di Rita RANDOLFI
Spesso la periferia di Roma rivela storie del tutto inaspettate che riempiono di meraviglia oppure arrivano come un pugno nello stomaco, ed i quartieri, solitamente protagonisti di pagine di cronaca nera, in realtà nascondono un fermento culturale, una sensibilità ed impegno notevoli nel voler emergere e rivendicare un ruolo nella complessità di questa capitale talmente ricca di tutto da dimenticare gli abitanti delle cosiddette borgate. Eppure oggi il cinema, l’università, stanno finalmente riscoprendo queste zone, animate da comitati di quartieri molto attivi, che lottano con le unghie e con i denti contro il degrado.
Nel giorno della memoria, in cui si commemora una delle pagine più tristi del XX secolo, non posso far a meno di attirare l’attenzione sull’affresco a graffito che orna l’abside della parrocchia di san Felice da Cantalice a Centocelle[1], nell’interpretazione drammatica che di questo e di altri eventi fornisce un artista fuori dal comune, fra’ Ugolino da Belluno.
Questi, al secolo Silvio Alessandri, era nato a Belluno il 15 dicembre del 1919, e nel 1936 entrò a far parte dell’ordine dei frati minori Capuccini di Roma. Qui studiò teologia, filosofia e si iscrisse ad un corso di medicina e chirurgia, conseguendo il diploma nel 1940. Fu ordinato sacerdote nel 1943, e, nel 1945, dopo aver frequentato privatamente un maestro di arte sacra, si iscrisse all’Istituto Beato Angelico. Frequentò fino al 1950 la Scuola di Arti Ornamentali dove si specializzò nelle tecniche dell’affresco, dell’acquaforte e della xilografia. Dal 27 marzo al 7 aprile del 1951 espose le sue opere presso la galleria San Marco di Roma.
Dimorando nel convento di via Veneto ebbe l’occasione di frequentare numerosi artisti tra i quali Giorgio De Chirico e Gino Severini, da cui apprese l’arte del mosaico[2]. Ma durante la sua carriera Ugolino utilizzò la vetrata, il mosaico, l’affresco graffito, la scultura per esprimere la sua vena creativa, sempre intimamente permeata della fede che lo aveva indotto ad indossare l’abito da cappuccino.
Le sue prime opere si conservano proprio nella chiesa di San Felice da Cantalice a Centocelle, dove oltre alla sua prima vetrata, eseguì i mosaici delle cappelle del Sacro Cuore di Gesù del 1960 circa, e di san Francesco che loda il creato e le sue creature sul lato opposto, del 1965 circa. La differenza in queste due composizioni salta immediatamente all’occhio. Mentre infatti il primo mosaico fu realizzato su cartoni del maestro dalla ditta Selva, il secondo, frutto dei suggerimenti del Severini, fu direttamente posto in opera dal frate, che rivela qui una inclinazione impressionista.
Nel 1969 l’artista si accinse a decorare anche il presbiterio della parrocchia romana, mettendo a punto l’affresco graffito. Sebbene infatti il graffito fosse stato ampiamente impiegato nell’antichità e durante il Rinascimento, basti pensare alle facciate di numerosi palazzi del centro di Roma, abbelliti dai lavori di Maturino, Polidoro, che divennero famosi proprio per questo motivo, frate Ugolino rimodernò questa tecnica con l’utilizzo di materiali moderni, come il cemento, la vinaia che, impastati con colori diversi e deposti strato per strato, venivano poi graffiti con stecchi d’acciaio flessibile, permettendo effetti plastici e illusionistici inediti.
La storia di questa decorazione nasconde un imprevisto, che portò ad una battuta d’arresto. Nel maggio del 1969, infatti, l’artista, che già aveva eseguito circa 180mq di affresco, insoddisfatto, voleva abbandonare i lavori. Il parroco dell’epoca, padre Biagio Vittorio Terrinoni, che vide una quinta absidale, ne rimase così positivamente colpito da rincuorare padre Ugolino, il quale ritrovò il suo entusiasmo ed in una settimana portò a termine il proprio operato.
Il soggetto della decorazione ruota intorno alla figura del santo titolare della chiesa, noto per essersi dedicato tutta la vita alla questua, destinata oltre che ai confratelli, ai poveri e agli ammalati, in particolare bambini, della città di Roma, dove visse dal 1547.
A sinistra sono rappresentati angeli, che porgono fiori alla Vergine raffigurata nella parte centrale. Le particolarità di questi angeli bambini sono i loro corpi disegnati come navi che fluttuano nell’universo e le loro ali che prendono la forma di mani protese in preghiera. La nave fin dall’iconografia paleocristiana, riferendosi al mestiere di san Pietro e dei primi apostoli, rappresenta la Chiesa stessa, che con l’aiuto di Dio attraversa le intemperie della vita, come insegna il brano del vangelo noto come la tempesta sedata (Marco, capitolo 4, vv. 35-41).
Questi piccoli di cui parla il Vangelo e di cui fa parte Felice stesso
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli (Cfr. Matteo, 11, 25-30)
sono gli unici che possono salvarsi, proprio perché si affidano completamente alla volontà di Dio, attraversando indenni le burrasche della vita, in un atteggiamento di perenne preghiera, cioè di relazione intima con il Padre, raffigurata simbolicamente dalle ali.
Nel registro inferiore una toccante immagine delle sofferenze inflitte ingiustamente agli innocenti: i bambini del Biafra, vittime della guerra fratricida, scoppiata in Nigeria dal 1967 al 1970, e quelli ebrei, vestiti con il “pigiama a righe”, che persero la vita nel campo di Terezin, tendono le piccole braccia verso la loro Madre celeste. I gesti concitati e i volti dei bimbi ebrei manifestano tutto il dolore, il freddo del cuore, il loro bisogno di amore. Tra gli uni e gli altri spicca il ritratto del piccolo Marco Dominici, la cui storia sconvolse non solo Centocelle, ma l’intera capitale. Il piccolo, che abitava con la famiglia in via dei Ciclamini 217, scomparve improvvisamente il 26 aprile 1970, all’età di sei anni, i suoi resti furono ritrovati nel 1977. Frate Ugolino con sensibilità e coraggio non si esime dal commemorare tutti i bambini vittime di ogni genere di violenza, attraversando, con un’immagine di straordinaria efficacia, un secolo di storia, segnato dalla crudeltà e dall’indifferenza. I colori cupi, lo spessore nero delle linee di contorno evocano i fauves tedeschi, le scritte e la foto di Marco Dominici, che pare estrapolata da un quotidiano, ricordano invece certe tele cubiste di Picasso e Braque.
I colori diventano più caldi e le linee più sinuose nella zona centrale, dove si vede san Felice protettore dei bambini, che tende le braccia verso Gesù Bambino che gli appare in visione al centro di un tondo luminoso, come se fosse sfuggito dal grembo di Maria, che tiene ancora le mani aperte in segno di offerta. La Madonna è abbigliata con un bellissimo vestito ornato di fiori, simbolo della sua purezza, della giovinezza interiore di chi ha una relazione sempre fresca e quotidiana con Dio. Il tondo dorato attorno a Gesù bambino non solo rinvia all’arte musiva paelocristiana dove l’oro è il colore per eccellenza, simbolo della presenza della Grazia divina, ma rimanda alla forma del pane eucaristico, in diretto collegamento con i pani rappresentati sulla mensa, in basso, che oltre ad evocare il rito della Messa, in cui il pane diventa Corpo di Cristo, ricorda l’elemosina giornaliera raccolta e distribuita dal santo titolare della parrocchia.
Frate Ugolino conferisce notevole importanza alle mani, in atteggiamento di offerta di Maria, in segno di supplica e di gloria di san Felice, per accogliere l’umanità quelle di Gesù e infine la grande mano di Dio a destra in alto che contemporaneamente lega il cielo alla terra, benedice e crea l’universo, rappresentato da animali e costellazioni rappresentati a destra.
Queste mani, sproporzionate rispetto al resto, e che parlano di sofferenza e amore al contempo, ricordano le prime tele di Van Gogh, come i Mangiatori di patate, assumendo il ruolo di esprimere con potenza i sentimenti dei protagonisti, di un’interiorità ricca di sfumature.
I raggi, che promanano dalla presenza di Gesù, buona novella incarnata, investono il quartiere stesso di Centocelle,
rappresentato in basso a destra con la sagoma della parrocchia che si erge tra le case ed i palazzi, sui quali san Felice invoca la protezione del Signore, come esplicita l’iscrizione alla base dell’affresco, che recita “Signore ti raccomando questo popolo”.
I colori vivaci e più caldi dell’arco absidale si spengono nei graffiti laterali, dedicati alle conseguenze del male, rendendo tangibile cosa accade quando l’uomo si allontana da Dio. In un pannello si vede in basso, la droga rappresentata da una tavola imbandita sopra un grugno di porco, il mercato dell’amore, personificato da donna in cui si compenetrano vari profili maschili.
Al centro, un bambino che legge giornali avvinghiato da un serpente con la testa a forma di pennino, rappresenta la schiavitù che reca la pornografia, mentre l’avidità è simboleggiata da un mostro fantastico con tre zampe e con un grosso becco. Nell’altro pannello la scritta “homo homini lupus” commenta la violenza della guerra, raffigurata da tre carri armati, tre teste di lupo e tre ruote cingolate a forma di testa di civetta, allegoria della morte. L’odio tra popoli viene simboleggiato dall’orso e dalla tigre. In alto, la società tecnologica prende le sembianze di un mostro costruito con bulloni, viti e unghie meccaniche.
La risposta al male risiede nelle scelte di san Felice[3] del quale sono raffigurati in un’unica composizione i momenti salienti della sua vita negli affreschi laterali al catino absidale. A sinistra, partendo dal basso, la mano di Dio si fa spazio tra il groviglio di nubi e chiama Felice a seguirlo: il santo, che svolgeva l’attività di contadino e pastore per la nobile famiglia reatina dei Picchi, era stato travolto dai buoi, rimanendo miracolosamente illeso.
Felice, che si era abituato a pregare lavorando nei campi, deciderà di entrare nel convento di Fiuggi, raffigurato sulla sinistra. Poco più in alto il santo, mentre pascola il gregge, si inginocchia a meditare davanti ad un albero, tra i cui rami appare la Vergine con il bambino. Più in alto la sagoma di una donna con bambino, simbolo di quelle mamme, spesso vedove, che Felice soccorreva con la questua, si compenetra con quella della Madonna con il Bambino che schiaccia il serpente del male. In alto a sinistra le cinque piaghe di Cristo, rappresentate dalle mani e dai piedi forati dai chiodi, dal costato, e dalla croce con sovraimpresse le lettere rosse più quella bianca riferita a Maria, – uniche lettere dell’alfabeto conosciute da Felice, che non sapeva leggere e scrivere – vogliono significare come il santo abbia alleviato, con il dono della propria vita, le sofferenze del Signore, che si perpetuano quotidianamente in quelle dei suoi figli.
Sul lato opposto dell’abside partendo dal basso si vede san Felice, che nel momento della morte, rappresentata da uno scheletro con ali di pipistrello e falce in mano, riceve l’apparizione confortante della Madonna e del bambino. Il corpo del santo giace a terra, mentre la sua anima, sotto forma di colomba, si libra in volo attraversando un reticolo e un groviglio di spine, simbolo del peccato e delle difficoltà della vita. A destra il santo insieme ai bambini prega davanti all’icona della Madonna Salus Populi Romani, di Santa Maria Maggiore, un momento che Felice organizzava spesso per i ragazzi che frequentavano quello che più tardi prese il nome di oratorio. Più in alto papa Sisto V, ex frate francescano, chiede a Felice, un pane integrale, come quello che mangiava quando era in convento. Dietro il Papa si staglia la figura in prospettiva di Cristo, nello stesso atteggiamento di accogliere l’offerta del pane. La corona di spine contrasta con la tiara del Papa, riccamente abbigliato con piviale e guanti. Frate Ugolino vuole evidenziare il contrasto tra la ricchezza del Papa e la povertà del santo, una ricchezza che si rovescia agli occhi di Dio che come recita il Magnificat “Ha disperso i potenti nei pensieri del loro cuore, ha innalzato gli umili”. Il pannello culmina con un abbraccio tra due popolani che si riappacificano, mentre si compenetrano le sagome di due colombe a testimoniare l’attività spesso svolta da Felice, che in più occasioni aveva diviso le risse che scoppiavano tra bande di rivali, riportando la tranquillità.
Per gli argomenti trattati, oltre che per la tecnica impiegata, l’arte di fra’ Ugolino si impone per bellezza e profondità, lanciando un messaggio quanto mai attuale, che prende vita proprio da una periferia spesso ferita, che trova nei valori autentici della solidarietà, della condivisione, la sua ragione di sopravvivenza e la spinta a lottare attivamente contro ogni tipo di discriminazione e di violenza.
Forse non è un caso che davanti la chiesa sia stata rimontata la croce di Thorvaldsen, proveniente dall’esterno della chiesa dei Cappuccini di via Veneto. Forse non è un caso che anche Pasolini scelse la piazza antistante la parrocchia per girare alcune scene di Accattone. Forse non è un caso che all’esterno dell’Oratorio a fianco della chiesa un murales ricorda che proprio qui Claudio Baglioni ha trascorso la sua adolescenza. Forse non è un caso che i più semplici siano quelli più pronti ad amare, forse … mettere insieme tutti questi indizi in un giorno come oggi non è un caso. Non a caso oggi, oltre che ricordare, bisogna sperare e darsi da fare per ricostruire un mondo migliore e smettere di voltarsi sempre dall’altra parte.
Rita RANDOLFI Roma 5 Febbraio 2023
Note