di Nica FIORI
Plinio il Vecchio nel libro XXXVII della Storia Naturale, relativo alle gemme e alle pietre preziose, parla della passione dei Romani, e di Nerone in particolare, per i vasi murrini, realizzati in un misterioso materiale orientale e importati a Roma da Pompeo. Questa passione spinse l’imperatore, alla morte di un console che collezionava questi oggetti, a sottrarli ai figli di lui e a esporli in mostra: racconta Plinio che essi
“occuparono il teatro privato nei suoi giardini di là dal Tevere; ed esso era abbastanza ampio da soddisfare, riempiendosi di spettatori, perfino Nerone, quando cantava facendo le prove prima di recitare nel teatro di Pompeo” (Nat. Hist., XXXVII 19).
È da questo passo che apprendiamo dell’esistenza di un Theatrum Neronis negli Horti di sua proprietà, la cui esistenza, forse intuibile anche da altre fonti (Svetonio e Tacito), ma non esplicitamente accennata, era legata finora solo alla memoria letteraria e alle ipotesi degli studiosi. Appare pertanto sensazionale la notizia del ritrovamento di strutture murarie e decorazioni che possono essere attribuite proprio al teatro neroniano. La scoperta, ad opera degli archeologi della Soprintendenza Speciale di Roma, diretta da Daniela Porro, è avvenuta nel cortile-giardino di Palazzo della Rovere, un prestigioso edificio che si affaccia su via della Conciliazione.
Il palazzo, voluto dal cardinale Domenico della Rovere e risalente alla fine del XV secolo, è la sede dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ed è in parte affittato a una compagnia alberghiera, per ottenere risorse che si aggiungono alle contribuzioni volontarie dei membri dell’Ordine (circa 30.000 cavalieri), la cui finalità principale è quella di
“mantenere la presenza cristiana in Terrasanta, con il finanziamento di istituzioni caritative dove sono accolti cristiani e non cristiani in uno spirito di dialogo e di apertura interreligiosa”,
come ha dichiarato Leonardo Visconti di Modrone, Governatore generale dell’Ordine del Santo Sepolcro, nel corso della presentazione alla stampa dei ritrovamenti.
Risale al 2020 la decisione di avviare una serie di interventi per riportare il palazzo, che versava in condizioni di degrado, all’originaria bellezza in ogni sua parte, compreso il giardino, in stretto accordo con la Soprintendenza, che diede il suo parere positivo per un’indagine archeologica preventiva.
Lo scavo nel giardino interno è iniziato due anni fa sotto la direzione scientifica di Renato Sebastiani e poi di Alessio De Cristofaro, entrambi archeologi della Soprintendenza, e condotto sul campo dall’archeologa Marzia Di Mento. L’area indagata corrisponde a una parte degli antichi Horti di Agrippina maggiore, la vasta tenuta della famiglia giulio-claudia, dove Caligola aveva costruito un grande circo per le corse dei cavalli, da cui proviene l’obelisco, collocato al tempo di Sisto V al centro di piazza San Pietro. In stretta relazione con il circo, Nerone aveva poi edificato il suo teatro. Anche se l’archeologia non è una scienza esatta, diversi indizi, tra cui la stessa topografia all’interno degli Horti, hanno portato a ipotizzare di aver individuato proprio i resti di quel teatro. Maggiori certezze si avranno dai risultati di attente analisi e da uno studio approfondito dei reperti.
I resti venuti alla luce sono relativi a due strutture in opera laterizia databili, grazie ai bolli rinvenuti sui mattoni, all’età di Caligola e di Nerone. La loro tecnica costruttiva testimonia un grande impegno economico e tecnico, frutto di una committenza di alto rango. Il primo edificio doveva avere una pianta a emiciclo, con muri radiali e un sistema di accessi e di scale, che ha fatto pensare a una cavea teatrale, con il fronte scena a ovest e un ricchissimo apparato decorativo, con elementi architettonici e rivestimenti in pregiati marmi bianchi e colorati. Stucchi ricoperti di foglia d’oro – una tipologia che si riscontra anche nella Domus Aurea – impreziosivano probabilmente sia l’interno che il prospetto della struttura.
Il secondo edificio, perpendicolare al primo, è costituito da una serie di ambienti di servizio caratterizzati da una pavimentazione a spina di pesce, che dovevano essere utilizzati per ospitare i costumi e le attrezzatture per gli spettacoli teatrali. Entrambi gli edifici si affacciavano su una grande corte scoperta, forse circondata da un portico, e devono essere stati utilizzati come teatro per un periodo tutto sommato breve. Sappiamo che Nerone aveva una vera passione per la poesia, la recitazione, il canto: arti che praticava egli stesso e non certo in maniera così poco elegante, come siamo spinti a credere dalla lettura del “Quo vadis?” di Sienkiewicz o dalla visione di alcuni film novecenteschi. Questo imperatore, in effetti, a dispetto della sua fama negativa creata post mortem, era un grande politico (pensiamo per esempio alla riforma della monetazione) ed era un uomo colto, grande amante della cultura greca, che cercava di imporre in spettacoli teatrali realizzati con grande dispendio economico.
La stratigrafia indica come il complesso, già dai primi anni del II secolo, sia stato oggetto di un sistematico recupero di materiali, soprattutto lapidei, come testimonia un deposito di cinque colonne in marmi pregiati (bianchi e colorati), visibile nel cantiere di scavo.
Tra gli oggetti recuperati nello scavo saltano subito agli occhi un bel capitello ionico in alabastro, un’erma marmorea con testa di giovane da un lato e di adulto barbuto dall’altro, frammenti ceramici (uno con la testa di Serapide) e vitrei, oltre a frammenti di stucchi dorati, indice di quel lusso (luxuria), che in epoca neroniana, come ben fa notare Plinio, aveva raggiunto livelli parossistici. Basti pensare che Nerone arrivò a pagare un milione di sesterzi una coppa murrina (oggi si pensa che la cosiddetta murra, importata da Oriente, fosse un tipo di fluorite).
“Cosa memorabile davvero che l’imperatore, il padre della patria, abbia pagato tanto per bere!” commenta Plinio (Nat. Hist. XXXVII, 20).
In occasione della presentazione dei ritrovamenti, sono stati mostrati anche numerosi materiali recuperati negli strati di epoca medievale (monete, vetri, ceramiche) che rappresentano un documento di grande importanza per la storia economica e sociale di Roma tra il X e la metà del XV secolo e che permettono di ricostruire su basi archeologiche importanti aspetti del fenomeno del pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Pietro, sepolto in Vaticano nei pressi del Circo di Caligola.
Dopo l’abbandono dell’area, dovuta presumibilmente alla damnatio memoriae dell’imperatore, è stata evidenziata dagli scavi una ripresa di attività produttive e manifatturiere a partire dal X secolo. Sia la cronologia che la localizzazione porterebbero a ritenere queste evidenze in connessione con la Schola Saxonum, una delle più antiche scholae peregrinorum di diversa nazionalità, fondate per offrire assistenza, soccorso e cure mediche ai pellegrini che giungevano a Roma per recarsi alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, e sovvenzionate dalle principali Nazioni del Nord Europa. Ricordiamo che il nome del rione Borgo, nei pressi della basilica di San Pietro, deriva proprio dal termine nordico burg, che indicava i piccoli agglomerati urbani costituiti dai pellegrini.
Tra i reperti relativi a questa fase medievale sono di grande rarità e bellezza alcuni esemplari di calici vitrei a colonnette, da interpretare come preziosi arredi liturgici. Finora se ne conoscevano solo 7 esemplari e altri 7 sono stati rinvenuti in questo scavo. Numerosi sono i contenitori ceramici di vario tipo (ceramica del Foro, ceramica arcaica con pregiato decoro in blu, pignatte per la cottura che prevedevano il fuoco laterale e non diretto), e ancora più numerosi gli oggetti di osso, tra cui alcuni pettini. Il ritrovamento di numerosissimi ossi lavorati, semilavorati e matrici di rosari, porta a supporre che proprio la manifattura dell’osso dovesse costituire una delle attività primarie dell’area. Si tratta probabilmente di una produzione di oggetti strettamente legati al pellegrinaggio e al culto, che perdura per un lungo periodo.
Questo tipo di produzione artigianale, infatti, prosegue con il passaggio dell’area all’Ospedale di Santo Spirito in Sassia – edificato tra il 1198 e il 1204 e ricostruito poi dalle fondamenta durante il pontificato di Sisto IV (1471- 1484) in occasione del Giubileo del 1475.
Di notevole importanza è anche il rinvenimento di una successione di tracciati stradali più volte rifatti e sistemati, collegati all’approdo sul Tevere a valle di Ponte Sant’Angelo, noto come Portus maior, da mettere in relazione con la ripresa delle attività economiche a partire dal XII secolo. Dagli strati di abbandono delle strade provengono due insegne da pellegrino (una con il Volto Santo di Lucca, l’altra con la Santa Vergine di Rocamadour) e una fiaschetta sagomata a forma del gallo di San Pietro.
Alla fine dei lavori le strutture murarie rinvenute non saranno visibili, perché verrà ripristinato il giardino rinascimentale del cortile del Palazzo, ma i ritrovamenti verranno valorizzati all’interno dell’edificio con un allestimento museografico, che sarà aperto al pubblico.
Nica FIORI Roma 30 Luglio 2023