di Paolo MANGIANTE
Che Roma agli inizi del seicento, grazie alle molteplici presenze e incontri di artisti provenienti da scuole italiane e straniere diverse, attirati dalle richieste papali e dalle numerose committenze nobiliari e cardinalizie, fosse la fucina dell’incipiente barocco è cosa ben nota. Basta accennare alla contemporanea presenza del Caravaggio e di Annibale Carracci e di tutto il loro seguito per farsi un’idea degli scambi, ma anche degli scontati e talora violenti scontri che vi furono; tuttavia, le tangenze fra artisti anche lontani fra loro possono riservare delle sorprendenti sorprese.
E’ questo il caso di due artisti come Carlo Saraceni (Venezia,1585-1625) e Sisto Badalocchi (Parma,1585-1622), nati lo stesso anno, ma di formazione diversa e lontani di indirizzo pittorico e perciò differentemente schierati fra la fazione caravaggesca e quella classica emiliana, qui rappresentati da due poco note ma intense telette, rappresentanti entrambe La Predica del Battista, di formato pressochè identico, la cui consonanza compositiva dimostra quanto poteva essere variegata e fruttifera nella Città Eterna la circolazione di idee e di tendenze diverse, forse proprio perché opposte e differenti.
La prima di queste “Prediche del Battista” del Saraceni (cm. 54,5 x 70), a suo tempo illustrata da Anna Ottani Cavina fu giustamente messa in rapporto alla pittura di paesaggio dei fiamminghi quale la declinavano a Roma Paul Brill (Anversa, 1554 – Roma, 1626) e soprattutto Adam Elsheimer (Francoforte sul Meno, 1578 – Roma, 1610) (fig.1),
mentre la seconda del Badalocchio (cm.56 x 79), studiata da Massimo Pirondini (1995), Adriana Capriotti (2002) e Giuseppe Berti (2004) fu messa in rapporto con le “nuove istanze paesaggistiche emiliano -romane” (A. Marengo e A. Orlando,2020; L. Peruzzie e A. Orlando,2023) (fig.2).
L’analogia dei due dipinti tuttavia non si limita alla conformazione del paesaggio, ma si estende alla tipologia e alla disposizione dei vari gruppi di figure che animano la scena, a principiare dalla posa e dalla gestualità del Battista che predica in ambedue le composizioni sul limitare di un grosso roccione posto sulla sinistra di chi vede. Il fondo paesaggistico si articola similmente nelle due telette con due quinte costituite a destra da un balzo roccioso collinare circondato da un ammasso fronzuto di alberi contro cui si staglia con la stessa gestualità il Battista che predica in ambedue sul limitare del grosso roccione (figg. 3 – 4)
quando a sinistra nel dipinto di Saraceni si erge una scura balza collinare con davanti la sovrasta un alto ed esile albero (fig.5), mentre nell’opera di Badalocchi spunta solo la sommità dell’albero sopra la massa di un torre che regge un ponte (fig.6).
Al centro invece fra le quinte dei due dipinti si distende ugualmente il paese fino all’orizzonte cosparso di borghi e attraversato in ambo i casi da un fiume su cui arriva una barca sospinta da un rematore in piedi che traghetta nel dipinto del Veneto dei turcomanni con turbante (fig.7), che nel dipinto dell’emiliano sono già scesi per far posto ad altri curiosi (fig.8).
Stanno in primo piano al centro il grosso dei personaggi che ascoltano in piedi e seduti le vibranti parole del Battista, ma emerge palese la superiorità del plasticismo bagnato dalla luce delle figure del Saraceni (fig,9) nel confronto con quelle pur vivaci di Badalocchio (fig.10).
Come si vede le consonanze compositive sono troppe e precise per essere casuali, ma chi dei due pittori ha avuto l’iniziativa e chi ha invece ha colto l’occasione per imitare ?
Il primato io penso vada a Saraceni non tanto per l’invenzione compositiva quanto per il magnifico gioco luminoso che lega tutto il comporre. Recatosi a Roma nel 1598 Carlo Saraceni, alla pari di altri veneti come lui, come il Bassetti, l’Ottino e il Turchi, fu attratto dai modi luministici del Caravaggio, così da entrare in rapporto con l’elegante pittura del Gentileschi e dell’Elsheimer, a cui fu debitore dei modi, netti e concisi impreziositi dal lume, di concepire il paesaggio. Dal loro esempio diretto sono nati i bellissimi piccoli rami mitologico – paesaggistici del Museo di Capodimonte da cui discende per via diretta questa sua quasi inedita Predica del Battista.
Si guardino ad esempio le gemme luminose del cane che passa davanti all’ombra del ragazzo che si leva la beretta o degli asini che scalpitano in secondo piano (fig.11) di una bravura che non ha uguali nella idillica versione carraccesca del Badalocchi .
Paolo MANGIANTE Genova 4 Giugno 2023
BIBLIOGRAFIA