di Gaetano BONGIOVANNI
Il patrimonio della pittura del XVI secolo a Palermo consente ancora di individuare alcune significative testimonianze che delineano un verosimile percorso da contesti di committenza religiosa al collezionismo dell’Ottocento, sempre attento alle antiche tavole dipinte. In questo breve contributo, infatti, presenteremo due opere frammentarie della prima metà del Cinquecento confluite nel collezionismo privato ottocentesco come attesterebbero peraltro le affini cornici lignee e dorate, denominate a mezza canna, diffuse nel XIX secolo soprattutto in Sicilia.
Si tratta di una lunetta con la Madonna col Bambino fra i Santi Pietro e Antonio abate (Fig. 1; 59 x 120 cm., senza cornice) conservata presso l’Opera Pia Istituto Santa Lucia e di un brano di predella con la raffi- gurazione del Salvator Mundi e dei Santi Gennaro – dipinto in abiti vescovili con libro, pastorale e mitra – e Aniello della collezione Santocanale.
L’Opera Pia nasce a fine Settecento come “Reclusorio per fanciulle orfane” grazie ai governatori del Monte di Pietà e fu diretta da religiose che vestivano l’abito domenicano; nel tempo accrebbe la proprietà dei beni posseduti dai privati donatori appartenenti all’aristocrazia o alla borghesia emergente. La relazione di spesa del nuovo Reclusorio fu redatta il 23 giugno 1781 da Pietro Raineri “ingegnero” del Senato palermitano. La caratterizzazione stilistica della lunetta (1) – frutto quasi certamente di una donazione – ci ha orientati subito verso il catalogo del pittore Vincenzo da Pavia degli Azani, (Pavia ? – Palermo, 16 luglio 1557) la cui presenza è documentata a Palermo sin dal 1519, soprattutto per il rapporto stringente fra il gruppo Madonna / Bambino con alcune opere del catalogo del De Pavia: la Madonna col Bambino del Collegio Alberoni di Piacenza2, forse un’opera giovanile, e la pala, già nella chiesa di San Pietro Martire a Palermo, con la Madonna col Bambino e i Santi Pietro Martire, Stefano, Agata e Caterina d’Alessandria, ora nella Galleria di Palazzo Abatellis (inv. 124), dove il pittore «manifesterebbe una congiuntura Lotto-Raffaello» (3). Ma il riferimento più immediato della lunetta con Vincenzo da Pavia appare certamente dato dal confronto con un’altra lunetta, recante le medesime figure, già nella collezione di Agostino Gallo (Fig. 2) e poi transitata alla Galleria di Palazzo Abatellis (inv. 127) (4).
Così la descrive il Gallo:
«La Madonna col bambino tra San Pietro e Sant’Antonio (…) tavola bislunga dipinta da Anemolo (…) ove le teste de’ due Santi tornano lodatissime; le figure sono poco men del vero» (5);
inoltre l’annotazione «copia di G. Patania» contraddice la ricordata paternità dell’Anemolo, ovvero di Vincenzo da Pavia, lasciando aperta l’ipotesi che l’amico pittore Giuseppe Patania abbia potuto copiare questa lunetta.
La storiografia ha ritenuto di riferire la lunetta, ora all’Abatellis, a un seguace del pittore lombardo o allo stesso De Pavia come sostengono invece sia il Di Marzo (6) che Filippo Meli (7). Proprio quest’ultimo studioso pensa che la lunetta fosse in origine posta a coronamento della tavola con San Corrado, già nella chiesa di Santa Maria degli Angeli o Gancia e adesso a Palazzo Abatellis, ipotesi abbracciata pure dalla Viscuso che nota quanto il riferimento stilistico al De Pavia sia valido nonostante qualche debolezza esecutiva riscontrabile sulle mani e su alcuni brani del panneggio.
La pala con San Corrado è documentata agli anni 1548-49 e conseguentemente anche la lunetta; la figura irsuta e altera del santo si affaccia su un ampio paesaggio segnato da rupi e spelonche. Occorre infine segnalare che nel documento di allogazione la lunetta doveva presentare San Paolo, poi probabilmente sostituito per volontà del committente, Vincenzo Cappello, con San Pietro. Altri studiosi suppongono che la lunetta commissionata con la Madonna col Bambino tra i Santi Paolo e Antonio abate non sia pervenuta (8).
Ritornando alla lunetta rintracciata presso l’Opera Pia Santa Lucia occorre subito affermare che non può assolutamente trattarsi di una copia ottocentesca per configurazione di stile e materiali costitutivi (9). Infatti nonostante le ridipinture – visibili soprattutto sulle mani – e le consistenti vernici ossidate, l’opera, olio su tavola, appare ascrivibile al XVI secolo. Una seconda versione dipinta da Vincenzo de Pavia, peraltro fedelissima alla lunetta Abatellis, oppure una copia coeva di un pittore della sua bottega? Le dimensioni pressoché identiche delle due lunette lascerebbero aperte entrambe le ipotesi. La straordinaria omogeneità delle quattro figure, dalla postura alle scelte cromatiche, legano i dipinti ma soprattutto appare riguardevole l’affinità del Bambino, quasi sovrapponibile nelle due tavole. Solo un’auspicabile restauro della lunetta, ora riscoperta, potrà certamente dirimere ogni dubbio, sebbene le due ipotesi prospettate convergano insieme a precisare il ruolo svolto a Palermo dal pittore raffaellesco Vincenzo da Pavia, responsabile di un ricco catalogo di opere che connotano la diffusione della maniera moderna fra le chiese, i conventi e le confraternite palermitane.
La seconda tavola qui illustrata proviene da una delle più ricche raccolte d’arte siciliane con spiccate predilezioni per i dipinti su tavola fra tardo-medioevo e fine Cinquecento, anche se non mancano importanti opere del Seicento e oltre. Infatti la collezione Santocanale rivela una particolare peculiarità nel panorama del collezionismo palermitano del XIX secolo e riportando alla memoria alcuni capolavori si può comprendere la sua eccezionalità. Dal notissimo Battesimo di Cristo di Tommaso de Vigilia – analizzato dalla Di Natale nel suo studio d’esordio (10) – ai dipinti tardo-medievali presentati nel 1953 alla memorabile mostra su “Antonello da Messina e la pittura del ’400 in Sicilia”, fino alle tavole fiamminghe come, ad esempio, la Dormitio Virginis di Petrus Christus (11) poi venduta alla Timken Art Gallery di San Diego (California) e il Santo Volto, ovvero il Velo della Veronica, di Dieric Bouts (12).
Nella raccolta vi sono pure alcune sculture e tra queste la statua a tutto tondo raffigurante l’Arcangelo Michele (1567), concordemente assegnata a Fazio Gagini, della Cattedrale di Palermo e donata intorno alla metà dell’Ottocento a Filippo Santocanale come informa il Di Marzo nella sua monumentale opere sui Gagini (13). Filippo Santocanale (Palermo, 1797 – 1884), avvocato, amico di Vincenzo Bellini, fu deputato nella Regia Camera durante l’VIII legislatura, e a lui insieme al ricordato Giuseppe Santocanale Denti, si deve in gran parte la formazione della collezione nella sua principale consistenza (14). Per le scelte culturali e di gusto, la collezione dei Santocanale, nella Palermo dell’Ottocento, appare in linea solo con la collezione Chiaramonte Bordonaro, adesso divisa tra più eredi.
La tavola Santocanale (Fig. 3) costituisce senza margini di dubbio la parte centrale della predella di un complesso pittorico quale un polittico, trittico o pala d’altare e a un esame immediato sembra legarsi alla prima diffusione del raffaellismo in area partenopea (15).
La postura delle tre figure campite in uno spazio limitato, proprio di una predella, sono colte frontalmente e solo il Salvator Mundi mostra un’articolazione più complessa con le mani che benedicono o reggono il globo. I due santi che lo attorniano – Gennaro e Aniello – palesano una riuscita pittorica visibile nella cromia e nell’articolazione dei panneggi.
Una certa vivacità dell’aspetto cromatico è maggiormente visibile su San Gennaro e sul Salvator Mundi, in parallelo a certe opere mature di Andrea Sabatini da Salerno (1480 ca.-1530), il principale pittore regnicolo del primo Cinquecento
«rinnovatore della pittura meridionale in senso moderno e raffaellesco, rivela la decisa preoccupazione di quel grande patriarca della storiografia critica di Napoli <Bernardo de Dominici> nel voler nobilitare tutta la pittura cinquecentesca napoletana, quale emanazione diretta della maniera raffaellesca» (16).
Al temine del secondo decennio del XVI secolo le opere di Andrea sembrano virare verso una interpretazione espressiva del raffaellismo più avanzato come dimostra lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Nocera (convento di Sant’Antonio), firmato e datato nel 1519, parte di un polittico frammentario e altre opere che risentono pure dell’influsso del pittore spagnolo Pedro Machuca, probabilmente presente a Napoli in quel periodo (17).
Poco dopo ripiega verso un cliché classicistico sereno ed equilibrato che ben traspare da alcune opere degli inizi del terzo decennio: il Polittico dipinto per Iacopo de Riccardo (1521), adesso nel Museo di Capodimonte e la Madonna col Bambino in trono e i Santi Giovanni Gualberto, Bernardo, Salvi e Benedetto, eseguita per il generale dei villombrosani Biagio Milanesi (datata 1522) per il Duomo di Gaeta, poi a Compton Wynyates, collezione dei marchesi di Northampton (Fig. 4).
Proprio le teste dei santi di questa piccola pala (soprattutto quella di San Bernardo) sono intimamente raffrontabili a quelle della nostra predella Santocanale e peraltro le aureole dorate ap- paino molto simili. Quest’opera di Andrea da Salerno segna per Leone de Castris
“un ritorno invece a una presentazione più simmetrica, stante e ordinata, a un linguaggio più semplice e soprattutto all’esempio di Raffaello e della sua Madonna del pesce (18) ora al Prado ma dipinta per la chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli su richiesta di Giovan Battista del Duce e descritta nella notissima lettera del Summonte del 20 marzo 1524.
Pertanto una datazione prossima alla paletta di Compton Wynyates, 1522, può accostarsi anche alla Predella Santocanale, un dipinto che ulteriormente contraddistingue, al pari delle citate opere raccolte, l’importanza della collezione palermitana.
Gaetano BONGIOVANNI Palermo 2 Aprile 2023
*Questo breve saggio è stato da poco tempo dato alle stampe nella poderosa pubblicazione Il bello, l’idea e la forma: studi in onore di Maria Concetta Di Natale, a cura di P. Palazzotto, G. Travagliato e M. Vitella, Palermo, University Press, 2022 ( 2 voll.)
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