di Nica FIORI
Chissà quanti romani e turisti hanno guardato dall’alto i resti dei quattro templi nell’Area sacra di Largo Argentina e, non potendovi accedere, si sono accontentati di una visione sommaria.
Ora, finalmente, quest’area archeologica è aperta al pubblico con un percorso studiato per poter approfondire la visita del sito, apprezzandone i dettagli e i materiali e leggendone le fasi di vita, a partire dall’età repubblicana in poi. I lavori, condotti sotto la direzione scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, sono stati resi possibili grazie a un atto di mecenatismo da parte della Maison Bulgari.
Si cammina sul suolo allo stesso livello della pavimentazione della Roma antica, grazie a una passerella che non ha barriere architettoniche, non ha salti di quota e consente di avvicinarsi ai quattro templi in tutta sicurezza, anche in sedia a rotelle o con passeggini. Oltretutto è stata realizzata una piattaforma elevatrice che consente l’accesso alle persone con mobilità ridotta. Sempre con l’intento di rendere il luogo accessibile a tutti, per le persone non vedenti e ipovedenti sono stati realizzati due grandi pannelli tattili, in italiano, inglese e braille con le indicazioni dell’intero complesso e dei singoli monumenti e con la lettura tattile di due reperti scansionati in 3D (un frammento di lastra con un uccellino che becca un frutto e una testa colossale di statua di culto femminile).
Nel corso della presentazione dell’area, il Sovrintendente Capitolino Claudio Parisi Presicce ha spiegato anche perché il largo che ospita l’area archeologica si chiama “Argentina”. In questo caso il nome dello Stato dell’America meridionale non c’entra niente, essendo il toponimo legato a Johannes Burckardt (1450-1506), capo cerimoniere di vari pontefici, che possedeva il palazzo con la torre detta “Argentina”, in quanto lui era originario di Strasburgo, il cui nome antico era Argentoratum.
L’area era sepolta sotto edifici moderni, finché negli anni 1917-18 si decise di demolire il quartiere compreso tra via del Teatro Argentina, via Florida, via S. Nicola de’ Cesarini e corso Vittorio Emanuele II, per poter procedere alla costruzione di nuovi edifici. I lavori di demolizione vennero realizzati tra il 1926 e il 1929 e portarono agli importanti ritrovamenti che ora possiamo ammirare da vicino.
Nella chiesa di San Nicola de’ Cesarini esistevano alcune tracce delle strutture antiche, in quanto era stata costruita all’interno del tempio A, ma ciò che venne fuori già dai primi scavi era al di là di ogni aspettativa. Ricordiamo, in particolare, il grandioso acrolito (statua colossale con testa e parti nude realizzate in marmo, mentre il resto è in altro materiale) femminile, del quale furono rinvenuti la testa (alta m 1,40), un braccio e un piede, oggi conservati nel museo della Centrale Montemartini.
Proseguendo gli scavi vennero alla luce in totale quattro templi, denominati A, B, C e D, tutti di età repubblicana; inoltre, in mezzo al tempio B, un muro è stato riconosciuto come il fondo dell’aula della Curia di Pompeo, dove Giulio Cesare venne ucciso alle Idi di marzo del 44 a.C. Il riconoscimento è stato possibile perché le fonti ricordano che sui lati c’erano due latrine, che sono state effettivamente ritrovate.
La pavimentazione in travertino nell’area, realizzata sotto Domiziano (fine del I secolo d.C.), documenta la fase di recupero dopo l’incendio dell’80 d.C., che distrusse quasi tutto il Campo Marzio e perfino il tempio di Giove Capitolino.
Dopo la fase imperiale, nel V secolo ha inizio il processo di abbandono e trasformazione degli edifici. Dopo una prima occupazione da parte di un complesso monastico, tra l’VIII e il IX secolo vennero realizzate strutture forse pertinenti a case aristocratiche. Sempre al IX secolo appartengono anche le prime testimonianze dell’impianto della chiesa all’interno del tempio A, dedicata nel 1132 a San Nicola, con la denominazione prima de’ Calcarario e poi de’ Cesarini. In età barocca sulla chiesa medievale si impostò un nuovo edificio sacro, distrutto completamente durante le demolizioni novecentesche.
Per raccontare al meglio la storia del sito e delle trasformazioni avvenute nel corso dei secoli, l’intero percorso di visita è dotato di una serie di pannelli illustrativi con testi in italiano e in inglese e di un ricco corredo fotografico. Scopriamo così anche le possibili intitolazioni dei quattro templi.
Il tempio A è probabilmente da identificare con il tempio che il console C. Lutazio Catulo, dopo il trionfo sui Cartaginesi nel 241 a.C., fece costruire nel Campo Marzio in onore di Giuturna, una ninfa che godeva di un importante culto anche nel Foro Romano, dove era la sua fonte.
All’impianto originario, che sorgeva su un alto podio di tufo con 4 colonne sulla fronte, si accedeva tramite una scalinata di 18 gradini. Davanti era situata una vasta piattaforma, con al centro un altare di peperino, obliterata dalla costruzione di un nuovo piano di calpestio, probabilmente dopo una catastrofica alluvione. Nella seconda metà del I secolo a.C. il complesso fu ampliato e l’edificio sacro inglobato in un tempio più grande, con 6 colonne sulla fronte e 9 sui lati lunghi.
Un successivo rifacimento è databile alla fase domizianea, dopo l’incendio dell’80 d.C., e altri restauri furono realizzati in età severiana (fine II – inizi III secolo).
Probabilmente già nel VI secolo una parte del tempio venne utilizzata come oratorio del Monasterium Boetianum, fondato forse dal filosofo Anicio Severino Boezio, che si era stabilito nell’area.
Il tempio B ha una struttura circolare su un alto podio, preceduta da una scalinata fiancheggiata da due basi di tufo, che dovevano ospitare gruppi di statue. Viene identificato da molti studiosi con quello alla Fortuna huiusce diei (la Fortuna del giorno odierno), votato dal console Q. Lutazio Catulo, collega di Mario, dopo la battaglia dei Campi Raudii (Vercelli) del 101 a.C., che pose fine alla guerra contro i Cimbri. La dedica a una divinità femminile sembra confermata dal rinvenimento del grandioso acrolito esposto alla Centrale Montemartini.
Nel tempo questo edificio di culto ha subito numerose trasformazioni. In origine era periptero, con la cella centrale circondata da 18 colonne di tufo; agli inizi del I secolo a.C. divenne pseudoperiptero e si ingrandì la cella fino a incorporare il colonnato, il podio fu allargato e rivestito di peperino.
Dopo il disastroso incendio dell’80 d.C., fu oggetto di un radicale restauro, con la chiusura dello spazio tra le colonne con un muro in laterizio, decorato da paraste di stucco. Inoltre, furono rifatti in travertino la scalinata e un nuovo piano di calpestio, sopra il quale fu collocata un’ara in laterizio, rivestita di lastre in travertino.
Il tempio C era probabilmente dedicato a Feronia, una divinità salutare protettrice della natura e della fertilità, il cui culto, originario della Sabina, fu introdotto a Roma dopo la conquista di questo territorio da parte del console Manio Curio Dentato, nel 290 a.C.
L’impianto originario, risalente all’inizio del III secolo a.C., aveva quattro colonne sulla fronte e cinque sui lati (periptero sine postico) ed era collocato su un alto podio in opera quadrata di tufo, preceduto da una scalinata di 20 gradini.
Successivamente, davanti al tempio fu realizzata una grande piattaforma sopraelevata con al centro l’altare di peperino, perfettamente conservato al di sotto dei successivi interventi edilizi, con l’iscrizione dedicatoria di Aulo Postumio Albino, verosimilmente identificabile con il console del 151 a.C. che consacrò l’ara dopo la pestilenza del 142 a.C.
Qualche decennio più tardi, alla fine del II secolo a.C., nell’area antistante il tempio fu realizzata una pavimentazione di tufo che obliterò l’altare di Postumio Albino, sostituito da una nuova ara, della quale resta solo il nucleo in cementizio.
In età domizianea, dopo l’incendio dell’80 d.C., venne restaurata la cella con muri in cortina laterizia e pavimento a mosaico. Alla stessa fase, inoltre, risalgono le basi delle colonne e un terzo altare, demolito durante gli scavi, che fu costruito al di sopra della nuova pavimentazione di travertino, estesa su tutta l’area.
Il tempio D per la maggior parte è conservato sotto l’attuale via Florida. Era forse dedicato ai Lari Permarini, protettori della navigazione, o, secondo un’altra ipotesi, alle Ninfe. Quest’ultima titolazione ci appare particolarmente incerta, visto che il tempio delle Ninfe potrebbe essere quello localizzato su via delle Botteghe Oscure, di fronte alla Crypta Balbi.
L’edificio fu edificato in opera cementizia, all’inizio del II secolo a.C., con dimensioni maggiori rispetto ai templi già esistenti (tempio A e tempio C): la fronte, probabilmente dotata di 6 colonne, era allineata con gli altri edifici sacri, mentre il lato posteriore sporgeva di circa 10 metri.
Si conosce ben poco della fase originaria poiché alla fine del I a.C. fu ampliato e completamente rinnovato. Rimangono il grande podio in cementizio, rivestito con lastre di travertino, e la scalinata di accesso.
La cella in opera laterizia, che occupa tutta la larghezza del podio ed è decorata esternamente da paraste di stucco, è attribuibile al restauro di età domizianea. I resti dell’intonaco dipinto, conservati sulle lastre di rivestimento del podio, appartengono probabilmente a uno degli ambienti che in epoca successiva si addossarono al tempio.
Il percorso espositivo si conclude con la visione di numerosi reperti, provenienti dagli scavi e dalle demolizioni del secolo scorso, sistemati in una sorta di antiquarium ricavato nei locali al di sotto del piano stradale di via di San Nicola de’ Cesarini e nel portico della torre medievale del Papito. La galleria si presenta con muri antichi alternati a muri moderni sul lato destro e sul lato sinistro con grandi aperture chiuse da grate.
Questo piccolo spazio è significativo per rendersi conto delle diverse fasi della trasformazione urbanistica di Roma. All’inizio del percorso è collocata la testa gigantesca in marmo di una divinità femminile, probabilmente Feronia; un’altra testa colossale, pure femminile, è posta alla fine, mentre lungo la galleria si susseguono numerosi materiali di varia epoca, tra cui frammenti di epigrafi, sarcofagi, decorazioni architettoniche, pavimentazioni medievali. La qualità e il valore storico-artistico di questi reperti sono spesso di alto livello, e documentano con efficacia la vita ininterrotta in questo settore della città per oltre 2300 anni.
Purtroppo le modalità di scavo e i sistemi di raccolta e di documentazione frettolosi, finalizzati all’allestimento del sito per il 21 aprile del 1929 (giorno dell’inaugurazione che voleva ricordare il natale di Roma), non consentono di stabilire con certezza se i materiali ritrovati appartengano o meno ai monumenti presenti nell’area.
Sappiamo che durante il Medioevo questa zona era denominata “Calcarario” per la presenza di un gran numero di forni (calcare) dove i marmi antichi, di varia provenienza, venivano cotti per essere trasformati in calce. Non si può escludere che alcuni dei reperti di largo Argentina provengano dalle cataste di materiali che erano lì accumulati per essere calcinati e che siano sfuggiti a questa sorte.
Nica FIORI Roma 25 Giugno 2023
Area Sacra di Largo Argentina
Ingresso via di San Nicola De’ Cesarini (di fronte al civico 10)
Biglietteria e libreria presso la Torre del Papito piazza dei Calcarari snc, Roma
Orari: martedì-domenica, 9.30-19.00 (ora legale), 9.30-16.00 (ora solare), ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Prevendita obbligatoria www.sovraintendenzaroma.it (max 5 biglietti per volta).
Possessori MIC CARD in corso di validità – ingresso libero