di Jerzy MIZIOLEK & Francesca CECI
Jerzy Miziołek (Università di Varsavia, Faccoltà di Archeologia)
Francesca Ceci (Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali – Musei Capitolini)
Nel 1873, i quattrocento anni dalla nascita dell’autore del De rivolutionibus, che cambiò completamente visione dell’Universo, furono celebrati da due dipinti di artisti polacchi di Varsavia e di Cracovia, “Niccolò Copernico insegna matematica a Roma” di Wojciech Gerson e “L’astronomo Copernico o il dialogo con Dio” di Jan Matejko. La prima opera è ancora poco conosciuta, mentre la monumentale tela di Matejko, esposta nel Collegium Novum dell’Università Jagellonica di Cracovia, guadagnò una notorietà immediata. Nel 2021 è stata presentata, con grande successo, alla National Gallery di Londra.
Oltre alla tela di Gerson, furono eseguite alcune raffigurazioni del geniale astronomo durante il suo soggiorno a Roma, che illustrano un bel libro francese dimenticato. Infine, vi sono due grandi opere anch’esse poco note, benché si tratti di due veri capolavori: del progetto della vetrata – opera di Stanisław Wyspiański – intitolato “Il sistema solare di Copernico” e la statua marmorea dell’astronomo eseguita nel 1873 da Oskar Sosnowski.
Jan Matejko (1838-1893), il più grande pittore polacco dell’Ottocento, è noto in Italia per la celeberrima tela intitolata Giovanni Sobieski III a Vienna esposta nella Sala Sobieski dei Musei Vaticani. Il monumentale dipinto fu donato a papa Leone XIII nel dicembre 1883. Dieci anni prima il pittore aveva realizzato un altro imponente capolavoro intitolato L’astronomo Copernico o il dialogo con Dio (fig. 1) [1].
Proprio mentre Matejko lavorava alla sua opera, Józef Szujski, noto storico di Cracovia, compose il poema-dramma “Copernico”, ispirato ai modelli classici francesi di Racine e Corneille:
Ascolta! La notte era stellata, lucente / Sopra la torre di Frombork, inginocchiato / Scrutavo l’immenso mistero celeste / Rapito e tra le braccia protese verso l’alto / è calato il grande mistero Divino / È discesa la grande luce della vita / Ciò che rompeva i numeri e le lettere / È bastato un attimo a ispirarmi / Poi l’intuizione s’è vestita di certezza / I miei calcoli sono assurti a prova / Insieme alla terra, che recava il mio pensiero alato / Mi sono sentito trasportare nello spazio verso soli e verso mondi [2].
Il componimento è probabilmente la fonte letteraria primaria del dipinto, benché alcuni studiosi vi vedano, al contrario, la sua trasposizione poetica. Alla tela, di notevoli dimensioni (225 x 315 cm), Matejko incominciò a lavorare nel 1871, o forse già prima; lesse libri, si procurò la strumentazione, fotografie (tra cui quelle della cattedrale di Frombork in cui l’astronomo visse per decenni e dove morì) e, infine, eseguì due bozzetti preparatori, di cui uno simile alla versione definitiva [3]. L’opera venne prontamente esposta nel febbraio 1873 (Copernico naque il 19 febbraio) nel municipio di Cracovia per celebrare solennemente la grande ricorrenza. A tutti i visitatori fu donata una xilografia della nuova opera del Maestro. Di lì a poco il quadro fu trasferito all’Esposizione Universale di Vienna per ricordare la storia, la cultura e le scienze di un paese, la Polonia, da tempo scomparso dalla mappa d’Europa e riapparso solo nel 1918.
Frutto di studi eruditi e della scrupolosa ricerca di un modello per il grande astronomo (individuato, infine in un medico e naturalista polacco – Henryk Levittoux), il dipinto divenne proprietà dell’Università Jagiellonica, nelle cui mura il geniale astronomo studiò dal 1491 al 1495. Dopo il 1873 il quadro avrebbe viaggiato all’estero una volta sola, nel 1950, per essere esposto a Mosca. La sua recente presenza a Londra nella mostra intitolata “Conversations with God. Jan Matejko’s Copernicus” (2021) è stato un evento di grande prestigio di cui è assolutamente degna questa emblematica rappresentazione dell’intuizione scientifica e della mente umana vagante negli spazi infiniti del cosmo[4].
Grazie alle scoperte copernicane il Rinascimento, che regalò al mondo il culto della simmetria, dell’armonia e miriadi di raffigurazioni del cielo stellato sotto cupole altere con il loro oculi al centro, poté dirsi compiuto.
“In mezzo a tutti sta il sole – leggiamo nel I libro, cap. X del De Revolutionibus -. In effetti, chi, in questo tempio bellissimo, potrebbe collocare questa lampada in in luogo diverso o migliore di quello da cui possa illuminare tutto insieme?… Troviamo dunque in questa disposizione una ammirevole simmetria del mondo e un rapporto armonico preciso tra movimento e grandezza delle sfere, quale non è possibile rinvenire in altro modo”[5].
Il dipinto di Matejko è ambientato nell’osservatorio allestito su un terrazzo con vista sulle due torri della chiesa di Frombork in una notte di luna di straordinario chiarore. Copernico è chino sul ginocchio destro, il volto rapito, come se la geniale intuizione gli fosse balenata nella mente in quel preciso istante, coronando tutta la mole del suo lavoro e delle sue speculazioni. Ecco confermati i presentimenti di quella nuova visione del cosmo. Si affrontano, in uno scontro quasi sublimato, tre fonti di luce: la luna, l’alba e la lanterna. L’Astronomo solleva le mani estasiato come san Francesco quando riceve le stimmate o quando dialoga con Dio (fig. 2) [6]. Nella sinistra tiene il compasso. Accanto a lui risplende la tavola del sistema eliocentrico e un metro rigido dispiegato. L’osservatorio sul terrazzo è il palcoscenico; i libri, gli strumenti (tra cui il triquetrum, il triangolo parallattico usato per misurare la distanza tra la terra e la luna) caratterizzano il ritratto di uno scienziato.
Matejko riempie lo spazio in primo piano con utensili dipinti con realismo, ma non sempre fedeli alla realtà storica. Il cannocchiale e il compasso, inventati da Galileo dopo la morte di Copernico, sono un voluto richiamo al grande scienziato italiano del Seicento, fautore e propagatore della scoperta dell’astronomo polacco.
Per riprodurre le sembianze del grande astronomo e individuare il modello adatto, il maestro Jan Matejko ricorse a varie illustrazioni, tra cui la xilografia di Tobias Stimmer del 1587 (basata – si dice – su un autoritratto perduto di cui esiste una copia nella cattedrale di Strasburgo) e l’incisione di Jeremias Falck del 1645 circa [7]. È presumibile che il momento colto nel quadro sia lo stesso evocato nel dramma Kopernik di Józef Szujski e, che dunque, abbia avuto luogo nel 1520. Lo confermerebbe un’annotazione del diario di Antoni Serafiński:
“Il dramma di Szujski messo in scena nei due giorni della celebrazione [febbraio 1873] è il commento vivente del quadro dello zio [Matejko]: il momento colto dallo zio è declamato da Copernico in uno dei dialoghi”.
Sicché il Copernico del quadro avrebbe avuto 47 anni. Il che potrebbe coincide, in effetti, con il momento della scoperta che “rivoluzionò” il mondo.
Ma quando in verità nacque nella mente di Copernico la teoria eliocentrica o almeno qualche dubbio riguardo la teoria geocentrica di Tolomeo? Durante gli studi a Cracovia o quelli in Italia o forse a Roma? Fu Maciej di Miechów, professore dell’Università di Cracovia, a registrare per primo l’esistenza del Comentariolus di Copernico nel marzo 1514, in cui si legge: “Tutte le sfere ruotano intorno al Sole”; inizia così una nuova era nella storia della scienza[8]. Ma lungo la strada che porterà a tale scoperta e alla pubblicazione del De Revolutionibus (1543) si trova la Città Eterna, nell’Anno Santo 1500[9].
Copernico a Roma e il dipinto di Gerson.
La grande tela monocromatica di Wojciech Gerson (1831-1901) del 1873, intitolata Niccolò Copernico insegna matematica (astronomia) a Roma (versione finale redatta nel 1876 è smarrita), raffigura Copernico che tiene una lezione davanti ai più illustri personaggi della cultura dell’epoca. Quest’opera, di cui esiste una copia in acquarello (regalata dal pittore al Museo Copernicano di Roma, fig. 3)
e almeno due versioni incise (fig. 4), è un’interessante rievocazione degli studi compiuti del geniale astronomo in Italia e in particolare a Roma [10].
Nel 1500 soggiornò circa 10 mesi nell’Urbe, da marzo o dai primi di aprile, e qui tenne – secondo la Narratio prima del suo allievo Giorgio Gioacchino Retico (1540) – una serie di lezioni presso l’Accademia Romana o l’Università[11]. Ecco le parole di Retico:
“Mio Maestro a Bologna, non tanto allievo quanto piuttosto aiutante e testimone delle osservazioni dell’eminente studioso Domenico Maria [Novara], mentre a Roma, intorno al 1500, all’età di 27 anni circa, in mezzo a una grande folla di studenti e tra uomini augusti ed esperti in questo campo della scienza, come professore di astronomia (Mathematum) [insegnava]”[12].
Filippo Maria Renazzi riprende la testimonianza del Retico e scrive:
«discepolo e compagno indivisibile del Copernico racconta – (il Retico nella sua Narratio[prima]) – che il medesimo in età ancora fresca venuto a Roma, non solo per alcuni anni vi sostenne lʼimpiego di pubblico Professore di Matematiche, ma ancora vi fece molte osservazioni astronomiche con sì gran plauso e concorso che la scuola era sempre piena di discepoli e frequentata dai più dotti uomini della città e della corte di Roma»[13].
Vale la pena di citare anche un brano dal libro di Angus Armitage, uno dei biografi di Copernico:
“Copernico rimase un anno intero nella Città Eterna, tenendovi lezioni straordinarie di matematica e di astronomia. A questo periodo della sua permanenza a Roma risale un’altra delle osservazioni citate nel suo libro [De Revolutionibus]. Questa volta si trattava di un’eclisse di Luna, verificatasi il 6 novembre 1500”[14].
L’osservazione precedente era quella fatta a Bologna il 9 marzo 1497 in cui la Luna passava davanti alla stella fissa Aldebaran, nascondendola alla vista (De Revolutionibus IV, 27). Riguardo l’osservazione dell’eclisse di Luna a Roma si parlera più avanti.
Il dipinto di Gerson ha un valore piuttosto simbolico e sotto ogni personaggio è riportato, nelle stampe, il suo nome, in una composizione ideale che riunisce insieme le più illustri personalità dell’Umanesimo e dell’arte italiana viventi a cavallo del Quattro e Cinquecento. Sul verso della copia del dipinto, eseguita in acquarello, che apartiene al Museo Copernicano, l’artista ha scritto (in polacco) le seguenti parole:
Nicoló Copernico, astronomo Polacco, spiega il suo sistema astronomico a Roma (1500) davanti ai noti personaggi contemporanei: Papa Alessandro VI, Domenico Novara, Fracastoro, Signorelli, Leonardo da Vinci, Bramante, Buonarroti, Bembo, Castiglione, Perugino, Michelozzi. Disegnai di mia mano, secondo il mio quadro eseguito a Varsavia nel 1876. É il mio dono al Museo Copernicano a Roma. Wojciech Gerson Varsavia 8.II.1877[15].
Nella descrizione non è menzionato Raffaello, che nel 1500 era diciassettenne e giunse Roma otto anni più tardi. Gerson lo sapeva bene ma da un famosissimo capolavaro dell’Urbinate, la Scuola di Atene, trasse la solenne atmosfera della Lezione Copericana e anche qualche citazione. Ne è esempio un giovane seduto (il suo nome non è riportato sulla stampa) visto in primo piano proprio sotto Copernico in cattedra. Il giovane prende le note mentre ascolta la lezione molto attentamente; la sua posizione del tutto caratteristica ripete fedelmente l’attegiamento di un giovane raffigurato in fondo, a destra, sopra il gruppo di astronomi e astrologi. Copernico in cattedra, vestito da professore, sicuro di sé, sembra parlare con orgoglio delle sue ricerche. Lo ascolta e guarda attentamente Leonardo da Vinci con la sua barba imponente, mentre Michelangelo, pure facilmente riconoscibile, è immerso in quei pensieri che lo porteranno alla creazione della sua opera immensa nella Cappella Sistina.
L’Accademia Romana era frequentata da eminenti studiosi, organizzava incontri e dispute scientifiche, occasioni utili per scambiare idee in ambito matematico e astronomico. Tra i docenti dell’Accademia vi fu anche il giovane Copernico, affiancato da Domenico Maria Novara [16]. Si accennò mai, nel corso di quelle lezioni, alla scoperta che Copernico avrebbe reso pubblica soltanto nel 1543 e, prima, parzialmente, nel Commentariolus (circa 1510)? Di sicuro sappiamo che la teoria eliocentrica era perfettamente nota a Roma almeno con dieci anni di anticipo sulla pubblicazione De Revolutionibus.
Nel giugno del 1533 era stata infatti esposta a papa Clemente VII da Albert Widmanstadt, suo consigliere filosofico e teologico. L’incontro, al quale presero parte Frà Ursino, il cardinal Salviati, il vescovo di Viterbo e Matthias Curtius, si tenne nei Giardini Vaticani [17]. Di lì a poco Clemente VII chiamò a Roma Michelangelo perché dipingesse il Giudizio Universale sulla parete dell’altare della Cappella Sistina. A detta di alcuni studiosi, l’imponente affresco, portato a termine sotto il pontificato di Paolo III, rappresenta il Cristo, sole di giustizia, posizionato al mezzo del vortice cosmico. Proprio a Paolo III Copernico dedicò il De Revolutionibus ed è molto probabile che l’originalità compositiva del Giudizio Universale e la stessa rappresentazione del Giudice si rifacciano a quell’opera, così come il particolare misticismo del dipinto di Matejko e anche per certi versi di quello di Gerson.
Va aggiunto che Leonardo, tra i suoi appunti matematici e astronomici, scrisse in maiuscolo IL SOLE NON SI MUOVE. Estremamente interessanti sono anche gli altri suoi pensieri sulla natura della nostra stella e infine l’affermazione: “Non si ritira chi è legato a una stella“[18]. Gerson forse lo sapeva, in quanto aveva condotto studi approfonditi sui disegni e sui testi di Leonardo; il frutto di questi è la traduzione in polacco del Trattato sulla pittura del genio fiorentino, pubblicata nel 1876.
La grande tela monocroma di Gerson, ora esposta nel Castello di Olsztyn (Copernico ci abitó quasi tre anni), l’acquerello oggi conservato al Museo Copernicano di Roma, e infine le stampe tratte dal quadro attendono ancora un’analisi più dettagliata.
Copernico osserva l’eclisse lunare a Roma sul Foro Romano e al Colosseo
Il soggiorno romano di Copernico è del tutto certo. Ne parla non solo Reticus nel brano sopracitato ma anche il nostro astronomo nel De Revolutionibus (IV, 14), ricordando l’eclisse di Luna da lui osservata alle due della notte tra il 5 e il 6 novembre 1500, scrive: “la seconda eclissi abbiamo noi stessi osservato con la massima diligenza a Roma, nel 1500, alla fine del 5 [dopo le None di] novembre, e più esattamente 2 ore prima di mezzanotte che preludeva all’ottavo giorno prima delle Idi [il 6 novembre]”[19]. Biliński nel suo prezioso studio sugli astronomi polacchi a Roma[20], evidenzia la documentazione dell’epoca relativa alle condizioni metereologiche precedenti la notte in cui si verificò l’eclisse, caratterizzata da un’eccezionale pioggia che causò un’inondazione tale che per raggiungere il Vaticano bisognava andare in barca, il crollo di alcuni palazzi vicini al Tevere e ingenti danni nella città. La notte dell’eclisse il tempo si era rasserenato e un vento di tramontana aveva fugato le nuvole, creando condizioni ottimali per l’osservazione lunare. Non si ha documentazione riguardo il luogo da dove Copernico compì la sua osservazione, ma si può ragionevolmente supporre da un punto elevato di Roma, una torre, un palazzo o una collina[21].
Louis Figuier e l’immagine “popolare” di Copernico
Le notazioni dirette di Copernico e le sue biografie redatte da Reticus, Pierre Gassendi (il primo vero biografo di Copernico, che scrisse però solo nel Seicento) e i testi di altri autori, tra cui il polacco Jan Śniadecki (1801), vennero studiate attentamente nel secondo Ottocento dallo scrittore, medico e divulgatore scientifico francese Louis Figuier (1819-1894)[22], autore dell’imponente opera intitolata Vies des Savants illustres de la Renaissance avec l’appréciation sommaire de leurs travaux, edita a Parigi nel 1868 e accompagnata da illustrazioni realizzate, come scritto nel frontespizio, da E. Morin anche su disegni originali di altri autori.
Il volume affronta in maniera divulgativa ma attentamente documentata la biografia di personaggi illustri (savants) dall’antichità al XIX secolo, tra i quali è naturalmente annoverato, nel volume dedicato ai grandi del Rinascimento, Nicolò Copernico[23].
Il capitolo dedicato all’astronomo riporta diligentemente e dettagliatamente quanto noto all’epoca su Copernico, dalla sua nascita sino alla morte, degli studi in Polonia e in Italia e naturalmente del suo soggiorno romano, quando osservò la già ricordata eclisse lunare del 6 novembre del 1500. L’interesse del libro, che permette al vasto pubblico di conoscere vita e opere dell’insigne scienziato polacco, consiste anche nelle tre illustrazioni che corredano il capitolo: il busto di Copernico (fig. 5), Copernico osserva l’eclisse lunare a Roma (fig. 6) e Copernico sul letto di morte con il De Revolutionibus in mano (fig. 7).
La prima raffigura un busto giovanile dell’astronomo entro cornice, con i lunghi capelli biondi che lo avvicinano all’immagine di Raffaello, il volume De Revolutionibus, alcuni strumenti scientifici in legno utili alle osservazioni celesti della sua epoca, tra cui un compasso, il triquetro, una sfera armillare. In basso la firma E. Morin .
Di particolare fascino è la seconda tavola dedicata all’osservazione dell’eclisse lunare nella notte tra il 5 e 6 novembre 1500, firmata a sinistra Badoureau e a destra E. Morin . Si tratta di un’incisione ottocentesca del pittore e litografo francese Jean François Badoureau (1788-1881) derivata, secondo quanto scrive Biliński,[24], da un precedente disegno del pittore francese François Sorin (1655-1736)[25] eseguito nel primo 700, che poi Morin avrebbe rielaborato per questo volume, apponendo la sua firma. É però possibile che Bilińskii, che forse non conosceva il volume di Figuier e che aveva solo a disposizione la tavola della collezione di Artur Wolinski oggi al Museo Copernicano di Roma, abbia letto la firma a destra come Sorin invece che Morin.
Il giovane Copernico, di spalle, osserva il cielo da un terrazzamento che guarda verso il Foro Romano. Partendo da sinistra, si riconoscono in primo piano l’arco di Costantino, l’arco di Tito nella forma già ricostruita dal Giuseppe Valadier, la torre e la chiesa di Santa Francesca Romana con davanti una muratura antica a forma di arco (relativa al Tempio di Venere e Roma?); sullo sfondo la mole del Palazzo Senatorio in Campidoglio e la torre capitolina del palazzo stesso. Tra il Palazzo Senatorio e il bordo della stampa vi sono a sinistra degli edifici e pare riconoscersi tre torri e una bassa cupola: che si possa trattare, partendo da destra, della Chiesa del Gesù, il Pantheon, la torre di Sant’Ivo alla Sapienza e Sant’Andrea della Valle? Quindi l’artista non ha voluto rappresentare la Roma dell’epoca di Copernico.
L’astronomo, volto di spalle, porta i capelli tagliati sulle spalle e indossa un baschetto; gli abiti sono quelli tipici cinquecenteschi. Dietro l’astronomo c’è un globo, forse celeste, una lanterna posata sul muro, un compasso, un foglio con appunti e accanto a lui uno sgabello. Copernico osserva la luna attraverso uno strumento ottico in legno che presenta ai due capi un mirino, una sorta di ibrido tra un cannocchiale e una mira. Lo strumento è retto da un’asta a tre piedi, che presenta la foggia dei supporti per cannocchiali usati nel XVIII secolo; anche l’impugnatura e la posizione rialzata ricordano le prime osservazioni ai cannocchiali della seconda metà del ‘600 o prima metà del ‘700[26].
La scena è ambientata su una terrazza con balaustra in muratura e a destra si notano grossi blocchi e l’accenno di un’arcata. Dato il panorama, parrebbe trattarsi di una balconata all’interno dell’Anfiteatro Flavio, che effettivamente permetterebbe di vedere a occhio nudo i monumenti rappresentati, eccezion fatta per le cupole in fondo a sinistra.
Nella versione spagnola del volume di Figuier La ciencia y sus hombres: vidas de los sabios ilustres desde la antigüedad hasta el siglo XIX, vol. 2, Barcellona 1880, nel frontespizio del volume sono indicati i nomi dei vari disegnatori, e non compare l’autore E. Morin dell’edizione francese; inoltre le stampe sono colorate, conferendo un bel risalto al volume, anche se la qualità artistica è minore[27]. Forse per un problema di licenza relativa alla riproduzione delle immagini, nel volume spagnolo le stampe che illustrano la vita dei vari personaggi sono diverse da quelle dell’edizione francese; i vari disegnatori dell’edizione spagnola, pur basandosi precisamente sull’impostazione iconografica dei disegni a firma di E. Morin, ne danno una versione colorata leggermente differente.
Riguardo all’illustrazione con Copernico a Roma che guarda la luna (tra pp. 382 e 383 del volume spagnolo) a sinistra c’è il nome dell’editore, J. Sext Editor, e a destra quello del disegnatore J. Presno P.o. che firma anche altre immagini nel volume (fig. 8).
In questo caso il disegno cambia totalmente il punto di vista di Copernico rispetto a quello francese e sceglie come elemento principale del panorama notturno la mole dell’Anfiteatro Flavio, sicuramente meglio riconoscibile e d’impatto per i lettori dell’opera rispetto alla più specifica panoramica del Foro Romano della stampa francese.
L’astronomo, sempre abbigliato come un elegante uomo rinascimentale, effettua la sua osservazione celeste avendo sullo sfondo il Colosseo e il colle Celio con i suoi edifici (o forse il Laterano); a sinistra si riconoscono anche l’arco di Tito e dei ruderi che potrebbero essere pertinenti al Tempio di Venere e Roma. Anche qui Copernico osserva il cielo usando uno strumento molto simile a un cannocchiale e intorno vi sono gli stessi oggetti che compaiono nell’edizione francese; soltanto il foglio con il disegno è più dettagliato. Copernico si trova su un terrazzo all’aperto recintato da grossi blocchi di pietra che potrebbe situarsi presso gli Orti Farnesiani sul Palatino.
L’incisione, anche se piuttosto naif nella resa artistica, è del tutto affascinante in quanto riesce a ben rappresentare Copernico immerso nell’osservazione del mistero stellare e il più noto monumento romano del mondo, il Colosseo, illuminati dal chiarore della Luna che a breve subirà l’eclisse.
Nel libro di Renazzi si legge:
“[Copernico] a Roma […] fece molte osservazioni astronomiche con sì gran plauso e concorso”[28]:
sia nella stampa francese che nella spagnola il geniale astronomo è invece rappresentato come solitario osservatore da un’altura nel cuore di Roma, il che conferisce maggiore fascino all’immagine.
Il sistema eliocentrico di Copernico nel progetto della vetrata di Stanisław Wyspiański
Il dipinto di Jan Matejko L’astronomo Copernico o il dialogo con Dio (1873) emozionò tutta Cracovia ma, soprattutto, gli allievi del maestro e, fra loro, Stanisław Wyspiański (1869-1907). Questo genio versatile, pittore, architetto, decoratore di interni, autore di prosa e illustratore di libri rimane poco noto, se non completamente sconosciuto, in Italia, paese che amava molto pur conoscendone solo la parte settentrionale[29]. Studiò storia dell’arte e letteratura all’Università Jagiellonica e pittura alla Scuola di Belle Arti sotto la guida di Matejko. Viaggiò in Italia, Svizzera e Germania e negli anni 1891-1894 soggiornò per tre volte a Parigi, dove frequentò l’Accademia privata “Colarossi”. Wyspiański ebbe una vita breve, come Frederyk Chopin, ma con un lascito artistico e letterario imponente, coronato idealmente dal progetto di decorazione e allestimento completo della sede della Società Medica di Cracovia, il cui fulcro è la grandiosa vetrata raffigurante Apollo-Sole attorniato da sette pianeti. Di essa rimane il bel progetto, eseguito alla fine del 1904 con la tecnica del pastello (fig. 9) [30].
Del modello (346×146 cm) impressionano la concezione artistica e l’altissimo pregio esecutivo. Fu preceduta da un piccolo ma completo bozzetto eseguito a matita e gessetto.
“Vogliamo dedicare questa vetrata a Copernico perché la nostra casa è l’asilo delle scienze naturali polacche e comprenderà anche la Società a lui intitolata”[31].
Nelle parole del committente, il presidente della Società di Medicina dottor Jan Nowak, insigne medico e politico, c’è già il preannuncio dell’opera ispirata al quadro di Matejko. Come i suoi idoli rinascimentali Michelangelo e Raffaello, di cui aveva studiato e più volte copiato le opere (tra le altre le scene della volta della Cappella Sistina e delle Logge di Raffaello), Wyspiański presenta anche in questa occasione una potente inventiva supportata dalla profonda conoscenza dell’astronomo formatosi a Cracovia, dell’iconografia dei pianeti e della simbologia solare[32].
L’elemento centrale della composizione è la figura monumentale di Apollo con la cetra a tracolla. Il Dio della luce, patrono della poesia, della musica, delle arti figurative, della scienza e della medicina è proposto come dio-Sole con le sfere celesti, personificazioni dei pianeti e raffigurati con sembianze umane, che gli orbitano intorno. Il volto, il petto e lo strumento riverberano un bagliore giallo intenso che erompe tra le tante sfumature di azzurro. In effetti Wyspiański stravolge il sistema dei pianeti separando quelli maschili (Saturno, Giove, Marte e Mercurio a sinistra, e Venere, la Luna e la Terra calpestata dal Sole a destra), ma la sua composizione si richiama espressamente a Niccolò Copernico ed è un omaggio alla più grande scoperta delle scienze naturali polacche, la teoria esposta nel De Revolutionibus.
Essa contiene riferimenti non solo alla celebre tabella del sistema eliocentrico e alla raffigurazione di Apollo con la lira su un anello posseduto da Copernico, ma anche alle rappresentazioni del Cristo in croce come, per esempio, sul Crocifisso medievale della regina Jadviga nella cattedrale del Wawel. A sua volta, l’idea dell’Apollo si rifà alle celebri rappresentazioni degli Schiavi michelangioleschi, conservati al Louvre, più volte visionati e abbozzati dall’artista al museo parigino nel suo taccuino.
Wyspiański conosceva perfettamente i vari aspetti del dialogo tra cristianesimo e antichità, riflettendoli nell’iconografia a pastello e, successivamente, nelle vetrate che richiamano l’idea neoplatonica e la correlazione tra i simboli cristiani e la visione antica del cosmo. Un sconosciuto seguace di Copernico, nel poema Septem sidera (sette canti dedicati ai rispettivi pianeti), profetizza l’avvento del Cristo identificato con il Sole, che si iscrive perfettamente nelle metafore eliache presenti nella Bibbia e nella letteratura del primo cristianesimo[33]. L’Apollo della sede della Società Medica, con la sua somiglianza con il Cristo Crocifisso, può essere pienamente inteso solo nel contesto della produzione teatrale di Wyspiański nelle opere Akropolis e, in particolare, Wyzwolenie [Liberazione] il cui protagonista, Konrad, dichiara:
“Libero! Libero! Io chi mi proclamo libero e nessuno riuscirà a incatenarmi […] La mente mi è illuminata da Dio, da Apollo-Cristo e le Erinni sono fugate. Sai che significa che sono libero?”.
L’artista pensava anche qui anche alla rinascita della sua patria che mancava sulla carta geografica d’Europa da oltre cent’anni e che riapparve su questa mappa solo nel 1818, più di dieci anni dopo la sua morte.
Wyspiański aveva già raffigurato Apollo con la lira o con la cetra in mano nell’ultimo decennio dell’Ottocento nelle illustrazioni sublimate dell’Iliade di Omero, dopo aver visionato numerose pubblicazioni archeologiche. Le statue arcaiche del dio greco, tra cui l’Apollo di Tenea scoperto nel 1846, esercitarono un grande fascino non solo su Wyspiański, ma su molti artisti a cavallo dei due secoli, tra cui Picasso. La figura centrale della composizione, immobile (come il Sole), concepita in forma moderna e sintetica, illustra lo status del pianeta Terra, privato da Copernico della sua centralità. Si potrebbe dire che il grande artista cracoviano avesse intuito il fatto che il nostro astronomo aveva come sigillo personale l’immagine di Apollo con la cetra, e qundi Musagetes, che suonava la musica cosmica, ma questa interessantissima scoperta avenne solo dopo la sua morte prematura [34].
Il progetto del Sistema solare di Copernico per la sede della Società Medica, bello e profondamente simbolico, fu incastonato nello specchio della vetrata nel 1905. Andò distrutto 40 anni più tardi, sul finire della II guerra mondiale. Fu ricostruito negli anni Sessanta del Novecento. Ora esiste una perfetta – dal punto di vista tecnico e coloristico – versione della vetrata eseguita dal Maestro vetraio Piotr Ostrowski, esposta nel Museo delle Vetrate di Cracovia [35]. Insieme con il cartone a pastello la vetrata ricorda la memorabile scoperta di Copernico ed esorta a compiere ulteriori passi nell’esplorazione dell’Universo, alla scoperta di nuove galassie e dei loro soli.
Wyspiański seguì le orme del suo maestro Matejko rendendo omaggio al grande astronomo, come lui di formazione cracoviana, utilizzando la forza dell’immaginazione, le ampie conoscenze, la sensibilità per la lucentezza del pastello e per il misticismo della luce della vetrata, realizzando un capolavoro unico nel suo genere. Auspichiamo che quest’opera – assieme con numerose altre opere d’arte, tra cui il grande dipinto di Matejko – possa a breve brillare nella ariosa, imponente e bellissima Curia Iulia nel Foro Romano dando lustro al 550° anniversario della nascita del geniale astronomo che deve tanto all’Umanesimo italiano. Nel cuore del Parco Archeologico del Colosseo, che pulsa di numerosi temi solari, onoreremo degnamente colui che ha definito il Sole “il faro del mondo e della sua ragione “.
Per concludere
Bisogna infine citare un’altra opera d’arte che raffigura il grande astronomo (fig. 10). Si tratta di un monumento situato a Roma, realizzato in marmo dall’eccellente, anche se alquanto dimenticato, scultore polacco Tomasz Oskar Sosnowski [36]. Venne eseguita nel 1873 in occasione del 400° anniversario della nascita di colui che “fermò il Sole, mosse la Terra”. Queste parole epocali SOL STAT TERRA MOVETUR sono l’elemento chiave di questa bellissima statua alta più di 2 metri, eretta nel cortile della sede della Congregazione dei Padri Resurrezionisti a Roma, accanto a Piazza di Spagna. È molto probabile che l’opera di Sosnowski, dopo un’adeguata conservazione, venga esposta nella Curia Iulia del Foro Romano nell’autunno dell’anno giubilare, onorando il nome dello studioso polacco che tanto deve all’Italia.
Si auspica che questa iniziativa polacco-italiana possa inserirsi nella serie di eventi nati a Roma nel 1873 in occasione del 400° anniversario della nascita di Copernico quando si svilippò l’idea del Museo Copernicano (oggi Museo Astronomico e Copernicano di Monte Mario) e continuati nella mostra organizzata nel 1973 al Museo Galileo di Firenze [37].
Appositamente per questa mostra fiorentina, l’artista Silvio Loffredo realizzò una serie di dipinti e incisioni – in totale venti – su temi astronomici, tra cui il più importanti sono due versioni, dipinta e incisa della Rivoluzione copernicana, tutte e due pieni di vigore espressionistico (figg. 11-12).
Il tema è il sistema solare di Copernico, ma verificata da Giovanni Kepler, e l’amirazione del Sole.
Jerzy MIZIOLEK & Francesca CECI 30 Aprile 2023
NOTE