di Enzo SANTESE
Presentata anche la monografia curata dal Prof. Sergio Rossi
Quando le opere della contemporaneità vengono messe a confronto con il repertorio di testimonianze del passato, c’è sempre la possibilità di far scaturire un sollecitante cumulo di suggestioni che sono, tra l’altro, efficace stimolo ad ulteriori approfondimenti culturali. È quanto sta avvenendo al Palazzo Veneziano di Malborghetto, posto al centro della località della Val Canale, in provincia di Udine, a pochi chilometri da Tarvisio, punto d’incontro delle culture italiana, slovena e tedesca. L’edificio, fatto costruire nel 1569 da una famiglia facoltosa in uno stile prettamente italiano e, quindi, distinto dalle altre realtà residenziali, ha avuto subito l’attributo di “Veneziano”; elegante nelle sue linee architettoniche, ha un’entrata con arco in pietra e un loggiato posteriore che, con il tiglio prurisecolare dello spazio retrostante, lo rendono un’icona per tutto l’Alto Friuli e in genere per la Regione Friuli Venezia Giulia. È sede di un importante Museo Etnografico, nelle cui sale si aprono finestre di conoscenza sulla vita quotidiana nella Val Canale, sulla storia del palazzo stesso, su attività estrattive, paleontologia, geologia e Foresta di Tarvisio.
In questo contesto si è aperta la rassegna “Intrecci” con le opere scultoree di Bernarda Visentini che sala per sala “dialogano” con i reperti, con le scenografie didattiche, con gli elementi costitutivi dell’istituzione. In tale ambito l’innesto della contemporaneità, lungi dal produrre discrasie e contrasti visivi, crea invece una bella serie di momenti dove l’accostamento dei significanti e la complementarietà dei significanti sono la prova più chiara che i manufatti di oggi convergono sul piano dei riflessi concettuali e della sacralità dei risvolti simbolici con le evidenze del passato, dislocate nelle sale del Museo.
La rassegna è stata aperta dalla presentazione della monografia, curata criticamente da Sergio Rossi e intitolata Bernarda Visentini e la sostenibile leggerezza dell’arte (Edizioni Etgraphiae), capace di illuminare un’orbita di maturazione umana e artistica che arriva ai giorni nostri. Il volume, dotato di una ricco corredo iconografico e supportato da puntuali apparati bibliografici, è strumento prezioso anche perché il testo non è agiografico e celebrativo, semmai connota uno studio serio e approfondito delle articolazioni complesse della personalità di Bernarda Visentini, proiettata nel suo lavoro al punto di incontro tra indagine storica e ricerca artistica, con uno sguardo preciso a un linguaggio plastico dove in incisiva sintesi convergono attitudine specifica per il disegno, disciplina scultorea; oltre a ciò si evidenzia la sensibilità pittorica, dal momento che molte superfici appaiono accarezzate da sfumate cromie, nelle quali l’’autrice mostra una marcata sicurezza nel mantenersi integra rispetto al rischio del decorativismo.
“Ed ecco – argomenta con acutezza Sergio Rossi – uno di quelli che io considero tra i maggiori meriti di Bernarda Visentini, cioè il fatto di essere aperta e ricettiva verso epoche, culture e mondi assai lontani ma che l’artista sa sempre ricondurre entro confini e temi che sono assolutamente i nostri.”
Lo studio delle potenzialità concettuali dell’uomo primitivo è congiunto con la necessità di interpretarle alla luce della sensibilità odierna con proposte che, di volta in volta, offrono spunti per un confronto tra linguaggi, segni e idealità che a distanza di millenni hanno ancora punti di contatto sollecitanti. Per questo sono state fonti di grande seduzione le visite di Bernarda Visentini a siti archeologici sparsi soprattutto in varie parti d’Europa. Dopo una sperimentazione serrata con i segreti del disegno e della creazione bidimensionale si è allontanata gradatamente, per successivi passaggi da una poetica attenta alla figura alla scomposizione dei contorni caratterizzando l’immagine sul piano squisitamente simbolico e allusivo.
Negli anni ’80 la sua vocazione all’opera tridimensionale è in qualche modo stimolata dalla scoperta delle potenzialità offerte da un materiale che poi non ha più abbandonato, il calcestruzzo cellulare espanso che ha la particolarità di essere resistente come il cemento con un peso peraltro sensibilmente minore, noto appunto come “cemento leggero”. Sul piano plastico la ricerca è andata di pari passo con lo studio dell’archeologia e, nella gran parte dei casi, in “presa diretta”, con la visita cioè ai siti dove la preistoria attraverso testimonianze, segni, fonti e reperti “parla” ancora agli uomini di oggi. Questo studio ha una precisa matrice che coniuga archeologia, antropologia, storia delle religioni antiche, la psicologia nella tensione terra-cielo dell’uomo preistorico, che parte dalla conoscenza degli eventi atmosferici e dalla sperimentazione del possibile con l’acqua, col fuoco, con l’aria, con la terra.
Allora è iniziata una grande avventura creativa che continua oggi ed è proiettata verso un futuro che pare denso di ulteriori sviluppi. D’altro canto il materiale, che nella produzione industriale viene proposto in forma di parallelepipedo e poi impiegato dall’artista come modulo da cui partire per arrivare anche a installazioni o sculture monumentali. La sua porosità consente un’agevole azione in levare e si presta ad essere incisa e modellata. Così Bernarda Visentini si connette in maniera straordinariamente efficace con lo spirito dell’uomo preistorico, di cui cerca di interpretare il senso primordiale del vivere dando alle cose la valenza sacrale che si collega poi con una religiosità dalle precise connotazioni di concretezza quotidiana.
Tutta l’opera della scultrice è interessata a dar corpo una precisa figura retorica, l’ossimoro, dal momento che si segnala per la sua archeologica attualità: le radici si sprofondano fino a un. passato remoto da cui riemerge alla superficie del presente il senso di una necessità, quella di una devozione per la natura, a cominciare dalle sue essenze arboree e lapidee.
Il percorso della mostra merita un indugio critico punto per punto, a dimostrazione di come gli eventi di questo genere sono generosi di spunti di riflessione e eccitano la curiosità del visitatore, se sono pensati, come in questo caso, per creare una piattaforma di partenza per susseguenti risultati di studio.
Nel piano terra, con la sezione Geologia e Paleontologia non poteva esserci innesto più congruo di quello delle Dee Madri, che presiedevano alla vita e alla morte dell’uomo. Sul loro corpo, esaltato nella dimensione di alcune parti indicanti la dote della fertilità, compaiono segni che ancora non sono stati decifrati con certezza. Nella sezione dedicata alla miniera di Reibl, disseminati a terra ci sono alcuni piccoli corpi arrotondati che richiamano quelli della grotta dell’Ariège in Francia, dove fu portato alla luce un gran numero di ciottoli risalenti a 12.000 anni fa, avvolti da reticoli di linee e punti e dipinti di ocra rossa, su cui ancora si confrontano ipotesi interpretative anche contrastanti. Quelli realizzati da Bernarda Visentini appartengono a buon diritto alla modernità, che li fa sintonizzare con quelli preistorici.
Nella sezione etnografica, “Sul corpo della dea” si legge l’esistenza di abiti, forse di lino e di cotone, con un grembiule davanti e spesso con inserti in pelle. Poi lo “Scivolo della fertilità”, richiama il culto delle pietre e delle rocce (“litoiatria”) con incavi ben arrotondati, detti coppelle, le cui origini risalgono all’Età del bronzo. L’artista le ripropone nel presente, soprattutto per recuperare l’idea del rito della fertilità, che si credeva di potersi assicurare, scivolando appunto sulle rocce.
Nel primo piano, la sezione relativa alla Storia del Palazzo ospita i “messaggi ancestrali”, con cui l’artista vuole sottolineare l’importanza degli “ideogrammi” nella comunicazione degli antichi.
Nel secondo piano, nella sala della Foresta, nei corpi plastici sono incisi gli “occhi radianti”, che ricordano l’energia vitale derivata dal sole, così come la intendevano le culture megalitiche dell’Europa occidentale nel terzo e secondo millennio a. C.
Nello spazio dov’è riprodotta una fucina, a immagine e somiglianza di quella d’un tempo non tanto remoto, paiono fluttuare i “cani volanti”, ottenuti in rilievo; trovati nelle sepolture del periodo neolitico, erano numi tutelari della vita.
La rassegna “Intrecci” si conclude nell’accesso al giardino, distinto in tre sezioni; nella prima, dove è riprodotta la casa contadina tipica, Bernarda Visentini ha inserito i suoi “sigilli” e “pintadere” che le comunità agricole neolitiche utilizzavano per decorare a stampo i tessuti, la pelle o i pani votivi. Poi, dove ci sono le slitte, il visitatore può osservare i “bastoni sciamanici”, che erano appunto nell’uso dello sciamano, presso le tribù arcaiche figura di grande devozione da parte di tutti, per i suoi presunti poteri magici e sapienziali.
E infine nella terza parte, quella dei riti popolari della Valle, è stata inserita la “Maschera”, che nel quinto millennio a. C., nell’Europa neolitica del bacino danubiano veniva indossata nei riti dedicati alla Grande Dea Madre.
Nella monografia che, ovviamente, apre un orizzonte di esperienze e realizzazioni molto più ampio rispetto a quello della rassegna, l’analisi di Sergio Rossi illumina anche le opere monumentali come la composizione modulare dei dolmen, qualificando la scultura di Bernarda Visentini nel suo essere “liquida”, perché sa rendere leggere le sue creazioni e non solo nel senso ponderale , e “circolare” per il suo essere rappresentabile in maniera esatta dall’ouroboros; infatti va continuamente a ritroso nel tempo per ritornare al presente con il carico di intuizioni sempre nuove sul rapporto tra l’uomo e la Natura, tra l’individuo e la società che lo circonda, tra il paesaggio interno all’uomo stesso e quello esterno, con cui cerca a volte problematici equilibri.
Enzo SANTESE Udine 30 Luglio 2023