso collaborando con l’Università Roma 3, e utilizzando proficuamente fondi europei».
Ci si augura, in effetti, con questo scavo di ricerca di riportare l’attenzione su un’area importantissima, purtroppo costeggiata da una via di scorrimento automobilistico e che, a dispetto della maestosità delle antiche architetture, appare oggi priva di quelle strutture di accoglienza turistica, necessarie per un luogo candidato a patrimonio Unesco.
Lo studio dell’area è partito nel 2018 con una serie di indagini non invasive (georadar e carotaggi), mentre lo scavo vero e proprio è iniziato dal luglio 2022 ed è stato caratterizzato da un nuovo approccio nel campo della comunicazione: lo scavo, infatti, è stato sempre accessibile ai cittadini con visite guidate, è stata aperta una pagina Facebook e sono state pubblicate settimanalmente le relazioni su Sitar, la piattaforma web della Soprintendenza dedicata alla conoscenza archeologica.
Hanno collaborato con gli archeologi varie figure professionali, come geologi, archeosismologi e architetti strutturali all’insegna della multidisciplinarità. Grande difficoltà ha rappresentato la massiccia risalita d’acqua, dovuta a una falda acquifera, che ha reso necessario l’uso continuo di una pompa idrovora. Per questo motivo è stato impossibile arrivare agli 8 metri di profondità, dove dovrebbe trovarsi il basolato dell’antica via. Ma il ritrovamento di una strada del X secolo in battuto indica la presenza in epoca medioevale di una percorrenza che, probabilmente, ricalcava l’Appia e spinge, pertanto, a continuare le indagini, anche se il tutto dovrà poi essere ricoperto.
Spiega Mirella Serlorenzi direttore scientifico dell’indagine:
«Le strutture più antiche risalgono all’età adrianea, arrivano a quella severiana, e distano dalle tabernae davanti alle Terme circa 30 metri, che corrisponderebbero a 100 piedi romani, ovvero la larghezza della via Nova severiana come riportata dalla Forma Urbis. La stratigrafia ha soprattutto restituito le continue trasformazioni di strutture di età imperiale, con la sovrapposizione nel tempo di attività produttive o abitative. La quantità di informazioni e di materiali rinvenuti, come la moneta quadrata papale, l’anello con monogramma, un’incisione benaugurante trovata sotto una colonna, fornisce un quadro di un’area viva e frequentata fino all’alto medioevo, periodo di cui a Roma si hanno scarse testimonianze. Emerge così la trasformazione dell’Urbs imperiale nella Roma cristiana medioevale decisiva nella storia della città».
In occasione della presentazione sono stati esposti alcuni materiali, tra cui alcune piccole monete bronzee e in particolare una quadrata, raro esempio di un conio papale risalente all’epoca della Roma bizantina, databile tra il 690 e il 730. Pure in bronzo è un anello con monogramma (da sciogliere in Antonio o Antonino), risalente al VI secolo. Altri reperti sono una tavola lusoria e alcune pedine da gioco, una lucerna, resti di anfore, frammenti vitrei e altri di ceramica invetriata, di fabbricazione romana più o meno moderna, a testimonianza del proseguimento della vita quotidiana in un’area che si riteneva abbandonata dopo la caduta dell’impero. Di grande rilievo è una testa in marmo di giovane, della prima età imperiale ma rilavorata in età tardo-antica.
Come ha precisato Riccardo Santangeli Valenzani, docente di Archeologia Medievale di Roma Tre:
“I ritrovamenti sono da mettere in relazione con le istituzioni presenti nell’area di cui ci parlano le fonti, come la Basilica di Santa Balbina, la Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, l’antico titulus Fasciolae e uno xenodochio, cioè un ente destinato all’accoglienza dei pellegrini, citato dalle fonti alla fine del VI secolo sulla Via Nova severiana».
Curiosa appare la titolazione Fasciolae, derivante probabilmente dalla benda caduta da una caviglia piagata di san Pietro mentre si accingeva a lasciare Roma dalla via Appia, un po’ prima del luogo dove gli sarebbe apparso Cristo, ricordato dalla chiesetta del Domine quo vadis?
L’antico titulus Fasciolae venne sostituito dalla chiesa dei Santi Nereo e Achilleo (eretta all’inizio del IX secolo da Leone III), probabilmente perché il primitivo sito era soggetto a impaludamento, data la massiccia presenza anche all’epoca di acqua. Del resto parliamo di un fondovalle e sappiamo che già all’inizio dell’epoca imperiale il tracciato dell’Appia venne innalzato di qualche metro (e forse anche spostato); la zona, corrispondente alla XII Regio augustea, era detta Piscina publica ed era caratterizzata da piccoli balnea, ovvero bagni per la cura della persona e il riposo, che sfruttavano le sorgenti sotterranee. Nel II secolo si sviluppò un quartiere abitativo con insulae a più piani e ricche domus sorte alle pendici dei colli circostanti. Un esempio è dato dalla domus detta di Vigna Guidi, di età adrianea, in parte distrutta nella costruzione delle Terme di Caracalla, i cui ambienti affrescati sono esposti nelle stesse Terme.
La distanza tra le strutture emerse negli scavi e le tabernae davanti alle Terme corrisponde alla larghezza della via Nova (100 piedi romani, pari a circa 30 metri) come riportata dalla Forma Urbis, la grande pianta marmorea della città realizzata nel III secolo. La strada che è stata individuata, risalente al X-XI secolo, è costituita da un battuto con ciottoli e presumibilmente potrebbe essere un’attendibile testimonianza della continuazione del tracciato della via Nova severiana (a sua volta sovrapposta all’Appia, ma non si ha certezza) anche nel Medioevo. Al di sotto lo scavo ha evidenziate le tracce del crollo di un edificio, risalente al IX secolo. Procedendo ancora in profondità (e quindi a ritroso nel tempo) si è arrivati a individuare murature più antiche, fino ad arrivare all’età adrianea.
Durante la tarda antichità le strutture di epoca imperiale vennero trasformate e forse usate per attività produttive. La presenza di cenere non originata da un incendio ha fatto ipotizzare che questa venisse usata come sbiancante in un lavatoio, oppure nella lavorazione del vetro o della ceramica.
In età moderna l’area delle Terme venne utilizzata soprattutto per scopi agricoli, come testimoniano i vari orti e vigne che caratterizzavano un po’ tutto il paesaggio romano, incuneandosi pure nel centro urbano. Un’altra attività che si svolgeva presso tutti i grandi monumenti romani era la spoliazione sistematica per prelevare materiali da costruzione. Lo scavo ha intercettato una grande fossa fatta realizzare alla fine del XVIII secolo dal barone Alessandro Gavotti, proprietario del terreno. Come risulta da un documento d’archivio, nel dicembre del 1771 egli chiese un’autorizzazione per “cavare tavolozza”, cioè per lo scavo finalizzato a recuperare i mattoni antichi, che erano molto ricercati per la loro qualità.
Questo personaggio è noto alle cronache dell’epoca per un clamoroso scandalo: il processo contro la moglie, l’aristocratica Virginia Verospi, accusata di aver tentato di assassinarlo, d’accordo con il suo amante, tramite del veleno messo nel tabacco da fiuto. La donna nel 1801 venne condannata a dieci anni di reclusione in un monastero (ma ne scontò solo una minima parte), non tanto per le prove che erano solo indiziarie, quanto per la sua condotta ritenuta libertina.
Nica FIORI Roma 29 Gennaio 2023