di Elena GRADINI
A un imperatore melanconico, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili. Quello che sta a cuore al mio Marco Polo è scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che possono valere al di là di tutte le crisi. Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di immagini, di ricordi.
Italo Calvino, Le Città Invisibili
É un volo pindarico verso mondi affascinanti e sconosciuti quello che conduce l’osservatore dinanzi alle creazioni dell’artista Franco Bianchi Poteca.
Architetto di formazione, ha scelto nel corso della sua pluridecennale carriera artistica e creativa la strada dell’immaginazione decostruttiva che scompone i parametri dello spazio-tempo e utilizza l’occhio come vettore percettivo di un’immagine anamorfica che produce opere ora lievi, ora grevi, mai scontate; sempre destabilizzanti.
La sua recherche é un viaggio complesso attraverso altre realtà, città ideali del nostro tempo in cui, lontani da quei parametri di bellezza estetico-concettuale tipici del Rinascimento siamo ora proiettati verso la decostruzione del segno, del significato semantico, dove tutto diventa presenza e contrario di esso. L’artista Bianchi é in tal senso un viaggiatore visionario che assorbe ed interiorizza frammenti di vissuto per poi trasformarli in segni, contrappunti, superfici.
Lacerti destabilizzanti di realtà ricucite dove l’immagine si scompone per lasciar spazio al piano interpretativo che pertiene alla percezione ineffabile del tempo, abitato da una sovraproduzione di ricordi, trame intessute, mondi abitati da bizzarri esseri antropomorfi o animali, che sono presenze stranianti, sono altro da sé. In queste complesse trame dell’abitare psichico trovano posto all’unisono dipinti, sculture e produzioni poetiche le quali non vanno interpretate in modo disgiunto quanto piuttosto come una complessa iperbole creativa che concorre a creare una trama delicata, a tratti inquietante, dove il flusso di coscienza del nostro autore si fa via via più o meno accentuato, scandendo il ritmo di tutte le singole composizioni visive che vanno a ricostruire la trama di una memoria che accumula e poi decostruisce e disgrega lo spazio architettonico.
Nelle sue opere, siano esse dipinti, sculture o idee in versi si riesce sempre a cogliere un sottile filo conduttore della storia che di volta in volta viene narrata, sebbene la feconda produzione dell’artista possa essere interpretata sia come unicum che come singola unità creativa. In tal senso piace scorgere nei suoi dipinti mondi antichi e a noi sconosciuti, dove la materia e il concetto si fanno immagine visiva e lo spazio si articola attraverso nobili pieghe di colore, ora quiete ora violente. E poi superfici, stratificazioni, luminescenze arcane che abitano ed animano l’opera, che può essere per la maggior parte delle volte interpretata o come singolo frammento o come trittico nell’ottica di un moderno Modulor che demarca una certa scala di proporzioni.
Siano esse visioni affettive o inquiete, in questa complessa traduzione segnica ed anamorfica del mondo trovano spazio le sue sculture; esseri a metà tra il lieto e il minaccioso. Espressioni concettuali di un profondo pensiero poetico e creativo che l’artista ha maturato ed arricchito nel corso degli anni e della sua esperienza vissuta.
Le sue opere completano la messa in scena di una realtà interpretativa complessa, in cui l’atto del pensiero e dell’immaginare conduce l’occhio a fare da tramite per accedere al viaggio interiore dove domina uno spazio-tempo altro, governato dalla memoria e dall’inconscio. Così si spiega la presenza di volatili, nella fattispecie pappagalli lignei, curiosi voyeur che osservano muti e lo spettacolo dell’esistenza che scorre davanti al loro sguardo. Nelle città ideali di Franco Bianchi Poteca abita la logica degli opposti, dove ogni elemento narrativo é funzionale a ricostruire una storia, in una lotta antitetica in cui l’inconscio e la razionalità si incontrano e si arricchiscono l’uno con l’altro. Spesso prevale la pareidolia del subconscio, dove l’anamorfosi progettuale stravolge i significati che le nostre zone di comfort abituali hanno imparato a riconoscere e codificare entro certi schemi. Nella sua ricerca artistica egli ci mostra la sua percezione del mondo e della realtà delle cose, rielaborata sulla base dell’essenza stessa dell’esistenza dell’uomo a questo mondo, dove molti sono gli stimoli e le contaminazioni che provengono dalla realtà esterna.
Ecco quindi che Franco Bianchi diventa quel viaggiatore visionario, il Marco Polo dei nostri tempi. Il Narratore di novelle del nostro secolo, dove la forma prevale sull’essenza, dove tutto diventa il contrario di esso. In questa particolare quanto destabilizzante brigata del vivere egli cerca tuttavia di dare una possibile chiave di lettura a ciò che per sua natura tende ad essere illogico. In questi suoi mondi, abitati dal pensiero, da altre forme di percezione visiva e linguistica, non manca però l’omaggio alla sua terra ciociara.
Un ritorno alle quiete radici, alla stabilità degli affetti antichi, tradotti nelle sue sculture femminili, rassicuranti presenze all’interno del suo sipario scenico, forse a tratti minaccioso. Mai scontato. Sembra davvero di essere catapultati all’interno di un mondo altro, dove la matrice del tutto è la vita, che accumula brandelli di memoria che si sedimenta, piano, lentamente, adagiata su ogni strato di colore, su ogni battito d’ala di quei pappagalli immoti, nelle pieghe calligrafiche delle sue pagine. I libri sì, quelle porzioni silenziose di pensiero che traducono tutta la sua complessa produzione immaginifica in un codice di decodificazione concettuale utile a interpretare tutto il resto del suo complesso apparato scenico visivo come un grande ed indivisibile corpo organico. Nelle sue città ideali, invisibili, c’è dunque tutta la bellezza estetica del nostro tempo, dove la memoria, oltre ad assolvere la sua funzione psichica di assimilazione attraverso dati sensibili provenienti dall’ambiente esterno, diviene un elaboratore di ricordi ed esperienze, di processi docili che hanno avuto un giusto periodo di acquisizione.
In virtù della sua originalissima percezione creativa, l’artista compie un processo di elaborazione, ragionamento, intuizione, coscienza, che conduce gli stimoli all’occhio, il quale poi traduce tutte queste forme di ispirazione attraverso la realizzazione di dipinti, sculture, o produzioni letterarie che vanno interpretati all’unisono, come parti differenti di uno stesso racconto narrativo.
Dunque i mondi rappresentati dall’artista Franco Bianchi Poteca divengono amabili perché in essi l’osservatore può scorgere interessanti stimoli abitativi, nuove forme di percezione della realtà che si può interiorizzare e fare in qualche modo nostra. In questo modo quel viaggio nel colore, nelle sue forme architettoniche, grafiche o letterarie può diventare sentimentale, quando ci sforziamo di comprendere con sentimento logico ed affettivo insieme la complessità della vita e delle sue innumerevoli sfumature. Piace pensare che il merito dell’artista sia quindi quello di condividere con il pubblico il suo personale modo di interpretare la realtà, di elaborarla e costruirla secondo una progettualità nuova, aggiungendo stimoli, percezioni creative, che diventano delle possibili chiavi di lettura per comprendere l’esistenza, e che vanno molto al di là della banalità del semplice vivere quotidiano per il quale spesso non ci si accorge delle tante opportunità di bellezza che la vita sa offrire.
Elena GRADINI Roma 21 Maggio 2023