di Sabatina NAPOLITANO
Non è difficile comprendere come numerosi artisti si siano ispirati al passo del Vangelo di Giovanni (20, 24-29) per la loro versione dell’incredulità di San Tommaso: dopo otto giorni dall’apparizione agli apostoli, Gesù apparve di nuovo a porte chiuse. Sarebbe stato Tommaso, in questo episodio, invitato dal Cristo stesso, a mettere il dito nella piaga del costato e a vedere le stimmate sulle mani e sui piedi. Il riferimento più importante di questo passo, per noi che viviamo a Siena, senz’altro è da ricercare nella tavola di Duccio di Buoninsegna conservata al Museo Opera del Duomo [1].
Al centro vediamo Cristo con il braccio destro alzato e l’altro braccio nel gesto di scoprirsi la ferita del costato. Alla sua destra Tommaso a lui vicino e dietro quattro apostoli che guardano la scena con aria contemplativa e solenne. Alla destra del dipinto, altri cinque apostoli a qualche metro da Gesù. In varie versioni dell’Incredulità si tratta di rappresentare l’avviio alle considerazioni sul corpo, sulla morte e sulla resurrezione (rappresentate anche dalla porta sotto l’arco dietro al Cristo). Una porta, dunque, verso l’ignoto, verso lo sgomento, in una ricerca sull’infinito e su ciò che è potenzialmente l’immensità del Paradiso.
Duccio di Buoninsegna con la sua inesauribile potenza espressiva e fantasia comunicativa riesce a incaricare la storia di uno stimolo così forte da un episodio dei Vangeli che ha tutto il profumo della teologia ma che sintetizza le nostre curiosità umane sull’aldilà. Si potrebbe supporre, insomma, che l’attenzione verso questo tema sia stato trattato solo dall’ambizione dei pittori, e invece intorno alla seconda metà del Quattrocento, Andrea del Verrocchio scolpisce un altorilievo raffigurante San Tommaso davanti al Cristo mentre con la mano destra lo invita a toccare la ferita del costato. L’apostolo è posto un gradino sotto Gesù che attende con sguardo sommesso e solenne il tocco; la bellezza del drappeggio delle vesti, così come la raffinatezza dei dettagli dei capelli rendono il bronzo estremamente delicato nel rappresentare un istante che presagisce nelle due figure monumentali la condizione dell’esistenza umana tra corpo e spirito. [2]
Agli inizi del Cinquecento Cima da Conegliano dipinge un olio su tavola di grande rilievo: il Cristo perde l’aria necessariamente solenne e sofferta per acquisirne una distaccata e somma. Posto al centro della scena si trova accerchiato dagli apostoli, cinque alla sua sinistra, sei alla sua destra. Anche in questo caso, come alcuni secoli prima in Duccio di Buoninsegna, sullo sfondo si trova una porta, ma in Cima da Conegliano le porte diventano due e non sono poste in prospettiva dietro il Cristo ma lateralmente. Non ci sarebbe nulla di strano nel considerare questa scelta dovuta alla dimensione comunicativa del dipinto: il Cristo apre la strada alla ricchezza dei cieli, alla gloria del paradiso, chiedendo, come punto di contatto, il tocco di San Tommaso nel suo corpo che appare nudo, perlaceo, perfetto e svestito, senza la necessità di spostare le vesti.
Oltre alla Incredulità di San Tommaso conservata alla National Gallery di Londra, il pittore di Conegliano ne ha dipinto un’altra che si trova a Campo della Carità, a Venezia. Il Cristo è raffigurato allo stesso modo, con la stessa veste bianca, ma qui non compaiono più gli apostoli, solo alla destra di Gesù l’apostolo prono verso di lui mentre gli tiene il polso della mano destra. Alla sinistra del Cristo troviamo San Magno vescovo di Oderzo. Il fatto che la scena sia rappresentata all’aperto è indice di una straordinaria prospettiva realistica, più vicina al mondo contemporaneo dei devoti, diversa quindi dal gruppo di apostoli dipinti per la Confraternita dei Battuti a Portogruaro.
Ad un esame più attento notiamo che Ludovico Mazzola [5] pone le dita dell’apostolo dentro la ferita del costato di Cristo che tiene la mano destra alzata, come da tradizione, e la sinistra mentre regge la veste all’altezza dell’anca. Il Mazzolino dipinge una aura dorata intorno al volto distaccato del Cristo con un’attenzione da orafo, probabilmente il gesto esagerato e drammatico delle dita del santo dentro le carni del Cristo venne ispirato dal turbamento e dalla drammaticità di Amico Aspertini. Per i motivi che abbiamo visto non potrebbe essere, come in questa tavola, il fine metafisico e drammatico più forte.
Tra le varie caratteristiche attribuite all’apostolo c’è anche quella del chiedere perdono in un gesto di genuflessione verso il Cristo: è questa infatti la versione di Francesco Salviati in un olio che si trova al Louvre. All’orizzonte, sulla scena, non appaiono più porte a scorci paesaggistici ma capitelli di colonne, poste a far risaltare l’assemblea degli apostoli che sovrasta la scena, tutti vestiti mentre il Cristo a dorso e gambe nude spostato sulla destra del dipinto alza entrambe le due mani in attesa del tocco di San Tommaso che in ginocchio indica le ferite con l’indice della mano destra. Le aureole del Cristo sono somiglianti a quelle degli apostoli, di straordinaria bellezza i dettagli del profilo dei personaggi, i piedi nudi di Gesù e di Tommaso in contrasto ai calzari degli apostoli che si notano in primo piano, di grande espressività e profondità anche gli sguardi degli apostoli diretti al pubblico. Il dipinto fu commissionato per la cappella del convento dei giacobini a Lione.
Il Bronzino [7] con la sua incredulità lascia pregustare i chiaroscuri caravaggeschi. È interessante notare come San Tommaso sia posto alla sinistra di Gesù anziché alla destra. Il Cristo a torso nudo coperto solo da un drappo bianco cerca lo sguardo dell’incredulo, mentre questo sembra avere una aria persa nel vuoto, nella riflessione, in uno stato confusionario come da estasi mentale. San Tommaso con la mano sinistra cerca la ferita nel costato del Cristo ma non la tocca. L’aureola è dipinta solo dietro alla nuca di Cristo e manca negli apostoli, più nel dettaglio Gesù non ha una vera ferita al costato ma sembra più una associazione immateriale, quella della ferita, un raccordo tra la natura incommensurabile della divinità e dell’umanità corporea.
“Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”.
Innumerevoli sono gli elementi che Caravaggio apporta alla tradizionale incredulità di San Tommaso. [8] Per noi sono scontati e acquisiti i suoi contrasti e giochi di luce, ma alla sua epoca accennavano a una rivoluzione profonda. Dallo sfondo nero emergono quattro figure: Cristo è illuminato non da un’aura che attira le folle ma da una fierezza umana che ne testimonia la santità, due apostoli dietro alla sua spalla sinistra, di molto più vecchi di lui, appaiono solo nel viso, e parte del braccio di uno, coperto dalla veste. San Tommaso, come ceco, lascia che il Cristo gli diriga l’indice della mano destra nella ferita profonda ma non sanguinante del costato. Il dito del santo affonda nella piaga con la naturalezza suprema che accompagna la lirica di Caravaggio avvolti dalla luce lunare che cade sul torso di Gesù. Nessuna aureola, dunque, nessuna straordinarietà sebbene il palcoscenico della vicenda sia un teatro tra vita e morte. D’altro canto, come è noto, Caravaggio non tiene conto della tradizionale iconografia sacra, e anzi, toglie ai santi e persino a Cristo la potenza metafisica e mistica. Ad un esame più attento, noi veniamo condotti nel realismo della miscredenza come esperienza interiore, come spiritualità artistica. Se il tocco rende trascendente il quotidiano, allora il Cristo ancora perdona, ancora nei gesti ascolta e ripara. I visi degli apostoli, brutti e rugosi, raccontano tuttavia, il loro bisogno di non scordare, di avere ancora accanto il mistero e la grazia, sebbene in Caravaggio, come si accennava, mistero e grazia non sono in una dimensione trascendente e divina ma umana e reale.
Non ci sarebbe nulla di strano se tra gli apostoli, taluni guardassero allo spettatore fuori dalla tela, difatti è quello che ha immortalato Jacopo di Chimenti nella sua tempera. [9] Gli apostoli che guardano allo spettatore sono evidentemente i committenti, in generale tutti tornano ad essere molto giovani, stanno sullo sfondo a osservare San Tommaso davanti a loro, mentre si rivolge a Gesù con fare elegante e garbato. Gesù torna ad essere sulla destra come in Cima da Conegliano, e Mazzola: il suo corpo riflette una luce che viene da sinistra. Cristo come in Alessandro Allori ha l’aureola, mentre gli apostoli no, segno di distanza e di sacralità. Gli sguardi tra il Risorto e l’apostolo non si incontrano, anzi, a guardare meglio, Cristo è avvolto dal rituale alchemico della Risurrezione: è il mostrare quella ferita segno di riconciliazione con gli amici.
Nell’incredulità del Cappuccino, l’apostolo Tommaso mette il dito profondamente nella ferita come già in Mazzola e Caravaggio. [10] Anche qui, come in Merisi, gli apostoli sono tre e hanno l’aspetto rugoso e vecchio. L’indice dell’apostolo nei lembi della piaga, perché, come si accennava, Strozzi aveva conosciuto l’incredulità di Caravaggio attraverso una copia, a quel tempo posseduta da Orazio Di Negro. Non a caso anche le levigatezze del torso e dell’incarnato, probabilmente influenzate da Van Dyck. Nonostante la stretta associazione alla complessità concettuale di Merisi, il Cristo sembra anche egli partecipe di una meraviglia, come protagonista di uno scorcio inatteso, dove la sorpresa sta anche nei sentimenti del Risorto.
Sarebbe interessante sapere cosa pensava Van Baburen di Caravaggio, molto può essere letto attraverso la sua incredulità: sicuramente la lezione del maestro è stata assorbita, d’altro canto non si può non considerare che al di là dell’uso dei colori e della figuratività dei personaggi, il pittore olandese dà un’immagine nuova del passo. [11] E dunque, non è più Cristo a spingere Tommaso a toccare la ferita, ma sembra che l’apostolo insista così come gli altri tre dietro di lui. Cristo è spostato sulla destra della tela, la mano destra a tenere fermo il polso destro di Tommaso, e la sinistra lungo il fianco. Gli altri apostoli più che increduli, danno l’aria di essere sbigottiti, indaffarati, quasi come se volessero toccare anche loro le carni del Cristo. A contrastare il dinamismo della scena sono le due dita delicate di San Tommaso che quasi vanno a sfiorare la ferita nel costato, senza tentare di penetrarla. Ma qualcosa del Signore di Van Baburen invaghisce, probabilmente il modo in cui Cristo affida il suo sguardo alla ferita, non mistico e inespressivo ma attento e fiero.
Principale rivale di Guido Reni, il Guercino è sicuramente uno dei più importanti pittori del Seicento italiano. [12] Al centro, la figura eretta di Gesù spostato sulla destra verso San Tommaso, alle spalle del Risorto un apostolo mentre dietro Tommaso altri tre, di cui per uno è visibile solo l’orecchio sinistro e parte della nuca e del collo. Se pure l’atteggiamento dell’incredulo è indagatore, il tocco con le due dita sulla ferita è delicato e modesto, non insistente. A differenza di altre volte, Gesù appare con il vessillo della Resurrezione, ornamento superfluo per una resa realistica dell’opera ma sappiamo che nel Guercino la simbologia e la gestualità ha un peso storico.
Tra gli ammiratori olandesi di Caravaggio troviamo anche Hendrick ter Bruggen. [13] Si può ricordare l’uso dei colori e il chiaroscuro di Caravaggio, così come la pittura delle vesti. Cristo non appare in primo piano, e inoltre il suo corpo sulla scena non è intero, davanti a lui alla sua destra, Tommaso, e un altro apostolo sulla sinistra. L’espressione di Cristo e di Tommaso appare come unita da un sottile sentire, quasi come un’attenzione verso ciò che sta dentro la ferita. Se quindi in Hendrick ter Bruggen assistiamo a una epifania del sacro, gli altri apostoli dietro Gesù sono come estranei alla scena, con uno sguardo perso nel vuoto, come in una contemplazione, senza alcun contatto con Gesù e Tommaso. Piuttosto che rappresentare un Tommaso lontano rispetto agli altri apostoli, qui le simmetrie e le espressioni lo raccontano vicinissimo a Cristo, unito dalla ferita.
In qualche circostanza può anche essere che Cristo venga interpretato come sfuggevole, è il caso della tela di Andrea Vaccaro, collocabile nell’influenza della pittura napoletana del Seicento. [14] Il Cristo diversamente da altre occorrenze, qui non prende il polso di Tommaso per farsi toccare, ma anzi, dritto e nobile, coperto da un drappo blu e non bianco, guarda Tommaso ancorandolo a sé stesso eppure liberandolo dalla sua mancanza di fede. Gesù appoggia il peso sulla gamba sinistra in segno di movimento, sulla destra della tela, mentre Tommaso quasi genuflesso arriva a toccargli la ferita, all’interno. La spaventosa invasività del tocco di Tommaso è messa in contrasto con la presenza del Cristo nobile, e scostante. I restanti apostoli sembrano non partecipare alla scena, anzi hanno gli sguardi persi nel vuoto.
Al Museo del Prado di Madrid si trova una splendida incredulità di Matthias Stomer. [15] Lo sfondo non ha alcuna importanza perché la scena si concentra su tre apostoli e Cristo. Come nella maggior parte delle opere, il Risorto sta alla destra della tela mentre Tommaso alla sinistra con due apostoli dietro di lui che osservano la scena. Tra i personaggi c’è una strana ammirazione sia verso il Maestro che verso l’atto di penetrare le ferite del costato. La modernità della pennellata unisce i personaggi capaci di comprendersi eppure diversi per natura. La superiorità di Gesù è confermata dal movimento del suo corpo, mentre gli incarnati, i contrasti di luce si rifanno alla lezione di Ribera. I punti di contatto con Ter Brugghen e Caravaggio sono notevoli, a cominciare dalla posizione del Cristo, coperto dal drappo bianco.
Si può chiudere questo discorso ricordando l’olio su tavola di Silvestro Lega[16]. Tutti i pittori citati fino ad ora hanno dipinto San Tommaso insieme a Gesù e agli apostoli, Lega Silvestro riprende il passo evangelico nella seconda metà dell’Ottocento e il risultato è un dialogo tra l’apostolo e il Risorto, loro due soli. Il dipinto è uno degli esordi del pittore, ed è possibile intuire anche l’influenza purista di Mussini (di cui abbiamo già accennato nel saggio su Angelo Visconti). Il colloquio viene spostato in un ambiente solitario, sullo sfondo un orizzonte di campagna. In primo piano sulla sinistra San Tommaso giovane, – un profilo perfetto, pelle perlacea, – con l’indice della mano destra tocca delicatamente la ferita posta quasi vicina allo sterno anziché sotto la costola. Cristo a destra si lascia finemente toccare.
Sabatina NAPOLITANO Asciano (Si) 21 Maggio 2023